Ci sono giornalisti che per avere scritto cose critiche sul M5S o averne raccontato azioni disdicevoli, imbarazzanti, incoerenti, sciocche o criminali, vengono con frequenza perseguitati da molestie e insulti online, sia da parte di sfaccendati in cerca di quindici tweet di celebrità che da parte di eletti o leader bisognosi di cambiare argomento rispetto alle loro proprie inadeguatezze. Non c’è dubbio alcuno che le reazioni all’idea di non poter comandare tutto a cui quel partito educa i suoi aderenti siano capricciose, infantili, violente, pure fasciste. E ne sono vittime spesso gli ultimi della fila dell’ordine gerarchico dell’informazione, cronisti meno difesi e meno importanti (ma non solo loro).
Ma siamo sicuri che aggiungere quotidianamente alla quota più che bastante dei fallimenti del M5S anche notizie su telefonate mai ascoltate, alleanze con la Lega mai discusse, conversazioni shakespeariane, e ipotesi di elezioni imminenti per via di polizze dal valore limitato e tutte da capire (con la stessa baldanza con cui si è esaltata un’inchiesta su “mafia capitale” in cui la parte “mafia” è stata ieri demolita da una sentenza) – solo per dire le più recenti -, sia il modo migliore di stare dalla parte del giusto, di “fare bene il proprio mestiere”, e di colmare il “deficit di credibilità e fiducia”, per usare due condivisibili passaggi dei due solenni editoriali dei direttori dei maggiori quotidiani? Siamo sicuri che quando ci diciamo “attaccati dai nuovi potenti” e titoliamo “Attacco alla stampa”, e implichiamo che pure Trump ce l’abbia con noi, stiamo colmando il deficit di credibilità all’esterno, e non – specularmente ai Di Maio e Grillo – compattando le file dei nostri (più limitati) sostenitori con identici slogan di marketing sui buoni e i cattivi?
Io poco sicuro, se posso permettermi, senza insegnare la difesa della democrazia a nessuno.