Il problema è che ne parliamo da decenni, di un declino dei libri e della loro centralità, e quindi pochi prendono sul serio quello che invece sta succedendo in questi ultimi anni e mesi, e che succederà ancora di più. Malgrado le resistenze psicologiche di nostalgici e affezionati – che sono ancora molti e protestano, ma io credo che vedano solo un pezzetto della scena – il libro non è più l’elemento centrale della costruzione della cultura contemporanea. Non parlo, insomma, dell’annosa e noiosa questione del “si leggono pochi libri” eccetera: parlo di quelli che prima li leggevano, i libri; e parlo di quello che comunque ritenevamo “fossero”, i libri, letti o no.
Le vendite dei libri sono in grande crisi, in Occidente e in Italia. Tutti i maggiori editori italiani hanno perdite più o meno cospicue e grafici in discesa: una cappa di desolazione rassegnata incombe su ogni loro riunione o incontro occasionale. Il dato insomma c’è: ma la questione è culturale, non commerciale. E sono due questioni, dicevo.
Una è che leggiamo meno libri, per due grandi fattori legati entrambi a internet. Il primo è che la Rete ha accelerato la nostra disabitudine alla lettura lunga, alla concentrazione su una lettura e un’occupazione sola, al regalare un tempo quieto a occupazioni come queste. È una considerazione ormai condivisa e assodata: la specie umana sta diventando inadatta alla lettura lunga.
Il secondo fattore è che gli spazi e i tempi un tempo dedicati alla lettura di libri stanno venendo occupati in gran parte da altro, e subiscono la competizione di videogiochi, social network, video online, e mille altre opportunità a portata di mano sempre e ovunque. Quelli che leggevano libri sui tram o nelle sale d’aspetto o sui treni oggi stanno sui loro smartphone, e non a leggere ebooks. Ormai stanno sui loro smartphone anche prima di addormentarsi, molti. Tutto quel tempo, non è più a disposizione delle lentezze dei libri: è preso.
La seconda questione centrale nella crisi dell’oggetto libro è che è diventato marginale come mezzo di costruzione e diffusione della cultura contemporanea, che invece sempre più trova luoghi di dibattito, espressione, sintesi, su internet e in formati più brevi. Che non sono necessariamente più superficiali, anzi spesso sono molto più densi e ricchi di certi saggi di 300 pagine allungati intorno a una sola idea (vediamo anche di dire che il libro ha spesso costretto, “per scrivere un libro”, a stirare in lunghezze ridondanti buone riflessioni da cinquanta pagine, se non dieci): ma qui starei alla larga dai litigi inutili su cosa sia meglio e cosa sia peggio e se il mondo peggiori o migliori con il declino dei libri. Limitiamoci a registrarlo e capire cosa succede.
Il “pubblicare un libro” come sintesi e sanzione di uno studio, una riflessione, un’idea, un tema da condividere o una storia da raccontare, è una pratica che non ha più il rilievo di un tempo. Da una parte perché quelli che leggono quella sanzione, e poi ne discutono e la fanno diventare un pezzo del dibattito e della cultura, diminuiscono ogni giorno. Dall’altra perché il mezzo è superato anche su questo. Mi capita qualche volta che qualcuno – editori o amici – mi suggerisca di scrivere un libro, per “dare un senso” e “concretizzare” le molte cose che scrivo online, e mostrarle a “un numero maggiore di lettori”, “perché restino”. Una volta rispondevo che sono pigro e non sono tanto capace di applicarmi su un lavoro di impegno e tempo così esteso e assiduo. Adesso spiego loro che le loro ragioni non valgono più e sono invertite: se c’è un posto dove quello che scrivo “resta” e “raggiunge più lettori”, è internet. I libri spariscono dalla vendita e dall’attenzione – e dall’esistenza – dopo pochi mesi, o pochi anni al massimo (salvo rare eccezioni): ne escono a centinaia ogni mese, e se non vi passano sotto il radar subito, non esisteranno mai più. Vi ricordate il successo – molto pompato – che ebbe quel libretto “Indignatevi”? Cos’era, due anni fa? Oggi è quasi impossibile che un giovane che non ne abbia ricevuto notizie allora ci si imbatta di nuovo. Mentre grazie ai social network e ai link e a Google, cose pubblicate online anche dieci anni fa continuano a trovare nuove attenzioni e tornare a essere lette. Questo post, con buona approssimazione, sarà letto da circa diecimila persone: è un numero che sarebbe considerato un buon successo per un saggio di qualunque autore di non grandissima fama come me (il mio libro Un grande paese ha venduto poco di più), e che rende economicamente sempre meno. E questo post, sarà ancora ricircolato tra un anno, tra due, tre (se non altro per rinfacciarmi di quanto poco ci avessi preso di fronte al grande boom dei libri del 2017).
