I libri della famiglia Cataluccio

Mio padre amava molto i libri. Una passione ereditata da suo padre: un baffuto commerciante e piccolo proprietario terriero di Floridia (vicino a Siracusa), che sapeva la Divina Commedia a memoria e declamava, durante i pranzi della sua numerosa famiglia, brani dell’Orlando furioso e di altri poemi cavallereschi. Quando si trasferí a Firenze per terminare gli studi liceali e fare poi l’università, mio padre spendeva gran parte dei soldi che gli venivano inviati dalla Sicilia in libri. Alla metà degli anni trenta – aveva venticinque anni – la sua biblioteca era talmente ricca e grande che fu costretto a cercarsi un’altra camera in affitto perché i volumi non c’entravano piú. Era diventato amico dei principali librai di Firenze, soprattutto degli antiquari e dei rivenditori di volumi usati, e trascorreva con loro molto del suo tempo libero. La cosa che mi ha sempre colpito è la grande varietà di interessi che dimostravano le sue scelte. Oltre ai libri di storia (e di legge, perché, per ragioni ereditarie, dovette prendersi anche una laurea in Giurisprudenza) possedeva molti volumi d’arte, architettura, filosofia, economia. Ma soprattutto i romanzi e la poesia erano le sue grandi passioni (tanto da far sospettare che, se avesse potuto – cioè: se il suo burbero padre non si fosse opposto –, avrebbe studiato volentieri la letteratura, o si sarebbe dedicato a essa).
Dalla Germania – dove era andato con una borsa di studio e tornato alla vigilia dell’avvento del nazismo – riportò cinque bauli colmi di libri rari. Quasi tutti questi volumi (soprattutto quelli in lingua straniera) andarono perduti durante la guerra. In parte furono bruciati dalla moglie di suo fratello (timorosa che tra di essi potesse esserci qualcosa di compromettente), e un buon numero fu sequestrato dalla polizia fascista nella sua camera in affitto, durante una perquisizione, dopo l’8 settembre 1943.

Francesco Cataluccio – scrittore, storico, direttore editoriale, appassionato di libri – ha scritto un agile manualetto intitolato “Che fine faranno i libri?” (Nottetempo, 6 euro), che in appendice ospita il racconto autobiografico di cui ho incollato qui sopra l’inizio. Quelle che seguono invece sono le sue previsioni su quel che succederà ai giornali.

