Chiacchiere, e distintivo

Era uno dei casi più esemplari di molte delle dinamiche sulle notizie false nei giornali, tra quelli raccontati in Notizie che non lo erano: lo riassumo al minimo, qui c’è il resto. Una ragazza nera della Louisiana aveva raccontato di essere stata aggredita e bruciata da un gruppo di persone che si erano firmate con la sigla del Ku Klux Klan. La storia era stata pubblicata in Italia da molti giornali con grande spazio e allarme, malgrado ispirasse subito delle diffidenze (e i giornali americani erano infatti stati più prudenti) e la polizia si dicesse da subito insospettita. La ragazza confessò rapidamente di essersi inventata tutto.
La parte che mi interessa qui è quella in cui notiamo che quasi cinque anni dopo molti di quegli articoli sono online senza una correzione o un aggiornamento, e si trovano con facilità su Google dove chiunque li legga si convincerà tutt’oggi che la storia del KKK fosse vera. L’esempio più notevole è quello del Fatto, che aggiunse alla storia un proprio dettaglio ulteriormente inventato, quello di una maglietta di Obama indossata dalla ragazza e possibile ragione dell’aggressione. Quell’articolo è tuttora online, intoccato. E con lui diversi altri, che raccontano una storia falsa e smentita.
È uno dei problemi nel grande problema delle fake news prodotte dai giornali tradizionali e dai giornalisti professionisti: la mancata correzione o rimozione delle falsità palesemente dimostrate (e a volte ammesse distintamente dagli stessi giornali).

Lo scorso febbraio una ragazza ha raccontato di essere stata aggredita e molestata su un treno in Lombardia: secondo alcune versioni da un gruppo di nordafricani. La storia è stata pubblicata da quasi tutti i quotidiani, con esteso spazio sulle prime pagine: e polemiche nei giorni successivi, accuse alla sicurezza delle aziende ferroviarie e progetti di fare intervenire l’esercito, post indignati di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, con richiesta di repressioni.

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C’era qualcosa di sospetto anche in quel racconto, per chi volesse essere prudente. Dopo due settimane la ragazza ha confessato di essersi inventata l’aggressione, stando a questo articolo del Giornale, che io sappia l’unico dei giornali maggiori a raccontare la smentita. I lettori di tutti gli altri quotidiani sono rimasti con l’informazione a questo punto falsa oppure non aggiornata, e tuttora penseranno che l’aggressione sia avvenuta, da parte di “magrebini”. E in più – questa volta ancora di più, dato il più esiguo numero di articoli online sulla smentita – continueranno a pensare che sia avvenuta tutti coloro che finiranno sugli articoli online, che sono tanti, e un mese e mezzo dopo non sono stati aggiornati in nessun modo sullo sviluppo (nel frattempo si lavora alla sicurezza sui treni, ma la sicurezza non fa notizia quanto l’insicurezza). Per non dire delle migliaia di pagine e post su Facebook che riprendono e diffondono la storia smentita (compresi quelli con le parole di Meloni e Salvini): e poi quelli che lo hanno sentito alla radio, magari alla Zanzara o in altri programmi da cui le falsità diventano roghi senza pensarci mezza volta.

Non sarebbe niente di nuovo: praticamente tutte le centinaia di notizie false di cui abbiamo parlato in questi anni hanno lo stesso destino e la stessa sopravvivenza. Mi limito a notare che da un anno a questa parte si è fatto improvvisamente un gran parlare della necessità di interventi di fact-checking e correzione delle notizie false, e di un’assiduità necessaria in questo senso: e le stesse autorevoli testate che ora cavalcano queste parole d’ordine divenute di moda hanno gli archivi pieni di “fake news”, e direi che se ne freghino abbastanza, no?

(approfitto di questo momento revival: oggi si annuncia la “rivelazione” dell’omosessualità di Barry Manilow – per dirne una – che era pubblica da due anni, con tanto di matrimonio)

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