Tra le molte approssimazioni con cui giudichiamo la politica c’è quella che la riferisce al lavoro di una esigua manciata di parlamentari che ci sono familiari e ci fa colpevolmente dimenticare l’esistenza centinaia di altri di cui ignoriamo persino il nome. I parlamentari sono quasi mille, e scommetto che se ciascuno di noi dovesse elencare tutti i nomi che gli vengono in mente non arriverebbe a cento nel più preparato dei casi: ricordarsi gli stati degli USA garantirebbe maggiori successi.
Ma quello che è successo in questi giorni ci ha riportati alla realtà di un’attività parlamentare dominata da centinaia di sconosciuti, persone che non finiscono sotto i riflettori, e che quando raramente vengono illuminate si rivelano straordinariamente ordinarie. E la storia che racconta questa momentanea illuminazione è una storia che ribalta il luogo comune della separazione tra politici di professione e gente comune, tra la Roma della politica e l’Italia della normalità, tra la presunzione elitaria degli eletti in parlamento e il “territorio” di persone comuni, di medie aspirazioni, sentimenti e competenze.
Quello che ci dicono gli Scilipoti, i Siliquini, i Razzi, eccetera, è che la stragrande maggioranza dei parlamentari nel “palazzo” è fatta di persone che incarna esattamente quel ritratto di medietà esaltato dai populisti e dai profeti della “gente comune”. Sono gente comune, sono persone “qualsiasi”, con dosi medie di pregi e difetti, somiglianti a noi italiani qualunque, senza niente che li renda straordinari, meritevoli di definirsi eletti, governati nelle loro scelte da un’etica superiore, da un maggiore senso di responsabilità del ruolo o da una notevole capacità di affrontare la dimensione dell’impegno. Non sono “vicini al paese”: sono il paese e lo rappresentano con grande esattezza. Dovrebbe farci un pensiero chi va promuovendo la “gente normale” a ruoli straordinari. La gente normale siamo normali, Scilipoti e Siliquini.
Vicinissimi al paese
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Quanta voglia di essere lontano da questo paese.
Siquilini o Siliquini? ;)
sì, grazie.
Qualcuno diceva che i parlamentari sono (e devono essere) lo specchio del paese. Ecco, io credo che si, lo debbano rappresentare, ma in un certo qual modo dovrebbero essere l’elite, il meglio di tutti noi, una classe selezionatissima e sulla quale nessuno possa avanzare alcun dubbio di onestà. Ma so che probabilmente resterà sempre un sogno…
C’è un vizio di fondo nel tuo ragionamento, secondo me. Tu dici gente normale e pensi gente mediocre e un po’ (o molto) disonesta. Tipo Christian De Sica nei film di Vanzina. Io per gente normale vorrei intendere invece gente che paga un mutuo o un affitto, va in ristoranti dove si spende 30 euro e la mattina va a lavoro guidando la sua macchina nel traffico. Tra questa gente ci sono persone di straordinaria intelligenza e incredibile onestà, e ci sono ovviamente anche idioti, cialtroni o criminali veri e propri. Insomma, gente normale significa tutto e niente (se non persone che conducono una vita simile per soldi ed orari a quella della stragrande maggioranza dei loro connazionali). Il fatto che tu dia a questa definizione una connotazione morale mi fa pensare che quello lontanissimo dal paese reale sei proprio te. Qual’è la parola giusta in questi casi… elitismo? :)
Scilipoti, se non sbaglio, è quello col mutuo.
Diciamo che come tante persone normali aveva l’ambizione a partecipare a “chi vuol essere milionario”.
Ha dato la risposta definitiva, l’ha accesa e ora ha vinto !
Fuor di battuta fermerei lo sguardo sulla massa di soldi che si è abbattuta sulla camera e che è stata determinante.
Possiamo dire che è uno dei vari aspetti del conflitto di interessi ?
E’ arrivato il momento di inserire trà le causali delle raccolte di fondi l’acquisto del consenso dei parlamentari ?
Il dibattito è aperto…
alexmeia, due cose. Una è che non penso che “tutte le persone normali siano come Scilipoti” (che peraltro ha pure lui competenze su alcuni campi), ma che Scilipoti sia una persona normale e che sia quindi ingannevole la tesi di una élite politica distante e diversa dal “paese reale”. L’altra è che l’elitismo, di cui ho scritto qui spesso, inteso nel suo senso proprio di sistema che privilegia capacità e competenze ed etiche straordinarie rispetto a ruoli di responsabilità e impegno straordinari, sia senz’altro una strada abbandonata troppo pigramente e demagogicamente.
Io credo che ogni parlamentare e quindi anche S&S mostrerebbero maggiore coerenza e direzione politica se il mandato che li ha investiti arrivasse direttamente dalla gente e non dalle logiche di partito. Non mi aspetto, insomma, che i parlamentari abbiano straordinarie doti etiche o capacità fuori dal normale; ma mi aspetto che il sistema che ne regola l’elezione e la rielezione, la pubblicità della cosa pubblica, li incentivi in questo senso. Oggi, in Italia, non è così.
