Litighiamo

C’è in giro un’aggressività un po’ preoccupante: non solo per i suoi risultati diretti – macchine bruciate, violenze, insulti quotidiani – ma anche perché spinge a stare alla larga, farsi da parte, evitare di mettersi nei guai. Io, per piccolo esempio, ho smesso di rispondere a tutti su Twitter con la frequenza di un tempo: il rumore, la sciocchezza, la ricerca di rogne, la violenza di minoranze, feriscono, deprimono, demotivano. Lo so, lo sappiamo, lo diciamo, che sono minoranze, e ci confortiamo dell’esistenza di complici e benintenzionate maggioranze. Ma sappiamo anche che qualcosa di irrazionale ed epidermico poi riesce a battere la logica e il buon senso. La soluzione – è capitato a molti – è relazionarsi meno con gli sconosciuti, frequentare solo luoghi e persone conosciute. Finisce che stiamo alla larga, da Twitter o da certe periferie.

Non sto parlando di Twitter. Parlo di tutto: le violenze di Milano di venerdì hanno generato un’ulteriore rabbia che nel giro di poco si è trasformata in litigi e aggressività sui social network, in tv, sui giornali. Tante persone hanno voglia o bisogno di sfogarsi: in rare occasioni – soprattutto di vicinanza fisica, devo dire – come ieri a Milano ci si sfoga cercando qualcuno a cui stare vicino, con cui condividere buone intenzioni, e sentirsi meglio. Ci si ricorda, si sa, si dice, che sono minoranze, e ci si conforta dell’esistenza di complici e benintenzionate maggioranze. Ma in una gran parte di casi qualcosa di irrazionale ed epidermico poi riesce a battere la logica e il buon senso e ci si sfoga cercando qualcuno da avere lontano, da indicare come nemico, e sentirsi meglio.

Mi chiedo quanto siano diversi gli animi responsabili dalle stesse violenze di Milano: nessuno sa esattamente quali fossero le quote antropologiche tra quelli che hanno fatto danni e casino – teppisti seriali, ribelli politicizzati, giovani disadattati in cerca di emozioni qualunque – ma io non credo che quello che li muova sia “un’idea” a cui opporsi, o che quelli siano “un nemico”. Voglio dire, non più di quanto lo siano gli spacciatori in periferia, o gli ultras violenti degli stadi. Disagi personali, trogloditismi individuali, problemi di degrado e di ordine pubblico: responsabilità e limiti individuali. E mi domando se non siano in fondo le stesse insoddisfazioni e frustrazioni di sé che portano ad aggressività su diverse scale (ferme restando le notevolissime differenze di scala: lo scrivo per quelli che si animano intorno all’uso delle parole, e litigano se uno li definisce “fessi” perché bisogna chiamarli “criminali”: le due cose tra l’altro non si escludono, nella maggior parte dei casi).

Il darsi da fare a pulire, tutti insieme, ieri a Milano, è stata una cosa molto bella. Mi convinceva un po’ meno un altro approccio che avevo percepito nell’appello di questa manifestazione: quello del “manifestare”, dei “milanesi che dicono no”, eccetera. Mi sembrava una prova di debolezza: una città, il suo sindaco, le sue istituzioni, non protestano contro i problemi di ordine pubblico (generati anche da diversi milanesi, tra l’altro, a quel che sembra), per quanto eccezionali: li affrontano e risolvono, per quanto possibile, e mostrandosi forti e superiori, guardando altrove con senso della misura. Non per presunzione, casomai per consapevolezza di sé, ma soprattutto per efficacia.

Invece mi pare che procediamo – plagiati anche da un sistema del’informazione che ha grosse responsabilità – per sensazionali emergenze cicliche, e buttiamo tutto sotto il tappeto tre giorni dopo, fino alla prossima. I problemi si misurano solo in auto bruciate o facce manganellate: che esistano decine e centinaia di violenti in cerca di sfogo è una questione rimossa fino a che non bruciano delle macchine in centro, e allora in quel momento lì ci si dimentica il grande trionfo italiano e la bellissima giornata di dieci minuti prima, e tutta l’Italia diventa solo la nuvola di fumo nero in via Carducci. Che esista un problema di gestione delle proteste e delle tensioni di piazza è una questione rimossa fino a che qualcuno non si prende una manganellata in faccia e la foto piena di sangue può essere condivisa e pubblicata ovunque. E tutto diventa una nuova battaglia di violenze verbali per dimostrare che qualcun altro da noi è più cattivo o è il cattivo.

Sta nelle cose, direte: il male esiste, e la comunicazione confonde dove sia, quindi ognuno si crea il suo, istruito da messaggi più o meno strumentali, più o meno in cattiva fede. Però allora bisogna farsi una ragione anche di Milano – o di Bologna -, di auto bruciate, poliziotti bastonati e manganellate in faccia. Lavorare di polizia, e di educazione di polizia, tenendo d’occhio cosa esce da sotto il tappeto, e chi se ne importa fino a che sta sotto il tappeto. Cercare di essere, nel campionato della violenza, quelli che vincono.