Poi, ripeto, restano gli appassionati “romantici” dei libri: lo siamo un po’ tutti, e c’è il piacere e c’è la bellezza, eccetera (e internet offre loro nuovi spazi di sopravvivenza, anche se sempre più riserve indiane). E ci sono libri bellissimi, se uno li legge. Come per il teatro, la cui importanza e meraviglia nessuno mette in discussione, ed è bello che esista ancora. Ma non “esiste” più, il teatro: è una nicchia laterale della cultura contemporanea che non interagisce più con la sua crescita e le sue evoluzioni. I libri non sono ancora arrivati a quel punto lì, e magari non ci arriveranno. Ma entrerei nell’ordine di idee che sia plausibile.
p.s. ho ritrovato questo, in America se n’erano già accorti tre anni fa.
Certo un po’ vengono le vertigini a pensare a quante cose sta cambiando e quanto repentinamente la Rete. I “viaggi di lavoro” per dirne una, saranno destinati a diventare sempre più inutili, le riunioni coi colleghi della sede di Singapore si faranno solo via Livemeeting o Skype. Il cinema dubito che sopravviverà come modo di fruizione di un film. Non credo manchi molto al giorno in cui una Universal o Fox farà “il filmone” e lo pubblicherà sui vari media saltando secca le sale. Non posso nemmeno immaginare cosa sia la scuola adesso, rispetto a quella che frequentavo io (e non ho ancora 40 anni, quindi non si parla del cretaceo) e cosa sia studiare adesso. Il concetto stesso di “ricerca” che qualche anno fa era una disciplina che aiutava a trovare e aggregare contenuti è completamente defunto e sostituito da un “I’m feeling lucky” qualunque.
E poi è pazzesco pensare a tutti i segmenti di business che sono stati completamente travolti dalla rivoluzione telematica. Quando ho iniziato a lavorare negli uffici era un pullulare di rappresentanti di aziende che vendevano fax, stampanti, carta per stampanti, oggetti che a distanza di 15 anni negli uffici sono scomparsi o nascosti negli angoli polverosi. Chissà come si guadagneranno la pagnotta questi tizi oggi.
In compenso i servizi postali, a cui avrei impartito l’estrema unzione già prima della fine del millennio scorso causa avvento delle email hanno avuto nuova vitalità grazie al commercio elettronico.
Un’altra che se non è ancora morta vedo comunque parecchio palliduccia è la TV. I servizi di contenuti on demand su internet hanno raggiunto una qualità sbalorditiva anche con connessioni mobili. Se la tv generalista agonizza, quella specializzata potrebbe presto seguirla a ruota sostituita da contenuti aggregati con degli algoritmi sui vari “tube”. Forse la radio è un media che con Internet ha ritrovato una sua vitalità che invece negli anni scorsi sembrava declinare a causa dello strapotere delle immagini.
Non starò a menzionare i quotidiani, di cui per ovvi motivi scrivi spesso e assai meglio di quanto potrei fare io ora.
Se dovessi dire credo che nei prossimi anni anche le attività che al momento sono svolte con degli uffici e degli “sportelli”
(compreso il concetto stesso di sportello) diventeranno preistoria. Banche, assicuazioni, CUP delle ASL, CAF dei sindacati…. presto tutto sarà virtualizzato, anche magari in un modo più umanizzato rispetto ad un form da compilare, tuttavia presumo senza bisogno di muoversi da casa.
