L’attentato di mercoledì a Parigi ha riaperto molte diverse discussioni eterne e forse irrisolvibili, su cui però si può provare a pensare in modo indipendente dagli opprimenti dolore e rabbia (è assurdo che persino li si debbano ricordare) generati dalla strage di persone commessa da due trogloditi assassini e dalla disperazione che una cosa come questa mette addosso.
Ne elenco alcune, di queste discussioni, anche per distinguerle l’una dall’altra, che il loro groviglio sennò rende ancora più sventate molte cose che si leggono.
1) la questione della responsabilità delle religioni rispetto alle proprie depravazioni fanatiche
2) e di quella musulmana in particolare.
3) la questione del valore e del ruolo della satira nelle nostre società.
4) la questione di come si devono comportare i media in occasioni come questa rispetto alle loro consuete scelte editoriali.
5) la questione di cosa determina che “vince il terrorismo” o vinciamo noi.
Metto insieme un po’ di pensieri, premettendo che su alcuni di questi temi non credo si possano avere opinioni esatte, assolute e definitive: io comunque non le ho.
1) sostenere che la religione non abbia niente a che fare con le violenze compiute in suo nome è un atteggiamento pilatesco o sintomo di una coda di paglia, secondo me. Qualcuno dirà che si uccide anche in nome delle idee politiche o di altri pretesti: ma infatti noi temiamo e combattiamo anche le idee politiche che avvicinano alla violenza, e ogni altro pretesto che la generi (pensate agli abusati concetti dei “cattivi maestri” o del “brodo di cultura”). Le religioni non creano pensieri più violenti di altri, ma creano anche pensieri violenti che sono figli proprio di una lettura delle religioni, distorta o no. Oppure creano, almeno, intolleranze, pretese di limiti molto stretti. Finora, per capirsi, non si conoscono frequenti violenze in nome dell’ateismo (ogni tanto ribollicchia qualche anticlericalismo fanatico, ma grazie al cielo finora innocuo): e insegnare idee dogmatiche alimenta più facilmente il fanatismo che non coltivare il dubbio e la duttilità del pensiero, anche su Dio. Le religioni e i loro predicatori non sono tenuti a sentirsi in colpa di colpe che non hanno: ma a porsi il problema di quello che succede in loro nome e di come impedirlo, sì, piuttosto che negarlo (non è un tema molto diverso da quello della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica). Proprio in nome delle loro “buone fedi”.
2) la questione dell’Islam è delicata e spesso intrattabile. Non ci girerò intorno: per quanto diciamo che le religioni siano tutte uguali e Dio sia il Dio di tutti, esiste un Dio il cui nome viene pronunciato più spesso quando si scannano le persone. Al tempo delle Crociate era un altro, ricorderà qualcuno: ma ora non siamo più al tempo delle Crociate e i fatti di cui dobbiamo occuparci sono questi. Non credo mi interessi se l’Islam sia intrinsecamente più violento o se invece sia solo diffuso in società che sono loro più violente o più arretrate rispetto ai diritti e alle convivenza civile (ma come vediamo, fanatisimi islamisti assassini prosperano a Parigi, per esempio): guardo ai fatti e a da dove viene il terrorismo e da dove vengono le stragi. Non mi piace chi chiede – spesso strumentalmente per capriccio da curva – sterili esibizioni di sdegno ai musulmani: ma anche qui, non credo basti dire “sono un musulmano moderato” come se si vivesse in un altro mondo. Quando il comunismo sovietico o cinese rivelarono le loro abiezioni conosco molte persone di sinistra che ne soffrirono, se ne fecero carico, e furono le prime a prenderne le distanze e cercare di indicare quelle abiezioni come tali e combatterle. Idem per i terrorismi politici: pensate se il sostegno o l’indifferenza fossero rimasti così estesi.
Sostenere che alla religione musulmana vadano concesse indulgenze maggiori è una specie di razzismo all’incontrario.