Come sempre, siamo strabici. Tre persone che erano state elette di là hanno votato di qua, e una ventina che erano state elette di qua hanno votato di là. Quando D’Alema, inopinatamente, giunse alla presidenza del consiglio, Cossiga gli organizzò la transumanza di mezza Forza Italia per sostenere il suo governo. Si chiama politica, dicono. E tenendo conto che la gran parte di questa gente non ha arte nè parte, ma vive della sedia di parlamentare, azzeccare la mossa giusta è vitale.
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Sono certamente poche le cose su cui ci troviamo d’accordo, ma che la democrazia debba servire al popolo per scegliere fra opzioni tutte molto valide e tutte utili al paese anche se in modi differenti è una di queste cose.
Una democrazia che è invece orientata a dare il potere agli ignoranti e agli incompetenti, a fornire un’occasione di ricchezza e successo a chi si inchina a questo o quel partito, a demolire ogni forma di autorità e gerarchia rimane comunque una democrazia ma non ci si stupisca se poi il paese imbocca la china della decadenza.
La selezione della classe dirigente è un problema serio in Italia e non viene messo in discussione: da una parte si prende la propria igienista dmentale e si dice che imparerà strada facendo, dall’altra si lascia che tutti possano candidarsi e a decidere sia ‘la base’.
La cosa ovviamente vale per tutte le cariche, anche quelle dei tanti minuscoli comuni dove il sindaco fino a ieri faceva il giornalista o il farmacista. Come se la politica fossero capaci tutti, non c’è bisogno d studiare, che ci vuole, basta il buon senso di capire cosa è giusto e cosa no, cosa è buono e cosa no. Eh, non so se c’è da ridere o da sbiancare di terrore.
Ho sempre pensato che chi delego a rappresentarmi debba assomigliarmi, almeno per ideali o, più in piccolo, idee, ma anche nei difetti. Allo stesso tempo considero indispensabile che chi è delegato a rappresentarmi debba sentire un senso di riconoscenza, già solo per il fatto che la delega è una specie di assegno in bianco e chi lo riceve ha un dovere morale che lo impegna a non intascarselo. Non sono d’accordo con chi dice “son tutti uguali, dei ladri e basta” ma neanche con chi afferma che “sono uguali a tutti noi. Chi può, a qualunque livello, approfitta dei privilegi che ha”. Ho pensato spesso questa seconda cosa ma ora ho cambiato idea. Voglio che ci mi rappresenti sia migliore di me, non uguale. Anche perchè rappresenta me in Parlamento ma anche nel mondo. Ed io voglio fare anche bella figura. E poi io non mi venderei, credo, per un voto
L’inquietante domanda che nasce dalla riflessione di Luca è: non sarà forse l’Italia un paese mediocre, fatta soprattutto oggi di persone normalissime, senza particolari motivazioni a migliorare, appagati in fin dei conti del proprio brodo quotidiano, e convinti che solo un colpo di fortuna oppure di furbizia possa farli accedere ai piani alti, al successo, che coincide con tanti soldi quindi potere, è niente altro?
Non sarà che la disarmante incapacità politica dei parlamentari “normali” e anche dei loro leader (più interessati a beghe interne e a tenere alto il proprio nome per le prossime elezioni)siano il frutto di una piattezza culturale diffusa, di un paese che non sa più immaginare un futuro diverso dal presente? O che forse NON VUOLE pensare che ci sia un futuro… Scusate il pessimismo ma ho l’impressione che l’Italia assomigli sempre più alla Jolly Amaranto.
Strana bestia questa Democrazia: si anima delle proprie (auto) deviazioni e produce eleggibilità di ignoranti ed affaristi.. No, no, si distorce per le proprie (auto) disponibilità e consente a chicchessia (..ops..) di fare eleggere la propria igienista dentale.
Abbiamo esattamente quello che possiamo, con queste regole – non quelle elettorali – determinare/eleggere.
Quello che manca non è un’élite integerrima e laboriosa ma un sistema di regole che “aiuti” ad evitare scostamenti eccessivi: strutture di valutazione sociale, economica, indipendenti; poteri di decisione meglio allocati e distribuiti su un numero (molto) minore di persone.
Con le regole inglesi o tedesche (per tutti, non solo per i Parlamentari…) avremmo una classe politica diversa, non perfetta ma diversa.
“Io per gente normale vorrei intendere invece gente che paga un mutuo o un affitto, va in ristoranti dove si spende 30 euro e la mattina va a lavoro guidando la sua macchina nel traffico.”
Ma il pericolo è proprio che queste persone normali, una volta estirpate dalla loro vita “normale” e messe al parlamento, siano assai attratte dalle lusinghe del potere. Questo non significa che bisogna metterci chi è già ricco e potente, ma persone che si sono distinte sia per capacità che per integrità morale. E qui allora si torna all’elitismo, che è parola che suona male, specialmente a sinistra. Ma quando sento Vendola, per dire, affermare che farebbe ministro uno che si è distinto solo per essere salito su un tetto o essere precario, a me cadono le braccia. Poi magari non lo farebbe mai, ma il messaggio è devastante.