C’e’ poi il capitolo reputazione. Ristoranti, prodotti… le persone ormai si fidano di quel che leggono e già la reputazione è oggetto di mercimonio. Fra non molto diventerà un business certificare la reputazione che non sia stata comprata a botte di finti followers o finti likes.
Insomma, vediamo arrivare lo tsunami, ma secondo me non siamo ancora stati travolti del tutto.
Credo che tu (Luca) confonda cultura con visibilità.
È probabile che questo post sarà più letto di un saggio sullo stesso argomento, ma ciò non vuol dire che influisca di più sulla nostra percezione della questione “la fine dei libri”. Le idee che uno riesce a sviluppare in un post sono necessariamente più abbozzate e di conseguenza meno convincenti di quanto avviene coi libri. E questo a causa dell’investimento di tempo e risorse che uno fa quando decide di scrivere un libro. Ovviamente, gli instant book sono destinati a scomparire perché internet ne farà le veci, ma a mio parere non i libri in generale.
Partiamo dai numeri: secondo l’Istat i libri pubblicati in Italia nel 2005 sono stati 59.743; nel 2011 59.237. Praticamente in sette anni non c’è stato alcun decremento. Ma la vera sorpresa è andare a vedere cosa succedeva, per esempio, nel 1980, quando la stella di internet era ancora lontana: i libri pubblicati in Italia in quell’anno furono 17.800. Sì, avete letto bene, oltre 40.000 in meno di quelli immessi sul mercato librario negli ultimi anni. Del resto non occorre affidarsi alle statistiche; se siete fra quanti affollano le librerie da decenni, vi sarete accorti che anno dopo anno sui banchi vengono riversati sempre più titoli. La qualità degli stessi è inversamente proporzionale alla loro crescita. Il libro non sarà più centrale nella cultura contemporanea, come sostiene Sofri, ma resta il fatto che chiunque desidererebbe pubblicarne almeno uno: sportivi, comici, attori, chef, a chiunque oggi è offerta la possibilità di approdare in libreria con un proprio titolo. A chiunque tranne, forse, a chi scrive di mestiere.
La questione della fine del libro è assai complessa e nessuno di noi oggi è in grado di comprendere quale sarà la situazione fra vent’anni. La sola cosa certa è che se il libro è destinato davvero a finire, una bella fetta di responsabilità se la dovranno prendere gli editori. I cosiddetti grandi prima degli altri.
Riguardo ai lettori la questione è tutto sommato più semplice da decifrare: in Italia si è sempre letto poco e si continua a leggere poco. Non credo affatto che chi oggi trascorre il suo tempo in treno o in tram gingillando con uno smartphone, un tempo leggeva libri. Non funziona così. Chi non leggeva prima continua a non leggere oggi, ma non certo perché intrappolato nella rete di videogiochi, social network, video online, e via discorrendo. Anche in questo caso i numeri ci raccontano la verità. Sempre secondo un’indagine Istat, nel 2012 le persone che non hanno letto neppure un libro sono state il 67,5% in Puglia, il 66,6% in Campania, il 65,1% in Sicilia, il 63,6% in Calabria. In fondo alla classifica il Trentino Alto Adige, dove solo (si fa per dire) il 39,1% della popolazione non ha letto neppure un libro in tutto l’anno. Non dispongo di dati al riguardo, ma sono pronto a scommettere che la situazione si invertirebbe se indagassimo la diffusione di dispositivi elettronici fra la popolazione. Solo per dire che si può benissimo convivere con smartphone e tablet e tuttavia continuare a leggere libri. A condizione, naturalmente, che lo si faceva già prima.
Concordo con in toto con l’analisi di LSofri.
Aggiungerei alcune considerazioni.
