Due giorni fa Repubblica ha pubblicato un’intervista a Massimo Turchetta, capo dei libri in Rizzoli, in una serie di articoli sul “futuro dei libri”. Turchetta lo conosco ed è uno bravo (disclaimer: sarebbe pure il mio editore se scrivessi libri con una frequenza tale da poter usare l’espressione “il mio editore”), e a un certo punto spiega questa cosa su un tema che mi incuriosisce molto, cioè il declino della lettura lunga in generale, indipendentemente da supporti, formati, carta o digitale.
«Ho un mio personalissimo metodo di indagine di mercato che è la metropolitana di New York. Dieci anni fa erano tutti col libro in mano. Quattro anni fa leggevano su kindle ed e-reader. La settimana scorsa avevano tutti un tablet, ma la metà di loro stava ammazzando mostricciatoli o percorrendo labirinti»
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Chissa perche, ho l’impressione che al tizio in questione, quello dell’intervista, non importi tanto se la gente legga libri di carta o elettronici o se giochi sui tablet, quanto a farci credere che lui viaggi spesso sulla metropolitana di New York. Trenta anni fa sarebbe stato fichissimo dire una cosi cosi, oggi mi pare un po fuori dal tempo.
Io, di mio, non sarei determinista. Ma è ormai molto tempo che sto cercando di non cedere alla convinzione (ogni volta più evidente, tutttavia) che per “fare l’editore” bisogna essere fuori dal mondo, ma parecchio. Ah: in prima battuta avevo usato un’altra espressione molto più colloquiale di “fuori dal mondo”; aveva a che fare con Aronne.