3) la satira – l’ho scritto altre volte – è spesso diventata a sua volta una chiesa e un fanatismo. Chi la eleva a categoria speciale e assoluta, con dogmi (“la satira non conosce regole”, “la satira è contro tutti”, “questa è censura!”) analoghi a quelli delle religioni, si allontana totalmente dal suo spirito che dice di sostenere. La satira è utile e preziosa – come molte altre forme di cultura e comunicazione – nel momento in cui la sua libertà genera libertà di pensiero e maggiore consapevolezza della realtà: se la si legittima in quanto tale, in quanto satira, come una categoria superiore e inattaccabile, la si rende sterile e fanatica a sua volta e si diventa intolleranti. Ugualmente legittima e giustamente libera, ma sterile o addirittura dannosa per i suoi lettori e per le società che la ospitano, quando è mediocre, bugiarda, inutilmente violenta e non accetta critiche o scelte: né più né meno dell’informazione bugiarda, mediocre e irresponsabile. Il che non rende meno indispensabile difenderne la libertà di esistere (e la libertà di criticarla o disprezzarla, anche), ma è innegabile che vediamo spesso contenuti di satira che troviamo stupidi, deplorevoli o esercizio di routine professionale da parte dei loro autori: non fanno ridere, non fanno pensare, non fanno capire, al massimo segnano il punto per una curva. Come può avvenire per un articolo, un libro, un film, eccetera: libertà è anche libertà di criticare la satira.
Scrive Arthur Goldhammer:
To transform the shock of Charlie’s obscenities into veneration of its martyrdom is to turn the magazine into the kind of icon against which its irrepressible iconoclasm was directed.
Vengono in mente quegli autori di satira che si sentono investiti da una missione obbligata, e quell’idea di satira come una specie di culto dissacrante a tutti i costi, se no non è. Integralismi.
Quindi penso sia sacrosanto difendere il diritto di satira, ma è intollerabile chi lo usa come alibi per difendere dalle critiche o dal disprezzo la propria satira: se la tua vignetta fa schifo, è stupida, è inutile, confonde l’intelligenza della satira con lo spararle grosse e disegnare molti culi e dire cacca cacca cacca, che io non la pubblichi non è censura (altra parola abusata dai vittimisti mediocri: questa è riprovevole censura, per esempio?): è una scelta editoriale tra le molte che si fanno ogni giorno.
4) in giorni come questi, però (purtroppo è successo altre volte), la pubblicazione o meno di vignette o altri contenuti non è più una questione di ordinaria amministrazione di qualità: intervengono altre priorità che è pavido fingere di ignorare. In molti che hanno deciso di non pubblicare le vignette hanno usato in questi giorni due argomenti: uno, che “non aggiungono niente” (risposta simile a una data rispetto ai video delle violenze assassine, ma questa è un’altra storia), e due, che “non pubblichiamo contenuti volutamente e inutilmente offensivi” (lo ha detto anche il direttore del New York Times, tra i dubbi della sua saggia Public Editor).
Entrambi i principi sono giustissimi (provate a pensare questo, per esempio): il problema è che non si applicano oggi.
Le vignette aggiungono: nessuna persona in buona fede può sostenere di avere la stessa identica idea di quello che è successo, delle sue ragioni, e di cosa significa, senza aver mai visto una pagina di Charlie Hebdo: se così fosse, perché allora pubblicare le foto dei disegnatori uccisi, per esempio? “Che cosa aggiungono?”
La verità è che il lavoro dei media è raccontare storie importanti nel modo più accurato e completo possibile: e come è fatto Charlie Hebdo e cosa offende i fanatici sono pezzi di questa accuratezza e di questa completezza.
E poi, questi contenuti non sono più, oggi, “inutilmente offensivi”: sono probabilmente offensivi, sì, per qualcuno, ma utili a capire per altri, e utilissimi a difendere una libertà di principio per tutti quanti (e nessuno pensa di pubblicarli perché li condivide: molti sono schifezze facili e pigre), a prescindere da come li giudichiamo. Il fatto è che pubblicarli, oggi, è rifiutarsi di pagare il pizzo.
Come spiegò il Post su un caso simile di cinque anni fa in cui grazie al cielo nessuno veniva ammazzato, dopo aver deciso di linkare una vignetta invece che mostrarla:
Non vogliamo offendere nessuno fino a che non ce ne sia bisogno per difendere qualcuno. Quel giorno, fosse anche domani, la homepage del Post ospiterà ben più che una vignetta.