Internet ha introdotto una nuova dimensione del sapere intellettuale che probabilmente noi, che comunque abbiamo appreso su carta e ci stiamo spostati poi sul digitale, non abbiamo ancora completamente compreso (almeno negli sviluppi).
La cultura trasmessa attraverso il libro si afferma progressivamente, almeno nel mondo occidentale, con l’età moderna ed è forse uno degli elementi dell’evoluzione umana che ci consentono davvero di distinguere l’uomo comune del medioevo e/o dell’antichità da quello moderno.
Il sapere delle carta è un sapere “visivo” nel senso che imprime il concetto su un foglio diffondendolo in maniera individuale, personale. Quando si scrive e soprattutto si legge “non si condivide”. E’ un rapporto uno a uno. E’ un rapporto che esprime un legame di “possesso” con quello che scrivo o che leggo. Mentre lo scrivo mi approprio delle parole; mentre le leggo le acquisisco sempre in modo individuale e se voglio lo condivido.
Non è un caso che il copyright si sviluppi proprio con la cultura cartacea. Io posseggo il sapere, lo comunico per iscritto, ma è un sapere individuale che viene valorizzato in funzione soggettiva.
Questo tipo di trasmissione del sapere era del tutto assente prima della diffusione della carta. Nell’antichità o anche solo nel medioevo, il sapere viene diffuso soprattutto per via “orale” o “aurale”, cioè come rappresentazione orale di un concetto scritto per essere poi veicolato oralmente. Ed è un modo di rappresentazione corale nella quale i concetti, pochi e reiterati, vengono trasmessi dalla persona umana in una dimensione collettiva, più per “stratificazione” (oggi diremo per link o per tweet) che per “cristallizzazione” delle parole.
Ogni volta che il messaggio viene riprodotto ed assimilato può essere alterato, manipolato. Il concetto è molto più fluido, meno schematico; o se vogliamo meno approfondito, dettagliato.
Mi pare che la cultura digitale sia un po’ una commistione di queste tecniche di comunicazione senza poter essere equiparata a nessuna delle due.
Concordo con il post sulla musica: probabilmente nel tempo di internet, della rete, la dimensione aurale ha consentito di rivitalizzare anche la trasmissione di concetti attraverso la parola.
Quello che non riesco a cogliere in prospettiva è come la società tecnologica, che tende essa stessa a semplificarsi proprio per poter essere collettivamente fruibile, possa veicolare il sapere intellettuale. Ripeto, non mi riferisco ad una popolazione umana formatasi nel XX secolo ma a coloro che si stanno formando oggi o che si formeranno nel prossimo futuro.
Facendo una provocazione, non vorrei che tra vent’anni il sapere intellettuale fosse molto più circoscritto di quanto non lo sia oggi, riducendo la persona a strumento di interazione meno organizzata di quanto non lo sia oggi (sicuramente con capacità inferiori rispetto ad una macchina), privo però di capacità decisionale ma solo trasmissiva.
Concordo con il post sulla musica….errore, con il post sulla radio intendevo
Sono sicuro che, a parità di argomento, un post di 4000 battute venga letto più di un libro e che un aforisma abbia ancora più lettori del post e che una vignetta surclassi tutti per numero di lettori. Ma così facendo il respiro della cultura si fa sempre più corto e il lettore inevitabilmente riesce a prendere solo una parte del potenziale che l’autore ha da trasmettergli.
In buona sostanza è la cultura nozionistica che vince una lunga battaglia e internet ne è solamente l’utile strumento. Ma ve li ricordate i Bignami, sì? E d’altronde ha ancora un senso infilare a forza latino e greco nei programmi di scuola e avviare i ragazzi alle buone e lunghe letture? Chiedete ai prof.
La sua Sofri è una prospettiva molto interessante, e veritiera. Però.
Si può raccontare una storia teatrale al cinema o in televisione, ovviamente modificandola; non si può raccontare quello che si racconta in un libro in un articolo di blog.
