Il problema con James Blunt

Era così svenevole, la voce di James Blunt, all’inizio? Quando ci innamorammo di quel primo disco e ci facemmo gabellare tutta quella storia da ufficio stampa di lui che era stato in guerra in Kosovo, aveva scritto di quello, e poi i tormenti e l’improvvisazione della carriera, che ricadevano in quel languore della sua voce oltre che nelle belle canzoni, ecco, quella voce era già così e non ci eravamo ancora abituati, o si è immelensita dopo? Me lo sono chiesto ascoltando questa festa di “ooooò” e filastrocchine nel suo nuovo disco, Moon Landing, che pare di sentire gli One Direction (sarebbero gran canzoni, per gli one Direction, quelle di James Blunt). E allora sono andato a risentire Back to bedlam, quel disco là del 2004 e, beh, in effetti sì: era già svenevolerrima. Però era una cosa nuova e gli arrangiamenti erano un po’ più veri, le canzoni scritte meglio, e l’adescamento di adolescenti non sembrava così una priorità, allora. Poi la musica, si sa com’è, ci si affeziona e si perde il senso critico: quelle canzoni là oggi uno le vorrebbe risentire cantate da qualcun altro, qualcuno che dalla guerra ci sia tornato con la voce indurita e cavernosa, come vuole il clichè. La vocetta, o sei Antony – altro campionato – oppure basta.

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