A me non piace, poi fate voi. Mi piace di più quando le persone vanno insieme a metterci una pezza, e mi piace che ci siano persone che ce la mettono ogni giorno, facendo cose che in diversi modi migliorano pensieri, persone, atteggiamenti, vite. Mi piace che il racconto della realtà non sia avvolto dalla nuvola di fumo di via Carducci. Mi piace che le persone si parlino per farsi capire e non per sfogarsi o cercare se stessi in vittorie verbali, scritte sui muri e auto incendiate. Mi piace che la giornata di venerdì abbia suggerito che forse Genova qualcosa ha insegnato, a quel caro prezzo. Ma la gara di propagande politiche e personali per indicare i cattivi e gonfiare il petto, non è tanto che non mi piaccia: è che non funziona, contro la violenza. È, la violenza.

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4 commenti su “Litighiamo

  1. Luca Sofri

    Dove stai andando a parare? Giustifichi i violenti! Vuoi impedirmi di parlare! Dillo a quelli a cui è bruciata la macchina! E le ragioni dei No Expo?

  2. Raffaele Birlini

    “C’è in giro un’aggressività un po’ preoccupante”, l’aggressività c’è in giro da un bel po’. L’aggressività non è imputabile a “minoranze” dalle quali prendere distanza per andare a confortarci “dell’esistenza di complici e benintenzionate maggioranze”. Le minoranze che agiscono, che passano dalle parole ai fatti, sono convinte di essere coerenti e conseguenti alle prediche mediatiche dell’ideologia politica per la quale militano. Non sono “figli di papà” come dice Renzi, sono figli della sinistra, sono persone integrate nel tessuto sociale, non sono spacciatori di periferia, immigrati da Sparta, alieni che sbarcano dal pianeta hasta la revolucion. I media e i politici cavalcano la rabbia, che è di chi sta male e che la sinistra da sempre si incarica di sfruttare a scopi elettorali. Chi sta bene quando si arrabbia lo fa contro gli arrabbiati che non si fermano a lamentele orali e si azzardano a fare proteste fastidiose che implicano gesti degni di risalto mediatico. Non è una minoranza isolata, alcuni media istituzionali e alcune forze politiche fiancheggiano l’estremismo, partono i comprendo ma non giustifico, i capisco ma non sostengo, e c’è un sacco di gente silenziosa che gravita attorno alle minoranze violente, c’è un sacco di gente che in privato applaude la violenza, partecipa per interposta persona ai disordini, invidia i giovani rivoluzionari e sogna di far parte dell’azione popolare che vuole migliorare l’umanità e il mondo. Secoli di storia della sinistra sono scritti col sangue delle proteste violente, lotta per gli ideali, guerra contro i simboli del potere, contro il nemico del popolo. E adesso la nuova sinistra, buonista e beneducata, assai degna e ricca di valori, ha scaricato il metalmeccanico che tira i bulloni, ha tirato un colpo di bianchetto sulla logica del nemico del popolo e si mette a dipingere quadretti di pulizia borghese, di belle giornate, di scampate macellerie, col sindaco comunista che megafona narrazione vendoliana navigando in mezzo alle nutrie, fiato alla retorica delle persone per bene che fanno cose belle, cose efficaci, tutti assieme, con grande ammore, una grande famiglia unita nel paese normalizzato dalla sconfitta del voldemort brianzolo. L’effetto è un po’ erre moscia, fa un po’ comunista ricco, il benestante privilegiato che la sua aggressività la sfoga contro un ragazzo col coraggio di affermare candidamente alla tivvù che certo la banca è brutta e cattiva, se non colpisci la banca allora cosa devi colpire? Un ragazzo che la sinistra s’è subito premurata di dipingere come bocconiano di famiglia ricca, un piccolo berlusca criminale, quando invece è figlio di operaio e frequenta i centri sociali. La sinistra non deve rispondere della violenza di quel ragazzo di fronte ai cittadini, deve rispondere a quel ragazzo, deve spiegargli perché l’ha messo lì e poi l’ha lasciato solo, deve spiegare perché quello che ha tirato l’esttintore è stato santificato e ha una stanza dedicata in parlamento e lui invece no, forse prima di manifestare devi informarti di che colore è il sindaco, il ministro? Chi glielo spiega a quel ragazzo che è carne da cannone, utile idiota?

  3. Manuele

    Così per dire :
    stamane entro al forno locale , mi precede una signora , anziana che invoca l’uso della forza pubblica per correggere questi giovanotti .
    Altre situazioni differenti con la medesima discussione e la medesima età , nella giornata .
    Ora per carità , ognuno ha diritto ad esprimere il suo parere , meglio sarebbe informandosi accuratamente prima di esprimere la propria opinione , ma quello che voglio dire è un ‘ altra cosa :
    ho come l ‘ impressione che questi fatti fungano nei fruitori mass mediatici , da maieutica ( inteso come tirar fuori ) un malessere , una rabbia che presente nel ‘ animo di molti trova in questi episodi il suo naturale sfogo . Ben inteso le età anagrafiche non contano .
    Condivido quanto scritto nel ‘ articolo ,
    ma io non credo che quello che li muova sia “un’idea” a cui opporsi, o che quelli siano “un nemico”
    portando un personale punto di vista :
    l’impressione pare essere ” sfogare un malessere , una rabbia , una sorta di non sentirsi a proprio agio nella propria vita , un sentirsi esclusi ..
    dando forma a tutto ciò in queste occasioni

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