“Scelgo la mia famiglia. Magari altri ci riescono, ma io non sono capace di andare in tournée e allo stesso tempo essere un buon padre”. Disse così, Mark Hollis, spiegando la sua decisione di abbandonare la musica ormai più di dieci anni fa. I suoi due figli avevano già tra i tredici e i quindici anni, ed erano nati negli ultimi tempi dei Talk Talk, quelli dei dischi migliori, sperimentali e meno noti. Per molti i Talk Talk sono sempre rimasti una band inglese tra le molte degli anni Ottanta, complice il pazzesco successo di due canzoni dal loro secondo disco: “It’s my life” e “Such a Shame”. Ma il loro passaggio sul vivace carrozzone del british pop di quegli anni fu un accidente a cui Hollis li sottrasse rapidamente, con dischi molto più originali e inventivi che introdussero negli anni Novanta un lavoro simile a quello fatto vent’anni prima dai Pink Floyd: tutto il cosiddetto post-rock che è venuto deve molto agli ultimi due dischi dei Talk Talk e all’unico che Mark Hollis pubblicò a suo nome nel 1998, prima di dire quelle cose e ritirarsi.
Però in moltissimi se ne ricordano, di quel debito, e ancora la settimana scorsa lo scrittore Ben Myers ha scritto sul sito del Guardian che i Talk Talk sono stati “una delle band più influenti degli anni Ottanta”.
Quando avevano cominciato, molti li avevano associati ai Duran Duran: nome simile, stessa etichetta, stesso produttore, in tour insieme. Simon LeBon e i suoi sono stati a Milano la settimana scorsa e hanno dimostrato di saper fare ancora onestissime cose. Mark Hollis è a casa e ha i figli grandi. Non erano così male, gli anni Ottanta.
Spirit of Eden
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Mark Hollis mi manca tantissimo.
Ma è anche vero che il suo ritiro lo rende più prezioso.
Mi piacquero molto visti dal vivo, ma probabilmente mi è sfuggita la loro “Grandezza”. A proposito di “Absent Friends”… degli autoreclusi XTC, altra bella perdita..
C’è anche Tony Hadley guest nel singolo di Caparezza. Al contrario, molte delle recenti reunion sovrappeso e a scopo di lucro sono state patetiche.
Che grande regalo per me, questo post. E’ scappata la lacrimuccia, per la mia adolescenza i Talk Talk sono stati qualcosa di profondo, formativo. Grazie, Luca. PS: questa è più bella: http://goo.gl/46L6b
non si capisce bene per quale arcano motivo i talk talk migliori devono essere quelli dei dischi “sperimentali e meno noti”.
il corollario immagino sia: “il pazzesco successo” di it’s my life e such a shame è dovuto al fatto che fossero due canzoni di poco valore.
il solito vecchio e stantio adagio: non ti si fila nessuno = fai bella musica; hai successo = fai cagare.
evidentemente beethoven non aveva capito una mazza.
Carlo M, immagino tu non ti senta mai solo, con tanta capacità di costruirti argomenti e controargomenti.
in effetti mi divero molto, a smontare i luoghi comuni.
@Carlo M: I Talk Talk migliori “sono quelli dei dischi sperimentali e meno noti” perche’ lo dice Hollis stesso, con la filosofia “se una nota non serve, non suonarla”, cosa ben evidente negli ultimi 3 dischi, dove da un pattern avrebbe potuto trarre 50 ritornelli (di successo) ed invece fa 50 pause.
può essere. non conosco sufficientemente i talk talk per esprimere un giudizio assoluto.
noto come ci sia tutto un filone di critica musicale che da sempre esalta “lo sperimentale e il meno noto” e sminuisce il commerciale e il popolare, come se sperimentare fosse sinonimo di qualità.
io tendo a credere il contrario, ovvero che se una musica ha successo ed è popolare, generalmente vuol dire che è buona musica, mentre se non se la fila nessuno vuol dire, in linea di massima, che non ne valeva la pena. e questo vale dai tempi di bach sino ai tempi dei beatles.
la musica sperimentale dei pink floyd, checché se ne dica, era inascoltabile (e invendibile); poi hanno fatto “dark side of the moon” ed è stato un successo planetario.
so che è una sostanza poco affascinante, e ci sono delle eccezioni, ma di solito funziona così.