5) il terrorismo vince, ha scritto qualcuno. Vuole fare paura, fa paura. Molte altre cose indicate sotto la formula “è darla vinta ai terroristi” non mi convincono. Per non dargliela vinta, dovremmo non avere paura, ma è impossibile: dovremmo fare come se niente fosse, ma è intollerabile.
Quello che possiamo fare, ed è difficilissimo, è continuare a essere diversi dai terroristi, e ad esserlo sempre di più, come disse in un bellissimo discorso dopo Utøya il primo ministro norvegese. E rendere quello che siamo un modello più forte e attraente di quello bestiale fanatico, lato oscuro della forza che governa gli umani.
Usare la forza per difendersi è indispensabile, oltre che giusto: mettersi nella stessa guerra in cui ci invitano, come si è visto, non migliora le cose. Alla fine, appunto, sono tutte cose che abbiamo già detto.
“Se vogliamo andare in giro per il mondo a schiacciare terroristi da Kabul a Manila, sarà meglio che ci assicuriamo di essere sempre i migliori cittadini e il migliore Paese possibile. Altrimenti lo perderemo, il resto del mondo”
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Buongiorno Direttore.
Il suo (bellissimo) articolo ed il riferimento alla pubblicazione o meno delle vignette e soprattutto il riferimento ad una vignetta su Falcone in un altro link mi fa pensare, come hanno già detto altri in rete, che sia in buona parte ipocrita e al limite della falsa informazione il non pubblicare vignette di Charlie Hebdo come quella della Trinità in piena orgia. (il Post l’ha fatto, lo so).
Forse la gente non si sarebbe identificata troppo col Je suix Charlie ?
Vediamo di riassumere e commentare i punti salienti della sua pensata.
1) Sono le religioni a creare i violenti. Secondo me no, la violenza è una forma espressiva irrazionale attinente una vasta gamma di attività umane, dalla politica allo sport, dagli affari alla criminalità, dalla cronaca nera fino all’uccisione di un mucchio di persone a caso, nelle scuole, nei cinema, nei parchi, per la strada, senza un motivo preciso. A me sembra invece che la responsabilità di una specifica religione, l’islamismo, faccia contenti gli atei nostrani, solitamente di sinistra, specialmente di sinistra comunista, che non vedono l’ora di trovare una scusa per esercitare la forza oppressiva e distruttiva della non-violenza democratica che mira a distruggere legalmente il nemico del popolo, il nemico di classe, il nemico ideologico, compresa qualunque religione non sia quella marxista, per motivi storici e geografici specialmente la cristiana, facendo discorsi generalistici, con la propaganda, approfittandone per esempio per pubblicare “satira” blasfema contro i cristiani che di solito i media seri considerano spazzatura, e magari tirando in ballo, come fa lei, lo scandalo pedofilia, che c’entra come i cavoli a merenda. Possiamo chiamarlo sciacallaggio ideologico? Possiamo chiamarlo opportunismo da real politik? I fondamentalisti della chiesa politica mi fanno tanta paura quanto i terroristi, è c’è più di un trait d’union fra la destra social-nazionalista, o nazional-socialista, e l’estrema sinistra, c’è una sovrapposizione identitaria.