E’ evidente che i lettori calano, aziende falliranno. Ma un libro ha ancora molto senso di esistere come approfondimento. A volte 300 pagine sono uno spreco, a volte servono per esprimere bene l’idea dell’autore. Quindi il libro rimarrà un mezzo di cultura. Le maggiori difficoltà ce li avranno i romanzi, che per essere apprezzati hanno bisogno di una immaginazione che va coltivata: nel senso che è connaturata in ogni ragazzino ma non va lasciata morire. Ma i buoni romanzi continueranno ad essere venduti, lo vedo con i miei occhi, perché anche un buon romanzo non è sempre semplicemente una versione sbrodolata di una sceneggiatura di un film. E’ un po’ il discorso del tablet e degli smartphone che sostituiscono i Personal Computer fissi: solo se si usano i PC solo per andare su internet e giocare a carte. Il problema potrebbe essere “come e quanto” saranno venduti, ma quello è un problema degli editori attuali. Non è detto che società come Amazon li ingloberanno.
Io sono il primo che ha il proprio tempo libero pantofolaio che viene diviso da videogiochi, serie tv americane, film, musica a piacimento su spotify e quindi anche libri. Però i libri rimangono.
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Alla terza o quarta puntata di questa serie sulla morte del libro, a me viene piuttosto da pensare che sia l’esistenza dei libri a causare un qualche disagio psicologico a Sofri.
Tutta quella polvere, cough, cough. L.
Secondo me metti insieme saggi e narrativa e non funziona del tutto. Per ciò che mi riguarda, mai e poi mai comprerei qualcosa in forma di libro che mi spiega l’attualità, però compro molta narrativa (che giudico, talvolta sbagliando, di qualità e che mi piace rimanga e che ogni tanto riguardo) sia contemporanea che antica. Non trovi esista una sostanziale differenza? L’attualità la vedo e ne rifletto ogni giorno su internet, mentre la narrativa lenta mi piace tenerla accanto e che rimanga per sempre. Certo, parlo comunque da lettrice over 40, però vivo nel mondo e vedo figli e giovani vari.
Appartengo alla categoria dei nostalgici e affezionati (che sono ancora molti) e leggo molti libri, da quando ho il kindle anche di più (ma ne pago solo una parte). Il mio punto di vista, quindi, è quello di un appassionato di narrativa, ed è possibile che come tale riesca a vedere solo un pezzetto della scena.
Credo che la considerazione più interessante di questo post sia che la cultura, negli ultimi anni, non passa più necessariamente per i libri – o il cinema, o i giornali. Il parallelo con il teatro temo che sia abbastanza azzeccato: sono arrivati nuovi mezzi di intrattenimento che renderanno marginali i vecchi mezzi.
A quest proposito è bene ricordare che la letteratura, anche quella straordinaria di Tolsoj o di Kafka, è prima di tutto intrattenimento. Cioè un modo piacevole, divertente, appassionante di passare il tempo. Da quando ci sono i computer collegati a internet passare il tempo senza annoiarsi è diventato così facile che la scomparsa delle riviste e il ridimensionamento del ruolo dei libri e dei film è inevitabile.
E tuttavia – e in questo la mia posizione differisce da quella di Sofri – sono convinto che abbiamo e avremo sempre bisogno di restare un po’ in silenzio e farci raccontare una storia dall’inizio alla fine. Almeno noi che oggi abbiamo più di 30 anni. Quelli più giovani non so, si tende sempre a vederli come animali strani, ma ho il sospetto che siano più simili a noi di quanto sembra, anche in questo.
E’ bello e sarà sempre bello allontanarci dalla realtà per un paio di d’ore ed appassionarsi alle vicende di personaggi fittizi. Lo si può fare in molti modi. Ci sono i film, ci sono i videogame, ci sono le serie tv. C’è la musica, in formato album intero, da ascoltare tutto. E ci sono i libri. Sono convinto che di tutte queste forme di intrattenimento e di evasione, i libri saranno l’ultima a morire.
