La prima cosa che si nota dell’eccitazione dei giornali di sinistra intorno all’intervento di Monsignor Crociata della CEI che è stato dipinto un po’ forzatamente “contro Berlusconi”, è l’improvvisa scomparsa del problema delle ingerenze della Chiesa negli affari politici italiani. La verità è che gli allarmi sulle suddette ingerenze sono sempre stati sciocchi e pretestuosi: sono lo Stato e i suoi rappresentanti a doversi dimostrare indipendenti dalle pressioni di questo e altri generi, legittime e libere come l’intervento verbale di qualunque cittadino o ente. E chissà che ora che queste ingerenze sono condivise, non lo capiscano.
La seconda cosa che ho pensato, però, è stata questa: “ok, la CEI può dire tutto quello che vuole e ci mancherebbe, ma io a un intervento che pretenda di imporre la morale cattolica ai cittadini italiani, e che usa termini bacchettoni come “libertinaggio” non risponderei con un applauso: risponderei con un “grazie, ma non siamo d’accordo: il PresdelCons ha molto di cui giustificarsi ma di certo non è delle sue attitudini sessuali che ci preoccupiamo, e siamo disposti solo a parlare di violazioni della legge o tradimento della correttezza nei confronti degli elettori. Sul “libertinaggio” non esistono preclusioni in una società civile”.
Poi però ho letto bene il testo dell’omelia di monsignor Crociata. E si presta – volendolo – a un’altra lettura, che può superare il significato strettamente sessuale delle espressioni: e diventare un intervento di morale laicissima, “politico”, del tutto condivisibile e fondato su elementi concreti di rischio sociale e culturale, piuttosto che su ideologie bigotte. Eccolo.
“Assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall’aver tolto l’innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via non c’è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi”.