Lo stato di ubriachezza con cui l’informazione italiana ha seguito le cose di Wikileaks in questi due giorni ricorda inevitabilmente il rapporto dei giornali con internet in generale una decina d’anni fa, quando qualunque notizia avesse dentro la parola “internet” guadagnava di filato un suo spazio in pagina nel quale non si capiva una cippa. Il gap tra attenzione al fenomeno e comprensione del fenomeno era straordinario e di ovvia spiegazione: meno capisci una cosa, più ti affidi alle semplificazioni, perdi la complessità e i dettagli, ti dedichi ai titoloni senza chiederti se la notizia ci sia o non ci sia. Non sapresti risponderti.
E così adesso per due giorni è sembrato che nei documenti si parlasse solo dei “festini” di Berlusconi, quando i documenti dedicati all’Italia finora diffusi sono due su 280 e la parola “festini” non ricorre se nell’isolata espressione “partying hard” (darci dentro con le feste) dedicata da una signora americana semplicemente alla tesi che il PresdelCons si riposi poco. Ma era cominciato da prima: per cercare di non mostrarsi impreparati, domenica la Stampa era uscita con una storia sul Papa ingannevolmente associata a Wikileaks (non c’entrava niente, è già sparita) e il Corriere con un’intervista all’ambasciatore Spogli ultraenfatizzata malgrado lo stesso ambasciatore dicesse che non sarebbe successo nulla.
Oggi Christian Rocca sostiene che nei documenti mostrati finora non ci sia praticamente niente: non sono del tutto d’accordo con lui – ci sono diverse storie affascinanti e qualche notizia, anche se nessuna da saltare sulla sedia – ma ha di certo più ragione del 90% di quello che è uscito in questi due giorni. Anche Massimo Mantellini ha analizzato l’approssimazione con cui Wikileaks viene spiegata, approssimazione che è tutto fuorché divulgazione o semplificazione: piuttosto falsificazione ed errata informazione. E in estrema sintesi la spiegazione è purtroppo facile e suona saccente persino alle orecchie stesse di chi la formula e di chi ha seguito queste cose da un po’ di tempo e ha cercato di capirle: la spiegazione è che non ne sanno niente. Si trovano improvvisamente per le mani fenomeni nuovi persone che non ne hanno seguito la genesi, non conoscono quel mondo, non conoscono questo tempo: ed è inevitabile, se fino a ieri le tue priorità informative erano le dichiarazioni di Casini, le puntate di Porta a porta, o Ruby.
Da tempo vado formulando un’ipotesi sull’autosufficienza dell’arretratezza italiana: un paese dove le avanguardie di modernità e innovazione invece di trascinare avanti le retroguardie ne vengono trattenute indietro. Un paese in cui la palude si autoalimenta e la mediocrità e l’anacronismo si nutrono di se stessi: si parla di Porta a porta, si va a Porta a porta, la gente guarda Porta a porta e quindi si riparla di Porta a porta. È un sistema chiuso e impermeabile all’intelligenza, alla qualità e al progresso. E non conosce momenti di scardinamento nemmeno quando è costretto ad accogliere elementi del mondo di fuori completamente sovversivi: perché invece li ingloba, li riconduce a se stesso e li fa divenire Porta a porta. E così è stato con la storia Wikileaks, i suoi contenuti e le sue forme: raccontati non per quello che sono ma per quello che è familiare: festini, provincialismo, informazione fatta male.
Aggiornamento: devo correggermi sull’intervista dell’ambasciatore Spogli, che evidentemente metteva le mani avanti su qualcosa di effettivamente cospicuo, altro che festini.
quel che mi stupisce in questa storia di Wikileaks è la competenza.
se devo scrivere di una cosa qualsiasi sul mio blog, prima mi informo a dovere, per non correre il rischio di prendere lucciole per lanterne. e a chi lo fa per mestiere, cosa manca per informare esaurientemente? la capacità, la volontà, il tempo di studiare le fonti? o è semplicemente mancanza di abitudine ad operare nella complessità, dato che, appunto, la maggior parte dei servizi dei nostri media parla di escort e politici?
Per essere precisi nei cablogrammi attualmente pubblicati provenienti da Roma la parola party appare una sola volta ed è in “Opposition Democratic Party (PD)”
La storia del partying hard, come tutte le cose succose che riempiono i giornali, provengono dai cablogrammi in mano al NYT e agli altri giornali ma non presenti sul sito.
I 280 cablogrammi attualmente pubblici dicono ancora veramente poco…
‘mbuto meriterebbe citazione obbligatoria ai TG (almeno stasera da Floris, ti prego!!-), lettura in classe dai 15 anni in su e come forma di selezione per aspiranti alla battagliaperlademocraziainitalia.
grazie
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In Italia il buon giornalismo non serve, perché i giornali non servono a chi li legge e il mercato non si regge sui lettori. Quindi nessuno ci ha mai investito più di tanto, e se l’ha fatto, ha smesso da un pezzo. Non c’è formazione, non c’è crescita, non c’è ricerca, non c’è ricambio, mentre i direttori si riempiono la bocca di bei discorsi sulle nuove tecnologie e pagano da fame i collaboratori non importa quanto bravi siano, come se fosse una questione estetica e non economica.
Non mi piace il populismo, ma visto che parlo del mio mestiere e ambiente e lo conosco bene, questa volta lo dico: buona parte dei giornalisti in Italia non sa cosa sta facendo e neppure di cosa parla. Quando ne vedo uno che si documenta anche solo su google prima di andare a fare un’intervista mi viene voglia di andare a accendere un cero. Non mi stupiscono il disinteresse e l’acredine che hanno verso Assange, che funziona come uno specchio per questo fallimento professionale di massa.
Succede la stessa cosa con gli articoli sulla riforma dell’università. Chi scrive sui quotidiani non ha idea di cosa parli. P. es. la promessa di denari (attualmente solo virtuali) per fare concorsi da associato per promuovere i ricercatori e farli desistere dalla protesta, il famoso emendamento al centro dell’attenzione di Fini, l’emendamento che fece rimandare la discussione, viene presentato dai giornali, indistintamente tutti, come “i denari per stabilizzare i precari”. Tutto ciò è patetico, e mi accade di notare la stessa cosa tutte le volte in cui leggo di un argomento che conosco davvero bene. Quindi immagino di essere disinformata su tutte le migliaia di argomenti che non conosco bene….
Sì ma Assange e la sua organizzazione non fanno informazione, si limitano a divulgare documenti rubati. Al limite sono delle fonti e come tali andrebbero considerati dai giornalisti. Veri. O è proprio questo il problema?
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Grazie Luca per aver sottolineato
questi aspetti.
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