Da qualche giorno c’è un gran dibattito sul troppo spazio offerto dai media al pastore disgraziato che voleva bruciare il Corano, e stamattina Giulio Giorello accusa la rete di favorire la promozione rapida e mondiale di simili cialtroni. Però, come mi ricordava ieri Francesco Costa, del caso Corano si è cominciato a parlare sulle prime pagine americane lunedì scorso quando David Petraeus, comandante delle operazioni militari americane nelle zone “delicate” dell’Asia e dell’Africa, ha dichiarato che l’iniziativa sarebbe stata pericolosa. E martedì è intervenuta Hillary Clinton.
Ma il progetto di Jones risale a fine luglio, quando ne fu data notizia persino dalla CNN (dalla CNN, ripeto: non da blog di dilettanti, non lo “speaker’s corner.com” suggerito da Giorello) ma non se lo filò quasi nessuno. Se la rete fosse questo mezzo di “comunicazione ultrarapida” per cui “l’annuncio della notizia è già notizia” e si scatenano immediatamente le conseguenze, come scrive Giorello, non ci avrebbe messo oltre un mese ad arrivare sulle prime pagine e nel resto del mondo.
Questo è il grafico eloquente delle ricerche su Google per “quran burning” negli ultimi trenta giorni.
Poi che la rete sia un formidabile fattore di cambiamento lo sappiamo tutti, e anche che ogni cambiamento porti dei rischi: ma prima di pubblicare un fondo in prima pagina sul Corriere col titolo “Follie in libertà nella rete globale” meglio stabilire com’è andata: ne hanno parlato i grandi media tradizionali come di una stranezza, è finita lì per un mese circolando in rete senza che nessuno si agitasse più di tanto, poi si sono allarmati importanti esponenti politici e la notizia è diventata notizia mondiale da prime pagine. Come ai vecchi tempi.
Aggiornamento del giorno dopo: lunedì il Corriere in prima pagina ha un fondo di Ernesto Galli della Loggia. Lo titolano “La democrazia non è in rete“. L’articolo parla di tutt’altro, di internet praticamente nemmeno l’ombra, le parole “internet” e “rete” non compaiono mai in tutto il testo.
Mah, io tendo a pensare che l’incendiaria diffusione globale della notorietà di un pastore mentecatto sia un esempio di Black Swan (Nassim Taleb) e riguarda il funzionamento dell’insieme dei media mondiali. Poi si sa come vanno queste cose: in riunione di redazione si decide che il fenomeno va commentato, ci si domanda chi può farlo, qualcuno suggerisce Giorello che in un pomeriggio abborraccia un editoriale e finisce per prendersela con il totem di moda. Mica poteva sparare sulla Cnn, sai gli sbadigli: forse quindici anni fa… Non funziona così il giornalismo italiano? (ma non solo)
Per questo, Luca, preferisco il Post.
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La tesi di Giorello e l’articolo di Galli Della Loggia hanno in comune un preoccupante paternalismo. Giorello, in pratica, considera il pubblico islamico come non meritevole di ricevere notizie, anzi lo considera implicitamente un pericolo e non un soggetto a cui va garantito un diritto. Come un leghista-pidiellino-piddino qualsiasi (la lista mi si è allungata man mano che ci pensavo su). Forse la notizia su Cnn è passata inosservata sui grandi media, ma se Petraeus e Clinton l’hanno rilanciata le alternative sono: o sono due irresponsabili; o hanno avuto notizie di malumori che si stavano diffondendo nel mondo islamico, non percepite dai media occidentali. Il che significa che per qualcuno quella del pastore era una notizia vera e che il lancio della Cnn non era passato del tutto inosservato.
Galli Della Loggia non dice internet e rete, ma cita esplicitamente l’articolo di Giorello come punto di partenza e poi usa una perifrasi chiaramente sinonimo di internet: “vasto spazio virtuale, un tecno-spazio planetario dove soprattutto le notizie, i movimenti di denaro e i rapporti interpersonali, sia scritti sia vocali, hanno assunto in pratica il carattere dell’immediatezza”.
Concordo con Pieros, ammesso che ci sia un problema, allora quel problema va affrontato considerando tutti i media, è assurdo isolarne uno e addebitargli una colpa.
Non sono d’accordo con albertog quando interpreta il discorso di Giorello come rivolto ad escludere “il pubblico islamico”, non mi sembra che vada in questa direzione, né, in generale, che sia propria del pensiero di Giorello un’attitudine a discriminare certi soggetti in base al loro credo, semmai è esattamente l’opposto.
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