“Su internet si trovano, per lo piú gratuitamente, le notizie e i commenti che si desiderano. Addirittura in sovrabbondanza rispetto alle necessità e possibilità di fruizione. Se poi la strada è sbarrata da richieste di pagamento, ci sono mille modi per aggirarle. Primo fra tutti: cercare l’articolo desiderato su Google. E I tentativi di porre un argine alla fruizione gratuita dei propri articoli e notizie (per esempio, attraverso un’alleanza tra il colosso dell’editoria di Robert Murdoch e la Microsoft di Bill Gates, che sottrarrebbe i materiali al motore di ricerca Google e imporrebbe pagamenti agli utenti della rete) sono difficili da attuare. L’accordo raggiunto agli inizi del dicembre 2009 tra Google e Murdoch prevede la limitazione di accesso a un massimo di cinque articoli leggibili gratuitamente attraverso Google. Con il metodo first click free, dopo cinque accessi all’editore sarà possibile richiedere un modesto pagamento. Per l’editore è comunque una considerevole perdita economica, e mille sono e saranno i modi per aggirarlo. Google con il suo servizio, che porta pochi guadagni immediati agli editori, regala però ai giornali 100.000 click al minuto. Se si dovesse arrivare a una rottura tra editori di contenuti e aggregatori (togliendo a questi ultimi, per esempio, la possibilità di utilizzare testi che non hanno prodotto), la sovrabbondanza di notizie che circola in rete permetterebbe agli aggregatori (Google in testa) di funzionare ugualmente e toglierebbe agli editori uno strumento di diffusione. È difficile andare contro la natura e la filosofia di internet: l’informazione gratuita. Chiunque tenti di far pagare ciò che passa in rete viene rifiutato o emarginato o violato. I giornali del futuro saranno gratuiti (come la free press) e completamente digitali. Oltre alla possibilità di leggerseli sul computer o sul telefono cellulare, si potranno scaricare su un supporto simile al quotidiano, arrotolabile e piegabile, collegato a una chiavetta che permetterà di leggere, scegliendo con il tocco di un dito, tutti i giornali del mondo, aggiornati continuamente. Il prototipo esiste già: è Skiff, del gruppo editoriale Hearst, un foglio d’acciaio avvolto in un guscio di vetro flessibile, grande come un A4 e di peso inferiore ai 500 grammi. E sarà possibile integrare, e approfondire, le notizie con finestre su immagini, filmati, materiali audiovisivi d’archivio, ancor meglio di come si fa già oggi col computer. Saranno gratuite le notizie, ma a pagamento (o su abbonamento) gli approfondimenti e i contenuti esclusivi (freemium). I giornalisti migliori dovranno fare squadra e associarsi in una sorta di agenzie di servizi che proporranno inchieste, ricerche, reportage. Per poterli realizzare dovranno richiedere finanziamenti ai propri lettori. Se, per esempio, per un’inchiesta sul funzionamento della sanità in una certa regione occorrono un tot di euro (comprensivi delle spese e del guadagno dei giornalisti impegnati), ai lettori interessati verrà richiesto di pagare tot centesimi a testa e avranno cosí la possibilità di leggere l’inchiesta con una settimana di anticipo, scaricandola con un’apposita password. Tutta l’informazione, al di là delle notizie flash, verrà pagata direttamente. Ma gli aggregatori, come si è visto, utilizzano contenuti prodotti da altri. Si diffonderanno quindi ancor di piú dei portali parassitari che metteranno a disposizione a poco prezzo (o anche gratuitamente, perché guadagneranno con la pubblicità) le inchieste a pagamento altrui. Non sarà facile contrastarli e la pubblicità non potrà garantire, salvo poche eccezioni, la produzione di contenuti, perché è molto frazionata e polverizzata. Il valore e il prezzo di queste inchieste si baserà, oltre che sui contenuti, sulla rapidità e l’esclusività che riusciranno ad avere. Negli Stati Uniti ci sono già inchieste finanziate dai cittadini, ma non è detto che in Europa la cosa funzioni: il giornalismo finanziato da una comunità potrebbe non essere sufficiente a tenere in vita dei giornali seppur drasticamente ridotti negli organici e nei costi di produzione. E questo non sarà un bene, non soltanto per gli addetti che ci lavorano, ma perché i giornali aiutano a tenere in vita la comunità: sono l’ossatura dell’opinione pubblica che è la base del controllo democratico sul potere politico. La rete dovrà sopperire, ancor piú di quanto accada oggi, a questa mancanza”

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4 commenti su “I libri della famiglia Cataluccio

  1. Michele Luzzatto

    Seguo da tempo la questione del presente e del futuro dell’informazione giornalistica. La seguo con una certa apprensione, perchè sono convinto che, qui ed ora, per noi che ci siamo almeno parzialmente affrancati dal problema della fame, del freddo e delle malattie, il prossimo nodo di drammatica importanza sia quello della conoscenza e dell’informazione. E credo che questo nodo sia angosciante se si tiene conto del fatto che abbiamo tutti gli strumenti per creare una conoscenza ed un’informazione di proporzioni mai viste prima, eppure paradossalmente rischiamo di tornare indietro sui nostri passi invece di progredire.

