L’alibi di Beethoven

Sicuramente l’aveva già detto qualcun altro nei decenni e nei secoli precedenti, ma io mi ricordo quando lessi quell’efficace argomento nei Barbari di Baricco: dico quello che ricorda che ogni epoca ha avuto i suoi allarmati o bigotti critici nei confronti del nuovo, e che vittime di quelle critiche furono cose che oggi consideriamo normalissime, o persino che consideriamo capolavori. Beethoven ai suoi tempi fu criticato, l’invenzione di Gutenberg generò allarme e censure, negli anni Sessanta si temevano gli effetti della tv sui bambini, eccetera.

E va bene. Sempre utile ricordarcelo. Ma direi che ormai ce lo ricordiamo, no? Ce lo siamo detto. Non passa giorno che non la legga da qualche parte, questa cosa: è espressa ancora con pretese di rivelazione mentre invece è diventato un cliché. È come se le banali e superficiali critiche retrograde nei confronti del nuovo o del generazionale fossero state ora rimpiazzate da banali e superficiali obiezioni a quelle critiche: e il paternalismo in difesa dei “giovani” e dei loro gusti è noioso quanto il paternalismo che li critica con sufficienza. È come se le due reazioni si fossero divise il campo della superficialità banale, paternalismo generico contro il nuovo e paternalismo generico in difesa del nuovo. Prescindendo dal fatto che il nuovo delle volte è apprezzabile e delle volte no.

Perché il fatto è che quando le generazioni precedenti di adulti e anziani criticavano qualcosa, a volte avevano torto: ma a volte avevano ragione. E quando le generazioni precedenti di ragazzi e giovani esaltavano qualcosa, a volte avevano ragione: ma a volte avevano torto.

E la storia non è fatta solo di capolavori sottovalutati o incompresi, ma anche di stronzate e di pericoli che qualcuno individuò come tali. Però oggi nessuno dice mai “ricordatevi che Mi scappa la pipì, papà ci fu chi la trovò terribile, ED ERA terribile” (e pure il gufo con gli occhiali, rimanendo sul genere); “ricordatevi che qualcuno vietò ai propri figli di unirsi a delle sette assassine o suicide, E FU UNA BUONA IDEA”. La storia delle generazioni è piena di cose che sono piaciute (che ci sono piaciute) e che erano mediocri, sceme, persino un po’ pericolose per la crescita culturale, intellettuale e morale di molti di noi, e a volte pericolose proprio. E chi lo notò, aveva ragione.

Quando ero ragazzo apprezzai cose che gli adulti intorno a me trovavano banali e infantili: su alcune avevano torto, su alcune avevano ragione. E siamo sopravvissuti in entrambi i casi.
E insomma, che qualcuno abbia sottovalutato Beethoven quattro secoli fa non significa che stiamo sottovalutando Tony Effe, no.

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