Leggo che il post è stato interpretato, come forse era, come portatore di un messaggio negativo, di sfiducia. Ma l’idea di fondo, di raccontare i peones, mi sembra invece positiva. Mettere persone normali sotto i riflettori li responsabilizza, li costringe a farsi protagonisti, a fare i conti anche con il proprio orgoglio. Non necessariamente a essere più onesti, o più furbi, ma a essere meno normali. Se ci fosse un “racconto” dei parlamentari minori, credo che il Parlamento migliorerebbe.
Cioè, Sofri può dire, solo perchè ci sono stati un paio di voltagabbana, che i parlamentari sono quasi tutti mediocri, pur ammettendo che su un migliaio non ne conosce neanche cento, e Grillo no.
Chi è il qualunquista?
Fatemi capire dov’è che sbaglio.
Il senso di quello che vuoi dire è chiaro, Luca (e lo chiarisci meglio nel commento), e si condivide abbastanza facilmente, solo che il punto della situazione è un poco eccentrico rispetto a quello che rilevi, e ci passi vicino quando scrivi che questa storia “ribalta il luogo comune della separazione tra politici di professione e gente comune, tra la Roma della politica e l’Italia della normalità”.
Lì, caschi in equivoco. Perché la separazione tra il Palazzo e la Gente, la distanza che si vorrebbe accorciare, non è quella delle qualità degli eletti rispetto alla gente comune: questa, è abbastanza chiaro che non esiste, o che (oggi) consiste soprattutto nella straordinaria capacità dei primi di farsi strada a spintoni e furbizie rispetto a tutti gli altri. Ma è proprio per questo che diventano insopportabili i privilegi elitàri di cui tuttavia godono, il loro personale eldorado rispetto alle piccole e medie prospettive (perché “aspirazioni, sentimenti e competenze” sono di quella portata) del paese della normalità. La distanza da accorciare è quella che separa, a parità di qualità, il mondo degli uni dal mondo di tutti gli altri. Questo, oltre che un luogo comune, è una realtà drammaticamente vera, e la sua rappresentazione plastica l’abbiamo avuta ieri, con il Palazzo blindato a celebrare i suoi miseri riti, e tutto il mondo fuori a manifestare con rabbia l’estraneità di quelle liturgie dalla propria dimensione di vita.
Bisogna riconoscerlo e capirlo – oltre a mettere in evidenza la necessità che lì dentro ci torni davvero una élite – senza regalare questa cosa a qualunquismi e populismi facili, perché è lì che rischia di innescarsi una frattura incendiaria.
@Luca
A me sembra che quando si parla di casta o di élite politica si parli di privilegi che hanno quelli che stanno in parlamento o occupano una posizione di potere e non hanno invece quelli che queste posizioni non le occupano. Le differenze tra classe politica e resto del paese non sono etiche, ma materiali. Per farti il primo esempio che mi viene in mente, se gli affitti che pagano i parlamentari per i loro appartamenti romani sono scandalosamente fuori mercato, è difficile che poi questa gente si renda conto del costo reale degli affitti a Roma, e provi magari ad affrontare il problema. Già questo fatto crea una distanza tra la classe politica ed il paese reale. Tutto qui. E’ chiaro che se in parlamento sedessero persone con capacità, competenze e qualità morali straordinarie saremmo tutti più contenti, ma credo che anche persone con una moralità decente – che sono la stragrande maggioranza di quelli con cui vivo, lavoro o esco la sera, tutti soggetti che si possono tranquillamente inserire nella categoria gente comune – andrebbero più che bene.
(mi rendo conto solo ora che scirocco aveva già scritto cose del tutto simili a quelle che ho scritto io, almeno nella prima parte. L’avessi letto prima di commentare, l’avrei fatta meno lunga)
Condivido, anche con una vena lombrosiana, quello che dice L.Sofri. Quanto all’elitismo, inteso come nella risposta di L. ad alexmeia, da tempo sostengo che la rappresentanza parlamentare sarebbe ugualmente valida e più efficente e meno soggetta a giochetti di compravendita se fosse di 150-300 deputati in tutto. E senza bicameralismo perfetto. E per i lavori parlamentari si usino dei dipendenti dei parlamentari.
Scusi “Scirocco”, ma la sua frase “il Palazzo blindato a celebrare i suoi miseri riti, e tutto il mondo fuori a manifestare con rabbia l’estraneità di quelle liturgie dalla propria dimensione di vita” mi ricorda tanto “l’aula sorda e grigia” e il “bivacco di manipoli”.
Se la pratica parlamentare è considerata “un misero rito” e i fascisti neri e rossi, professionisti del teppismo di piazza, sono considerati “tutto il mondo” (mentre il mondo era a lavorare o a studiare), allora non ci siamo.