2) Essere mussulmani equivale a essere complici dei terroristi. Non sono d’accordo. L’islamismo può avere una colpa intrinseca, che risiede nella struttura stessa della religione mussulmana, solo in virtà del fatto che i fondamentalisti si appellano a un’interpretazione letterale delle scritture e alla pretesa che le leggi religiose diventino leggi dello stato. Anche il cristianesimo ha dovuto abbandonare l’aderenza letterale nell’interpretazione dei testi sacri. Si tratta del normale sviluppo di una credenza religiosa tenere fede ai principi fondamentali e abbandonare gli orpelli superstiziosi. Nessun cristiano al mondo vuole imporre come legge dello stato la confessione, mentre molti islamici vogliono la conquista degli infedeli e l’applicazione mondiale della sharia, non perché si son svegliati così una mattina, ma perché c’è scritto nel corano, lo vuole il profeta. A differenza del cristianesimo, per i mussulmani è più difficile rinunciare ai rami secchi della loro religione senza far morire la pianta, in quanto è una religione la cui esistenza si basa su principi non-democratici, ecco perché alcuni si spingono a parlare di scontro di civiltà. Anche il comunismo è una religione di quel tipo, perché il confine tra ideologia e religione è molto sottile, e la chiesa cattolica è una delle poche istituzioni religiose che, per motivi storici che l’hanno vista interprete anche della vita politica in occidente, ha ben presente il problema e cerca di non diventare in un’ideologia. I comunisti almeno fanno un partito, la chiesa dell’islam invece non è nemmeno un’istituzione, non ha una gerarchia, non ha un capo, e non riconosce nemmeno come tale il problema dell’ideologia e dello stato etico. Non è colpa dei mussulmani così come non è colpa dei poveri discgraziati che hanno creduto nel socialismo e nel nazionalismo e hanno lottato, anche con eccidi attentati stragi e rivoluzioni, la lotta armata predicata come unica via possibile dal profeta Marx, per l’avvento del paradiso comunista.
3) La satira è uno strumento della propaganda mediatica. Vero. Lo stesso Stalin, durante il Terrore rosso, diceva che il miglior modo di eliminare un avversario potente non era ammazzarlo, perché ne avrebbe fatto un martire, ma renderlo ridicolo, farne una macchietta, rovinarne la reputazione. Si è a favore della satira se attacca qualcuno o qualcosa che non ci piace, quando lavora dalla nostra parte, ma siamo pronti a invocare punizioni esemplari se tocca qualcosa a cui invece teniamo molto, che riteniamo sacro e inviolabile. Si immagini una vignetta con Moro che sorride mentre viene inchiappettato dalle brigate rosse, oppure i partigiani raffigurati mentre fanno un’orgia, oppure ebrei che si masturbano nei campi di concentramento, perché è questo il tipo di “satira” di cui stiamo parlando, secondo me ci sarebbero reazioni scandalizzate, appelli all’intervento della magistratura, manifestazioni organizzate.
4) Non pubblicare le vignette blasfeme, oggi, sarebbe come “pagare il pizzo”. Non penso proprio. Pubblicarle, oggi, ha lo stesso significato di ieri: essere provocatori per dimostrare ai mussulmani che noi, qui, nei paesi occidentali, a differenza che negli stati islamici dove vige la legge della sharia, abbiamo il diritto legale di farlo, confermando nella testa degli estremisti che l’unico modo per farci smettere è farci la guerra, abbattere i nostri governi e andare al potere, convertirci all’islam.
5) Quello che possiamo fare è continuare a essere noi stessi. Perché, abbiamo scelta? Possiamo diventare qualcun altro? Essere noi stessi però significa anche difenderci. Difenderci significa anche saper dire adesso basta a un dittatore tedesco nazional-socialista, per esempio, anche se comporta mandare i nostri figli a morire oltreoceano, consapevoli che la ricompensa per l’altruismo è l’ingratitudine. Limitarsi a sbattere in faccia la nostra diversità ai fondamentalisti di ogni chiesa ideologica non ci rende più forti di prima. La pretesa superiorità antropologica della sinistra, orgogliosa di essere atea, non è diversa dalla certezza degli estremisti di essere nel giusto quando reagiscono alla mancanza di rispetto degli infedeli. Quello che possiamo fare è aiutare i mussulmani a istituzionalizzare la loro religione e a evitare che diventi ideologia, fintanto che ciò non avviene, ammesso che sia possibile senza ricorrere alla forza, l’unica soluzione praticabile è tenere le distanze, evitando magari stupide e inutili provocazioni, oppure tirare fuori le armi e scontrarsi come i tifosi dello sport o i militanti di partito.