Punto di vista interessante. Mi spingerai più in là: sta finendo/mutando il concetto di “cultura” in generale come lo conosciamo. Siamo sempre più connessi e capaci di interagire orizzontalmente, in un eterno presente che ignora il passato e si cura poco del futuro. I libri infatti servono anche a sedimentare la memoria, la rete più che altro a cancellarla, affogarla, mistificarla.
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Condivido l’analisi, non il catastrofismo che traspare specialmente da alcuni commenti.
E’ vero, il fenomeno del libro in disuso e’ ormai tanto esteso che anche i lettori accaniti lo stanno diventando meno. Che dire delle bellissime serie in circolazione? Quanto ancora Franzen, Mason, Dunne, Tyler, Shine, perfino McEwan o Roth o Houllebecq resisteranno a House of Cards, Orange is the New Black, Newsroom, The Wire, Mad Men… ?
Anche il lavoro di scrittore si presta ad essere integrato in prodotti più complessi e stratificati, ma anche più completi e fruibili. Non sembra così terribile.
Mi pare un po’ la scoperta dell’acqua calda.Tra l’altro,non è stato evdidenziato granchè il punto per cui l’e-book da noi non sta prendendo piede,comunque molto meno che in altre nazioni europee,per non parlare degli Usa.Il discorso dell’affievolirsi delle vendite dei libri (e dei giornali cartacei) è legato si al web ma soprattutto al fatto che,tendenzialmente,non siamo mai stati dei grandi lettori.Tolte le grandi città (dove pure sono state sostituite,spesso,da istituti di credito,le librerie sono un miraggio e,oramai,tolti i bestseller,si fatica pure a trovare un titolo appena underground e/o solo di qualche tempo fa.
La lettura lunga è solo una proiezione mentale (a menoi che non vogliamo davvero credere che davvero i lettori dei quotidiani si pappassero i barbosi editoriali di un Adriano Sofri o di uno Scalfari,di un Bocca etc) e pure le vendite dei giornali sono sempre state,qui da noi, basse;molto basse.Voglio dire che il web ha solo trovato un terreno già disossato da intellettuali loffi o ipocriti-non raramente entrambe le cose-e da un consumismo becero che si è fatto Istituzione.Per i libri è accaduto quello che è successo con il berlusconismo per la politica: una situazione fatisciente di per sè è stata arraffata con piglio bressoniano (nel senso di “Pickpocket”) dal più bravo (leggasi: dal più scaltro ed impudente).Quindi,il discorso librario va esattamente ricondotto a questa fattispecie,ma non da oggi,bensì da minimo tre lustri; prima che l’ebook si espandesse(pur mai attecchendo,fuori dalla cerchia snob) e prima che il web diventasse fenomeno di massa (parliamo della seconda metà dei ’90,per capirci).”La pittura-dice la volitiva Samantha Morton in “Cosmopolis” – ha perso la sua forza narrativa,tanto tempo fa”.Lo stesso è accaduto al tempo.Ma siamo davvero sicuri che sia accaduto anche alla letteratura,se non altro quella romanzesca? Non credo.Certo, gli intellettuali barbosi con il deretano coperto possono sostenerlo ma quando si sostiene una cosa del genere bisogna dimostrarlo,lavoisieramente.I libri,come forma di comunicazione,si stanno semplicemente evolvendo:ma non è un evoluzione paragonabile,finora, a nessun’altra forma artistica.Il cartaceo è destinato a sopperire,eventualmente,per carenze culturali-sociologiche-restringendo il discorso al profilo italiota- e non,come si vuol far credere perchè la gente smanetta sul web.Quante sono,quaggiù in città (leggasi:Italy) quelli che degustano una lettura digitale di un giornale straniero?Nons erve risposta,la risposta è nei fatti,nei siti gossippari,anche in alcuni post cronachistici-che strizzano l’occhio alla morbosità-di questo e altri blog.
