Sulle cose di Francesca Borri

L’articolo di Francesca Borri su guerra, giornalismo, eccetera, ha generato grandi discussioni e commenti in rete, che tuttora proseguono. Siccome l’avevo citato qui, e il Post ha pubblicato la versione italiana del testo (quella scritta da Borri, che CJR ha tradotto e pubblicato per prima), qualcuno mi ha chiesto cose e opinioni sull’articolo e sui suoi aspetti che ne sono stati dibattuti. Io sinceramente ero stato interessato da temi che l’articolo evocava diversi da quelli che hanno suscitato le maggiori attenzioni, e non vorrei scomodare la solita metafora del dito e della luna. Ma per mettere a verbale la mia senza commentare successivamente un articolo che l’autrice ha avuto la generosità di accettare di dare al Post, incollo qui un parziale parere che avevo espresso direttamente a lei nelle nostre prime conversazioni via mail su quel testo. Che ripeto, per me pone questioni reali e interessanti.

è un discorso lungo, ma da quando improvvisamente da freelance privilegiato e domestico sono diventato direttore, imprenditore, esperto di informazione online e wannabe cambiatore del mondo, le cose che ho imparato mi dicono che è tutto molto complicato e sta in un sistema di cambiamenti e accadimenti che non possiamo modificare: al massimo trovare un posto dove metterci e dove mettere le nostre ambizioni e desideri apparentemente controcorrente.
Questo, del tuo pezzo, mi piace: che c’è una buona dose di fatalismo disincantato che non pretende di indicare buoni e cattivi ma descrive un contesto, in Siria, e un altro contesto, in Italia.
Ma non c’è sempre, nel pezzo, e resta una vaghezza su quale sia l’alternativa o la possibile correzione a questo stato di cose che tu hai in testa: e questa vaghezza rischia di inclinare verso un demagogico “colpa dei media” (che di colpe ne hanno parecchie) che assolve i lettori a cui non gliene frega niente della Siria o della complessità, e che sono protagonisti di un mercato povero che rende inevitabile che tu sia pagata 70 euro. Quei 70 euro, non ci sono: e dobbiamo decidere chi li deve tirare fuori, se riteniamo sia bene che tu li riceva.
Io stesso non potrei pagarti neanche 70 euro, anche per il tuo pezzo più bello (forse uno sì, una tantum, per capriccio antimprenditoriale): perché quei soldi non mi rientrano mai.
Insomma, no, non ho critiche (se no non ti avrei chiesto un pezzo che non mi piacesse): ma sarei più neutro nell’analisi e nella descrizione dei fenomeni (professionali e umani), perché tutto non suoni come uno sfogo che di nuovo raccolga soprattutto dei “poverina”.
L.
p.s. sì lo so, tu volevi parlare della Siria, e io sono più attento al cambiamento del sistema dei media: ma non mi avventuro in giudizi sulla vita e il ruolo degli inviati di guerra, facendo questo lavoro da una poltrona, 16 ore al giorno, e con un’idea di giornale basata sull’uso e selezione dell’esistente più che sulla produzione di contenuti propri.

Il tuo pezzo (un altro, sulla Siria, che Borri mi aveva mandato, ndb) racconta molte cose, anche se per noi è scritto in una maniera suggestivo-letteraria che è il contrario di quello che cerchiamo di fare al Post: è un tema interessante perché tutto il giornalismo italiano ha da tempo preso una deriva di quel genere (che non è necessariamente criticabile, lo si può fare bene o male, il giornalismo romanzesco), e non trovi quasi mai qualcuno che metta in fila fatti e informazioni non facendo percepire se stesso e il suo autocompiacimento al lettore.
Ripeto, lo si può fare bene o male: tu lo fai a tratti bene, a tratti più banalmente (“la paura è un cancro che ci sta consumando dentro”). Ma non è tanto il nostro genere, il giornalismo emozionato.

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11 commenti su “Sulle cose di Francesca Borri

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  2. uqbal

    Io ho commentato sul Post dicendo in sostanza che trovavo fastidiosi la retorica di Borri e l’atteggiamento narcisista-arrogante, ma che potevo ben sopportarli se l’articolo mi forniva delle informazioni utili ed interessanti. E credo tutto sommato che le fornisca.

    Trovo però che sia una nemesi curiosa che Borri denunci il sensazionalismo d’accatto di molto giornalismo facile (tanto nella penna quanto nelle redazioni che accolgono gli articoli) e poi vada ad incagliarsi tanto profondamente nel “giornalismo emozionato” da farsi rifiutare un pezzo sulla Siria dal Post.

    Poi mi rimane un dettaglio che vorrei capire bene: Francesca Borri, che denuncia il dumping professionale, manda articoli al Post (mi riferisco al pezzo rifiutato, perché la traduzione di un articolo uscito altrove non so come rientri nel discorso) chiedendo quanto? Se il pezzo rifiutato è successivo a quello tradotto e pubblicato sul Post, allora siamo alla gratuità?
    Non è una domanda retorica, chiedo per davvero e lo chiedo perché chiama in causa la credibilità della giornalista.

    E lo chiedo perché su CJR sono anche state fatte osservazioni che mi paiono sensate riguardo al dumping che fanno freelance che non devono campare con i soldi che guadagnano dagli articoli. Forse ciò non riguarda direttamente il problema del sensazionalismo, ma secondo me ci rientra comunque, perché la qualità di quel che si fa è influenzata dalla quantità e dalle ragioni che si hanno nello scrivere.

  3. Luca

    Non ha mandato niente al Post, ha allegato un articolo nel corso di una lunga conversazione per mostrarmelo e integrare la conversazione. Il mio giudizio, le ho scritto, derivava da un modo diverso che abbiamo noi di raccontare le cose.

  4. lorenzo68

    Scusatemi ma a nessuno viene in mente l’economica sproporzione (paradossale) che intercorre tra chi siede alla scrivania all’interno di una redazione e chi (come la Borri) denuncia come infiltrata e in diretta un conflitto armato? Diversamente (cioè senza i freelance) come funzionerebbe?

  5. zmbchkn

    Avevo espresso critiche sulle qualità formali dell’articolo pubblicato sul Post, quindi mi fa piacere venire a sapere che la direzione abbia una posizione molto chiara sull’argomento. Continuate così.

  6. uqbal

    Lorenzo68

    No. Non stiamo valutando il coraggio o l’intraprendenza, ma tutta una serie di aspetti che rientrano nella normale valutazione dei pro e dei contro di ciò che tutti quanti facciamo.

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