Ci sono in giro un sacco di persone litigiose, rancorose, illividite da qualche frustrazione, desiderose di vendicarsi o sfogarsi su qualcun altro. Le loro frustrazioni sono a volte motivate, altre no. Gli oggetti dei loro sfoghi sono a volte congrui, altre no. Ma la cosa che mi fa impressione è la diffusione del livore.
A un certo punto qualcuno cominciò a magnificare le virtù dell’indignazione: dapprima aveva forse un senso, a difesa dall’indifferenza e dal quieto vivere. Poi l’indignazione divenne uniforme permanente, bandiera da taschino, tic. Dilagarono le frasi fatte: “io sono uno che sa ancora indignarsi…”, eccetera. L’indignazione si scatenò contro tutto e tutti, perdendo il senso della misura, confondendo gravità e stupidaggini.
Oggi è pieno di gente che si indigna, che si incazza, che alza la voce, contro i pretesi soprusi arbitrali, contro le ZTL, contro i reality show, contro le opere di Cattelan, contro un articoletto a pagina 34, contro il divieto di fumo, e altre mille. Non sono ipocriti, non sono tromboni (anche se spesso il loro rancore è incanalato da certi trombone-à-penser): si incazzano sul serio. Ci stanno male. Dove andremo a finire.
Ci sono dentro un istinto naturale a pensare che ti stanno fregando, e una regressione conservatrice di certe persone di sinistra unito al solido benpensantismo di certe persone di destra. E un conformismo inconsapevole verso alcune opinioni maggiori. E probabilmente molte altre cose. Ma è sempre stato così? La gente è antropologicamente incazzata?