@Carlo M: quindi, ad esempio, la musica della Pausini è buona, e quella di Alice fa schifo?
caro hytok,
qui si finisce su un terreno accidentato.
parametri oggettivi per misurare la buona musica non ce ne sono, figuriamoci poi per fare un confronto qualitativo fra la pausini e alice.
è una questione di gusti.
io posso ragionevolmente sostenere che la musica di lucio dalla è migliore di quella di sandro giacobbe, e immagino che in moltissimi saranno d’accordo. dopodiché ci sarà pure qualcuno che pensa che sandro giacobbe sia meglio di lucio dalla. e come possiamo dargli oggettivamente torto?
noi possiamo dirgli che dalla canta meglio, o che suona meglio, o che ha un maggior senso del ritmo, perché in questi tre casi esistono (più o meno) dei parametri tecnici che ci permettono di esprimere un giudizio. ma a parte le valutazioni tecniche, se la musica dell’uno sia “migliore” di quella dell’altro è una question davvero dura da risolvere, che finisce quasi sempre per chiamare in causa il gusto personale.
certo esiste la critica musicale, ma anche lì si tratta di apprezzamenti, valutazioni, interpretazioni che per quanto si basino sulla competenza del valutatore sono alla fine della fiera sempre opinabili.
l’unica cosa non opinabile che ci rimane è il successo, la popolarità. se hai venduto 10, 10mila, o un milione di dischi; se ai tuoi concerti vengono 1000 o 100.000 spettatori; quanto spesso le tue canzoni passano alla radio o con che frequenza le tue opere liriche sono rappresentate alla scala di milano.
forse, come diceva una volta qualcuno, la vera grandezza è quando si riesce a far andare d’accordo pubblico e critica.
Carlo M, l’obiezione era che ti sei costruito da solo una tesi da smontare ma hai sbagliato luogo. Di solito qua ci si deve difendere dalle accuse di mettere sullo stesso biano il presunto alto e il presunto basso e di avere scritto un libro di canzonette in cui convivono Spandau Ballett e Jimi Hendrix, in cui si argomenta che i Duran Duran abbiano prodotto più belle canzoni di Zappa. E sì che sei qua spesso.
va bene, forse ho sbagliato luogo. diciamo che il tuo post ha fatto scattare un campanello.
non negherai che esista l’abusato refrain “agli inizi faceva/no buona musica, poi ha/nno virato sul commerciale, ha/nno avuto successo”. ti potrei elencare almeno 100 cantanti, cantautori, gruppi di qualsivoglia filone musicale così marchiati.
è questo adagio che io contesto. vorrei che una volta per tutte qualcuno riuscisse a spiegarmi che cos’è il genere “commerciale”, e perché mai il termine debba avere una connotazione negativa.
Non è questione di commerciale e non commerciale, è questione di crescita, e i Talk Talk sono cresciuti tantissimo dai primi album, entrando in territori più difficili, di minore impatto immediato ma che alla lunga lasciano molto di più. Proprio adesso sto ascoltando l’album di Mark Hollis, stupendo e ti lascia l’amaro in bocca sapere unico. E’ come quando ascolti Jeff Buckley e ti domandi dove sarebbe potuto arrivare, ma in questo caso Hollis è vivo e forse, forse…
Se ascolti le ultime cose dei Talk Talk ti rendi conto che molta delle buona musica che ascolti adesso ne è debitrice, primi fra tutti i Radiohead. Sono un piccolo tesoro che fa piacere tenere per se e lasciare scoprire con chi si parla di musica.
Mark Hollis nelle ultime interviste diceva che lavorava per sottrazione, preferiva togliere dieci note e suonarne una sola, ma quella giusta per lui; in questo si trova la differenza fra lui e il mainstream e forse questo è il motivo percui non fa più niente.