Michele Serra oggi commenta la storia dell’assessore lombardo che ha combinato un guaio e rovinato una tela del Settecento, per sbaglio. Dove l’uso dell’espressione “per sbaglio” ha un senso diverso da “per caso”, e non insignificante: Serra saggiamente spiega come molte cose anche gravi accadano a uomini senza colpa, per distrazioni ineludibili o aliti di vento. Sarebbe però interessante discutere se sia realistica l’eventualità che un analogo stappatore di bottiglia potesse guardarsi intorno e fare più attenzione, e se questo non indichi che ogni “caso” sia uno “sbaglio” (o una responsabilità di qualcuno, comunque), con tutta l’indulgenza che si può avere per uno sbaglio: o se oppure ci siano circostanze prevedibili e circostanze imprevedibili e quali siano. E che il non averle previste non ti renda così innocente. Se sia giusto sgridare il figlio sbadato e goffo che per la centesima volta rovescia il sugo sulla tovaglia, e non il padre a cui ogni tanto capita pure a lui. Per non dire dei calcoli sugli esodati da parte del governo. Insomma, intorno alla Cazzata Accidentale gira una conversazione da bar che ci mette un attimo a raggiungere i massimi sistemi.
Cassago è il tipico artefice della Cazzata Accidentale, una sorta di evento astrale (voglio dire, indipendente dalla volontà umana) che arriva a coprirci di ridicolo senza tenere in alcun conto meriti e demeriti. Non conta che egli sia un genio o un cretino, uno scrupoloso servitore del popolo o un cinico demagogo: conta che il Caso abbia deciso di ridicolizzare proprio lui, non altri, con la stessa distratta casualità con la quale quel tappo, piuttosto che rimbalzare su una parete, ha violato un dipinto. Credo fino a un certo punto nell’origine inconsciamente dolosa del lapsus, dell’incidente, del gesto maldestro. Credo nella sovranità del Caso, dunque del caos. Può capitare a chiunque: al giornalista cui sfugge una minchiata in buona fede, al politico che proprio durante il comizio decisivo ha la cerniera lampo abbassata, all’innamorato colto da dissenteria proprio la sera dell’appuntamento fatale. Siamo fragili. Siamo ridicoli. Proprio per questo meritevoli di compassione.