Dissento sul primo punto. Non mi pare che le religioni in generale abbiano a che fare con la violenza. Non ricordo episodi di violenza in qualche modo connessi al buddismo, taoismo, confucianesimo per esempio. Se si fa riferimento al Cristianesimo non credo sia corretto. SI certo le crociate, la caccia alle streghe… ma sono passati centinaia di anni. Che non si ricordino episodi di violenza in nome dell’ateismo è anche discutibile: ricorderei la Vandea e la ghigliottina nell’illuminismo francese, ma anche i morti causati dal comunismo che quantomeno videro protagonisti degli atei e che frono contro le religioni in genere. Oppure oggi la Corea del Nord, un regime che si fonda sulla violenza e che credo sia ateo.
Occorre , secondo me, anzi riconoscere invece che la libertà e tutti gli altri valori di cui godiamo in Occidente derivano anche dalla storia cristiana.
C’è poi una questione di fondo: oggi non c’e’ nessun’altra religione, in nome della quale,.per protestare contro delle vignette, o perchè non si seguono i suoi principi integralmente, uccide decine e decine di persone. E’ l’unica religione, per quanto ne so, che in alcuni paesi non permette la convivenza con altre religioni o altri modi di pensare. E non credo che si possa confinare questa cosa a pochi fanatici, visto che hanno fondato un sultanato.
Condivido molto, mi sembra un pezzo molto intelligente e lucido.
Il punto 2) andrebbe forse integrato con un’idea su cosa vorremmo che un normale cittadino di fede mussulmana facesse per tranquillizzarci circa la sua adesione ai principi fondamentali della nostra comune idea di convivenza civile. Fiaccolate di solidarietà? Manifestazioni di piazza? A me sembra a volte che quando succedono simili eventi chiediamo, magari implicitamente, una sorta di giustificazione ai mussulmani, come a dire: “dimostrami che tu non c’entri con queste storie”. Inoltre ci aspettiamo delle risposte poco variabili, di pura condanna e senza la minima traccia di un contesto che possa aver favorito gli eventi in questione: se compare una variazione in questo schema (più o meno condivisibile) allora lo spettro della complicità comincia a diffondersi nelle nostre menti.
Sul 3) e 4) sottoscrivo in toto, anche se posso capire la mancata pubblicazione: far capire che si sta pubblicando quella vignetta non perché la si condivida o la si ritenga un buon pezzo di satira, bensì per far comprendere ai lettori l’offesa alla religione che i terroristi hanno pensato opportuno di vendicare con quello che è successo, non è facile: magari un piccolo riquadretto sarebbe preferibile ad una piazzata in prima pagina in grosso formato, ma nemmeno così la lettura voluta sarebbe immediata. Non credo che per questa scelta esistano risposte giuste o sbagliate.
Infine vorrei dire che una cosa possiamo farla sicuramente. I terroristi vogliono soprattutto farci capire che finché interferiamo con il loro progetto politico, ovvero di conquistare il potere in certe aree col terrore (il fatto che si diano un’autocertificazione di veri seguaci del profeta è un dettaglio per noi secondario e per giunta ben lungi dall’essere condivisibile e condiviso) siamo dei bersagli dei loro attacchi, così siamo in pericolo e viviamo costantemente nella paura del pericolo. L’idea di base è: “fatevi gli affari vostri e, forse, vi lasceremo stare”.
Quello che dobbiamo fare quindi è in astratto molto semplice: considerarli dei bersagli, impegnarci militarmente per neutralizzarli finché avranno tra le mani delle armi per colpire dei civili e conquistare territori che non gli competono (quindi nessun territorio); dare supporto alle popolazioni sotto attacco (in atto o imminente), perché possano difendersi e svilupparsi secondo un modello che loro per prime possano reputare migliore di quello che i loro aspiranti conquistatori vogliono imporre col sangue. Tutto questo senza adottare i loro metodi (es. chi si arrende avrà diritto ad un regolare processo e non verrà torturato): abbiamo già i nostri e sarebbero ampiamente sufficienti se fossimo uniti, documentati e determinati nell’affrontare questa battaglia.
