Chiedo scusa per la brevità e l’apparente ovvietà del post, ma con mia stessa meraviglia si direbbe ce ne possa essere bisogno.
“Io sono Charlie”
vuole dire che
“io sono perché Charlie sia sempre libero di pubblicare quello che ritiene”.
non vuole dire
“io sono sempre d’accordo con quello che Charlie pubblica”.
Ecco. Fate girare, come dicono quelli.
E anche un po’ “e allora dovete ammazzarci tutti”
Poi compare il caso Dieudonné, uomo che considero deprecabile, ma che storpia Je suis Charlie in una provocazione puntuale.
Ora lui è indagato per apologia di terrorismo nella stessa Francia di Charlie Hebdo. Dice, ma non è satira la sua. Dipende dal punto di vista.
Libertà di espressione è allora solo mettersi d’accordo a maggioranza su chi è permesso insolentire?
Preferisco comunque l’estremità della libertà di espressione garantita a tutti indiscriminatamente piuttosto che l’estremità opposta della repressione secondo un codice molto umano, e arbitrario. Con ciò però va detto che la liberissima Repubblica di Weimar riuscì ad eleggere un mostro libero di sostenere tesi abominevoli senza che nessun altro, con la sua libertà, fosse più forte nelle sue argomentazioni. E questa prospettiva teoricamente riproponibile devo dire che mi turba.
A mio avviso, viene prima il dovere di rispetto piuttosto che il diritto alla parola anarchica.
Lungi da me essere polemico, ma a me tutto questa storia di Charlie, sembra più che una rivendicazione di giustizia una demarcazione ben precisa di chi sono i buoni e i cattivi. La dimostrazione che ancora una volta abbia vinto il divide-et-impera, che ancora una volta si sia scelto di schierarsi contro una fazione invece che contro un atteggiamento e tentare di interrompere un infinito alimentarsi di violenza e terrore. Perché siamo tutti Charlie e non siamo tutti le bambine che hanno usato i mostri di Boko Haram? Che bisogno c’era di far credere al popolo che è in pericolo la libertà d’esressione (presunta), quando è palesemente in pericolo la conoscenza della storia nostra e degli altri e una corretta valutazione etica di quello che ci succede intorno?
Anch’io sono d’accordo perché Charlie e chiunque (la stampa non ha più diritti) possa pubblicare o dire o pensare e fare quel che gli pare.
Anche Kouachi, Coulibaly e gli altri.
Il potere alla fantasia
Non esiste il “si deve”, “è opportuno” ,”è meglio di no”. Esiste il “si può, sono in grado di farlo e mi è permesso e lo faccio”.
Alla fine si fa il conto tra le parole ed i loro diritti ed i fatti. Ed ognuno si tiene le parole ed i fatti che sono conseguenza delle parole, dette e scritte o disegnate. A ciascuno il suo, come diceva quello.
Anche se è ovvio, si direbbe ci sia bisogno di dirlo.
E di farlo girare.
I simboli gli oggetti che migliaia di migliaia di persone hanno esposto durante la manifestazione Parigina, è stata la matita di vari colori la penna il pennarello. Io spero, affinché le nuove generazioni, invece di abbracciare impugnare i micidiali Ak, diventino tanti bravissimi disegnatori, spiegando con i disegni, le vignette, “Io sono Charlie sottoscrivo con questo disegno universale la mia libertà…..
nonche’ liberi di indossare il niqab, che pero’ in Francia non si puo’, o di dimostrare a favore della Palestina, che pero’ in Francia non si puo’, e di disegnare vignette antisemite, che pero’ dentro la redazione di Charlie Hebdo non si puo’
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o’ cielo
Ero alla manifestazione a Parigi domenica scorsa. Una marcia di tante ore dove si vedevano solo persone, pochi simboli, nessun riferimento a ideali politici o religiosi … solo individui. Bambini di tutte le età. Molte etnie e culture hanno sfilano mescolate. Addirittura persone gravemente disabili, accanto a me un signore zoppo si è trascinato da solo per ore per manifestare che era lì a fare la sua parte. I canti intonati : marsigliese, liberté d’expression, merci la police, démocratie, je suis Charlie e poche altre cose…
La settimana scorsa a Parigi la gente ha fatto i conti con la possibilità di una società violenta. La prima sensazione è che bisogna proteggere la vita. Si ha molto timore quando si apprende che nelle strade dove passiamo ogni giorno si spara. Oppure se la polizia deve evacuare il tuo posto di lavoro, la tua casa o il tuo quartiere. Ancora più paura si ha se chi spara vuole impedire agli altri di pensare liberamente. La gente ha reagito cercando l’unità con poche parole molto semplici come Vita, libertà. Non era mai accaduto che i francesi fossero talmente uniti, neanche altri fatti recenti di terrorismo hanno scatenato reazioni simili, come se la gente si fosse resa conto che quei proiettili erano destinati a ciascuno di noi.
Je suis Charlie secondo me significa vita! rigetto della violenza! e libertà di vivere esprimendosi!
Ora non resta che applicare questa massima anche agli umili commentatori de ilPost.it.
provo a pensare: il giorno prima chi se lo filava Charlie?
Dobbiamo arrivare sempre il giorno dopo?