La letteratura-che del libro cartaceo è la portatrice sana,pregna di un’araldica intonsa da “cattive intenzioni”- ha spalle forti per non precipitare,in generale.Se poi-QUI ed ora-l’apocalisse nostrana sia già in fase avanzata non lo dobbiamo certo-non principalmente-al contingentamento del tempo ma a quel tipo che,guardandosi nello specchio,non ha libri tra le mani ma riconosce,mellifluo,sempre il suo nome,anche se è cambiato:italiano medio.Finchè una vera ristrutturazione (leggasi:investimenti mirati e poderosi) della Pubblica Istruzione non avverrà,la crisi del cartaceo sarà cibo buono per le masturbazioni iscariotiche dei soliti “quattro intellettuali”,e le pretese di decifrare il futuro saranno sempre l’alibi migliore,per noi.Se il libro esala l’ultimo respiro,pulpando pagine-agonizzante-l’indagine da fare non è su quelle centinaia di pagine lasciate ad ammuffire in una libreria qualsiasi ma sul lettore.Che,i gonzi soltanto non se ne accorgono,non è un’unità indistinta dalla Groenlandia alla Papuasia.Oltre al fatto che il segreto compiacimento di chi campa col web, nel vedere la rianimazione mancata del cartaceo, non si capisce a che porti.Un popolo di ignoranti lo rimane pure in e-book.Come prima-e ancora-lo è con un libro-invisibile,ca va sans dire-tra le mani.
Baricco in “Barbari” parlava di questo processo. Oggi c’è una tendenza alla superficialità, alla brevità. Leggo quest’articolo, nel frattempo ascolto musica, gioco sull’i-phone e chatto con i miei amici, non c’è più in media un’immersione in profondità nei contenuti delle nostre fruizioni mediali. Non dico che sia un fatto positivo o negativo ma è un abitudine che stiamo acquisendo quasi automaticamente. Per quanto mi riguarda l’approccio al cartaceo, al libro, anche a livello sensoriale rappresenta un’esperienza totalmente diversa rispetto alla lettura on-line.
“la specie umana sta diventando inadatta alla lettura lunga. […] Quelli che leggevano libri sui tram o nelle sale d’aspetto o sui treni oggi stanno sui loro smartphone, e non a leggere ebooks. Ormai stanno sui loro smartphone anche prima di addormentarsi, molti. Tutto quel tempo, non è più a disposizione delle lentezze dei libri: è preso.”
Ottimo, perché tra una trentina d’anni degli schiavi potrebbero farmi comodo, e il pensiero che saranno dei “nativi digitali” fa apparire la prospettiva ancora più dolce.
Quanto ci offrono internet e libro sono due cose proprio diverse, l’una non esclude certo l’altro e fatico sinceramente a pensare che si leggono meno libri perché si legge più sul web.
A me viene piuttosto da dire che si legge meno perché in Italia il “culto dell’ignoranza” è davvero molto forte, profondo e radicato.
Così il fatto che si legga più superficialmente sul web, piuttosto che leggere un libro, è forse più un effetto della non voglia di cultura che la causa del declino del libro.
Chi ne ha voglia sa usare bene e in maniera indifferente sia web che libro di carta, apprezzando i contenuti offerti da entrambi.
Credo che tu abbia ragione (prima frase in particolare), tra l’altro ancora non ho capito su quali dati e analisi certe si basi questo presunto declino del libro o della sua centralità che ad intervalli regolari qualcuno tira fuori. Di certo c’è solo che in Italia si legge poco, molto meno di un tempo. Ma questo non ha nulla a che vedere con il discorso che si fa da queste parti.
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qui un interessante contributo di Casati al dibattito più generale
http://www.doppiozero.com/materiali/speciali/contro-il-colonialismo-digitale-una-risposta
la parte più siginificativa credo che sia quella odve casati mette in guardia non tanto dalla fine dei libri (anche s el’allarme c’è) quanto dalla difesa delle potenzialità del digitale che si sta trasformando da strumento di emancipazione e liberazione culturale a strumento di coercizione a favore dei meccanismi commerciali e capitalistici.
In sostanza se possiamo anche non preoccuparci della fine dei libri, dobbiamo preoccuparci seriamente di come i nuovi strumenti della conoscenza ci vengono imposti
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