Vorrei porre all’attenzione del direttore la differenza tra: Siamo tutti Americani, ” siamo tutti Charlie” grazie
@lino68
Invece credo ci sia poco da dissentire: le religioni di fatto costituiscono un motivo di scontro identitario, inducono la formazione di gruppi separati e una conseguente mancanza di un’ampia integrazione sociale, cosa che può sfociare, in circostanze (s)favorevoli, in violenze più o meno intense tra i gruppi coinvolti. Poi, anche se oggi la violenza viene perpetrata soprattutto in nome dell’appartenenza all’Islam o, più precisamente, ad una delle sue correnti (non si dimentichi che la maggior parte delle vittime dei conflitti etnico-religiosi di matrice islamica sono di fede mussulmana), non si può dimenticare quello che è successo in passato o che succede lontano dai riflettori in tempi recenti (es. le stragi al limite della pulizia etnica ad opera di gruppi di religione buddista a danno della minoranza mussulmana in Sri Lanka e Myanmar): questo ci conferma un fatto piuttosto ovvio, cioè che non sono le religioni in quanto tali a causare i conflitti tra gruppi non omogenei, nessuna rende immuni o predisposti alla bontà e al vivere civile; come già scritto esse favoriscono, soprattutto quando sono seguite con una certa assiduità, la divisione della popolazione in gruppi che non si parlano e quindi maturano un reciproca diffidenza. Le reali cause dei conflitti risiedono altrove, hanno ragioni molto meno ideali e le differenze religiose possono al più fungere da detonatore o da elemento aggregatore (ciò non significa cioè che molti, i più deboli, non credano davvero di combattere per la religione).
Infine trovo non del tutto corretto ascrivere all’ateismo (di Stato) le persecuzioni dei credenti nei regimi comunisti, per quanto non sia in teoria impossibile che si compiano atti di intolleranza contro dei religiosi in nome dell’ateismo: è evidente che nel caso in questione fosse interesse dei regimi contrastare qualunque liturgia, credenza o abitudine capace di aggregare larghe fasce di popolazione attorno a idee non sempr o quasi mai in linea con la politica ufficiale e a personaggi non completamente controllabili. I dittatori conoscono bene il potere delle religioni e per questo fanno di tutto per eliminarle o tenerle sotto uno stretto controllo governativo.
Credo che alla fine la discriminante possa tornare ad essere quella ridicolizzata nelle assemblee studentesche degli anni 70: “violenza-non violenza”.
Sulla base del rifiuto di ogni azione violenta potrebbe essere fatta la divisione tra “i buoni “ e “i cattivi” o tra “i migliori cittadini” e i “non migliori cittadini”
Certo, la religione mussulmana, come l’atea ideologia Comunista, mal si accompagnano o mal si sono accompagnate a questo rifiuto “ a priori”. Ma spostando la discriminante “ a monte” ( o “a valle”) eviteremmo lunghe discussioni (gli indù violenti, il DIO che affoga gli inseguitori di Mose’, Gesu’ che caccia malamente i mercanti dal tempio) .
Poi mi chiedo: come combattere i violenti o gli eccessivamente violenti?
Ho dei dubbi che “sit in” o lo spostamento di cartelli stradali, spesso citati come lotta antinazista norvegese, o “l’aumento dei Diritti e della democrazia” ( cosa vuol dire?) possano dare risultati, almeno nei tempi di una vita umana, nella lotta alla Barbarie di questi pazzi, di quelli che hanno messo le bombe alla maratone di Boston, di Boko Haram, dell’ISIS o dei Talebani.
Quindi come nel gioco dell’Oca torno al Via. E mi struggo. E allora, prego.
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Condivisibile in gran parte.
Mi chiedo però (provocatoriamente), difronte a una palese “dichiarazione di guerra” al nostro pur imperfetto “mondo” e al suo insieme di valori/disvalori, se non sia necessario accantonare domande, buonafede, ragioni altrui e prendere una posizione netta per (eventualmente) difenderlo.
volevo aggiungere
una delle cose che provocano violenza, che estremizzano i sentimenti di certe persone, è la competizione tra le religioni, tra chi è più grande, con più seguaci, più estesa nel mondo, chi rappresenta veramente dio (l’unico dio di tre religioni, cristianesimo, islam e ebraismo), chi custodisce la strada per il paradiso, ecc.