    Ho annuito con convinzione leggendo il passaggio di Francesco Cataluccio sul futuro dei giornali riportato da Luca, soprattutto nel finale: “questo non sarà un bene, non soltanto per gli addetti che ci lavorano, ma perché i giornali aiutano a tenere in vita la comunità”. Banalizzando: i giornali sono oggi caratterizzati da una buona dose di approssimazione (per non dir peggio) mista spesso a partigianeria, però sono pur sempre dei soggetti con una sede, una redazione, una struttura (anche meramente materiale, tipo rotative – ammesso che esistano ancora – ecc.). In altre parole, oltre ad avere i mezzi per ricercare le notizie e produrre informazione, sono soprattuto un qualcosa di STABILE. Io da lettore posso anche dissentire da un Giornale o da un Foglio, ma so sempre tendenzialmente cosa il Giornale e il Foglio sono e come cercare di calibrare le informazioni che loro mi danno. Anche Repubblica o il Corriere, oggetto di sempre più frequenti critiche da parte di chi frequenta la rete, magari prendono nei loro articoli delle cantonate, ma sono pur sempre dei punti di riferimento intorno a cui si coagula la reazione alle cantonate stesse che ne risultano quindi, almeno in parte, ridimensionate.

    Come faccio invece io, lettore, a PESARE una notizia proveniente da Internet? Internet è stato paragonato molte volte a una piazza, e sotto questo profilo ad una piazza assomiglia molto: un tizio anonimo lancia una notizia, un altro la riporta in modo magari un po’ distorto e, se si tratta di qualcosa che eccita gli animi, di bocca in bocca la notizia invade immediatamente tutta la piazza. Tutti pensano che sia vera perchè tutti ne parlano e tutti ne parlano perchè tutti pensano che sia vera. Ma chi l’ha lanciata? Non si sa nè si può sapere. Ma è vera? A questo punto diventa irrilevante. Nelle piazze reali questi meccanismi portano, se va male, ai linciaggi. E nella piazza virtuale? Ma soprattutto, da amante di Internet e forte critico dei giornali tradizionali, non sono ancora riuscito a capire quali rimedi offra la rete, nè se di rimedi ne esistano.

  2. albertog

    Azzardo un paragone, forse irriverente. Nel Rinascimento la memoria dei grandi fatti e dei grandi personaggi era affidata ai pittori. Ci sarà sicuramente qualche libro che ricostruisce il dibattito del XIX secolo sul futuro della pittura nell’era della fotografia. Forse non si immaginavano che nell’era di Ansel Adams, Man Ray e Capa, Pablo Picasso avrebbe continuato a guadagnare quanto Michelangelo. Un’altra considerazione: nonostante abbiano inventato la carta di giornale, i paperback hanno continuato a stamparli su carta più spessa. I feuilleton addirittura venivano prima stampati su giornale, ma questo non impediva che l’edizione su libro avesse successo. Insomma, non ce lo vedo Murdoch all’angolo di una strada.

  3. ludwigzaller

    Nella mia attività di ricerca i libri elettronici stanno assumendo un ruolo sempre più importante. Stamattina dovevo fare alcuni riscontri su Vasari. Ebbene la rete mi mette a disposizione sia le due versioni italiane dell’opera, in una edizione fatta davvero bene che la traduzione inglese. Per quanto riguarda i giornali sono passato dalla lettura di un solo quotidiano italiano alla possibilità di leggere ogni giorno Le Monde e il New-York times. Non c’è paragone. Perciò esclamo senza ironia, con l’eroina di Shakespeare, mi pare sia Miranda nella Tempesta: Brave new world.

  4. stefano bonilli

    Da alcuni giorni sto usando l’iPad e devo dire che penso proprio che l’accelerazione alla fruizione di giornali, riviste e libri digitali sarà impressionante perché anche rispetto al Kindle DX siamo molti passi avanti e il colore ha un effetto positivo non da poco.
    Credo che i grafici dovranno ripensare la progettazione di riviste e giornali e anche i libri, almeno non quelli di fiction.
    Io, poi, che mi occupo di editoria gastronomica e turismo penso che il settore sia all’inizio di una nuova era.
    Previsioni, ovviamente, che non vuol dire che il libro di carta debba scomparire, nessuno è così sciocco dal pensarlo, semplicemente si sta aprendo un nuovo mercato che nei prossimi quattro anni dovrebbe essere il 20% del settore, almeno negli Usa, e poiché il settore Usa dell’editoria libraria pesa per 50 miliardi di dollari si capisce che sarà una rivoluzione.

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