anche gli sportivi competono, ma lo fanno all’interno di regole, quindi difficilmente un pugile americano va a tirare un pugno ad un corridiore di un altra nazionalità.
e le regole in questa questione mi sembrano latenti…
e mancano i “giudici svizzeri” quelli che non appartengono a una religione in gara e che sono ritenuti quindi super partes.
potrebbero essere atei, atei di ben nota civiltà e valori condivisibili.
poi mi chiedevo se questi tizi che sono morti non fossero atei: perchè mi sembra di capire che una delle cose su cui cristiani e musulmani sono d’accordo è che l’esistenza di atei non abbia senso, e che gli atei siano moralmente riprpovevoli. peggio che gli appartenenti ad altre religioni…
e quindi se la componene atea del conflitto non sia un elemento destabilizzante, in quanto gli atei non hanno una organizzazione riconosciuta, non hanno valori che tutti condividono, non hanno obiettivi, non sono “in gara” ecc.
da quelli che hanno il valore “soldi” a quelli che sostengono i diritti civili come valore universale, la distanza è siderale.
la maggior parte dellla gente non sembra neppure sapere cosa vuol dire ateo e gli atribuisce caratteristiche che nella migliore delle ipotesi descrivono solo alcune persone accorpandole in modo fantasioso e spesso estremista
non ho ancora letto i commenti
li ho letti
guardate che nei libri sacri qui intorno al mediterraneo
s’inneggia abbastanza alla violenza… e si giustificano parecchie cosucce
che hanno reso necessario stabilire il diritto contemporaneo come argine e la
democrazia come sistema per tentare di uscirne
della altre religioni non so
@rinko “Sul 3) e 4) sottoscrivo in toto, anche se posso capire la mancata pubblicazione: far capire che si sta pubblicando quella vignetta non perché la si condivida o la si ritenga un buon pezzo di satira, bensì per far comprendere ai lettori l’offesa alla religione che i terroristi hanno pensato opportuno di vendicare con quello che è successo, non è facile: magari un piccolo riquadretto sarebbe preferibile ad una piazzata in prima pagina in grosso formato, ma nemmeno così la lettura voluta sarebbe immediata. Non credo che per questa scelta esistano risposte giuste o sbagliate. ”
nel caso di un giornale si potrebbe allegare alla foto un paio di righe, si potrebbero chiamare didascalia, dove si specifica la motivazione della pubblicazione e la propria linea… magari non è immediato come il linguaggio dei segni, ma neppure la strage si poteva comunicare mettendo solo foto dell’edificio e delle autoamblanze. si puà scrivere.
neppure io sono sicura della risposta, ma mi sarei aspettata che i giornali non avessero una linea comune, tipo in nome della libertà di stampa, di opinione, della famosissima pluralità dell’informazione, per non soggiacere al ricatto e alla paura, ecc.
quanto al modello di sviluppi scelto dalle varie popolazioni nel loro insieme, ho l’impressione che in alcuni paesi ci si stia ammazzando perchè i progetti sono diversi. nel nostro, recentemente, ci si limita a civilissime macchine del fango e simili.
quanto alla tua proposta operativa credo si possa dire che sia già in atto, ma che non sempre si riesca a evitare di adottare i loro metodi.
a parigi, purtroppo, non è stato sufficente
il tono sarcastico c’è e spero non sia insopportabilmente offensivo
TANTO ALLA FINE VINCIAMO NOI,
non c’è né per nessun altro sistema di convivenza tra individui.
Tanto vinciamo noi, quelli che partendo da quell’idea di democrazia nata tra Mileto ed Atene, e passata per Roma, e per Firenze, Venezia, e Amsterdam, Parigi, Londra, Washington, si ritrovano qui, a vivere nell’anno convenzionalmente chiamato, da noi, appunto, 2015, da questa parte del mondo: l’occidente e chi ne ha assimilato i valori.
E come é giusto e bello che sia per chi stà dalla parte della ragione, noi non vinceremo con le armi, vinceremo con la matita, vinceremo con l’educazione.
@Raffaele Birlini
Ti pareva se non era colpa degli atei.
Gli unici che sono stati a casa loro con le mani in tasca.