Leccanzòni

Lunedì sera è cominciato il tour di Jovanotti: non ne scrivo niente, ché fa talmente tante date (dodici solo a Milano) che in capo a qualche mese l’avrà visto mezza popolazione italiana, e ci sono delle cose spettacolari che vale la pena godersi. Comunque, a un certo punto naturalmente fa “Le canzoni” che è il secondo singolo del disco nuovo e il pezzo migliore per alcuni di noi, lo state probabilmente sentendo molto in radio. Sta nella categoria “pezzoni” delle canzoni di Jovanotti, quella dove sono “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang”, “Safari”, “La notte dei desideri”, “Estate”, “Ti porto via con me”, “Mezzogiorno” ma anche in modi diversi “Tutto l’amore che ho” e “Ora”: quelli più arrangiati, con le tastiere “che pompano” e gonfiano, ma cantati, soprattutto nel refrain.
“Le canzoni” però sta anche in un’altra categoria generale di canzoni: quelle che parlano di musica e canzoni. Dice benissimo che è tutta una cosa di canzoni, malgrado tutto, che anche quelle che devono “far ballare la gente” devono essere canzoni. E poi dice liberi tutti, che è una fondamentale predicazione sui gusti musicali:

le canzoni non devono essere belle
devono essere stelle
illuminare la notte
far ballare la gente
ognuno come gli pare
ognuno dove gli pare
ognuno come si sente

E insomma: da una parte c’è, al meglio, quella cosa dei pezzoni di Jovanotti. Di essere capaci di far saltare stadi interi e intanto dire delle cose sentimentali e con una composizione melodica appiccicosissima e delle trovate poetiche improvvise dentro testi a momenti persino goffi, o rap, se volete.
E poi appunto dice queste cose della musica. Le canzoni non devono essere belle. Ognuno come gli pare, ognuno dove gli pare, ognuno come si sente.
Concetti più articolati e raffinati (dico sul serio), ma c’erano già in “che bello è quando la musica riempie il cielo”: Jovanotti non è solo uno che fa la musica, e noialtri ascoltiamo e ce la godiamo. È contemporaneamente uno che la ascolta e la gode allo stesso modo. È un fan, se ne fa travolgere. Al punto che gli scappa di dirlo, ne vuole parlare di questa cosa: l’entusiasmo candido per cui da sempre è stato anche preso in giro è una consapevole decisione di dire che cosa pazzesca sono le canzoni e le emozioni conseguenti (solo l’amore le supera: “altro che musica”). E direi che abbia vinto lui: i musicisti nei concerti sono un caso preziosissimo di esaltazione di buone emozioni e appartenenze solidali e benintenzionate in un tempo in cui tutto il lavoro pubblico sulle emozioni di noialtri sembra volto a farci incazzare e aggredire qualcuno, o a ingannarci. Vi ricordate quello svenevole monologo di Baglioni nei tour di “Alé Oò”? Era tremendo: eppure, aveva ragione lui, quella cosa lì era vera. Come si esportano quei sentimenti, quell’eccitazione, quella forza, nel resto delle vite, quando la musica finisce?

Io non vorrei che questi spettacoli, ma
come in genere tutti gli spettacoli di musica
fossero, fossero dei posti dove dimenticare
tutto quello che c’è fuori
perché usciti di qui si ricomincia da capo
e ci sono tante cose da mettere a posto
e anzi vorrei che queste piazze, questi stadi
e tutto quello che abbiamo fatto,
queste isole di buone energie
potessero diventare qualcosa di più grande
magari una penisola, magari un continente
e vorrei che, se siete stati bene,
lo poteste raccontare a qualcuno che non c’è stato
e dirgli che, e dirgli che, c’è la possibilità di andare avanti.

Forse non si esportano. La musica non cambia il mondo, come dicono in molti: la musica è il mondo. Il bicchiere mezzo pieno del mondo.

Tra due settimane intanto esce il disco nuovo di Tracey Thorn, Tracey Thorn la-cantante-degli-Everything-but-the-girl per capirsi, che è stata capace di esserlo assai più a lungo dei soli anni Ottanta, e poi di infilare la sua voce e la sua duttilità in cose dance ed elettroniche memorabili, e collaborazioni da quelle con gli Style Council, a quelle coi Massive Attack a quelle con i Pet Shop Boys. Ma anche di straordinaria dolcezza in cose acustiche durante tutti questi decenni.
Questo disco è di nuovo più dance, e ha suoni da anni Ottanta e Novanta: da qualche anno vanno molto di moda, ma lei non li recupera, sono sempre stati suoi. Il singolo già in giro è una delle cose migliori, ma la migliore di tutte forse è la canzone che chiude il disco, “Dancefloor”. Che parla di canzoni, della loro bellezza, di come ti rimangono addosso e ti migliorano la vita (c’è anche un pensiero nostalgico su come eravamo impressionantemente affine a quello di “Pop kids” dei Pet Shop Boys: aridaje), e stavolta sono canzoni dance: siamo alla rivalsa rispetto al leggendario “Hang the deejay” degli Smiths (certo, quello era un deejay radiofonico, in origine).

Where I’d like to be is on the dancefloor with some drinks inside of me
So I’m singin’ and I realize it’s me, I realize it’s me, it’s me
Play me Good Times, Shame, Golden Years and Let the music play

E questo è un repertorio più piccolo delle canzoni sulle canzoni, quelle che citano esplicitamente altre canzoni. Non nel senso che le usano, o campionano (come Jovanotti che ha messo “Futura” di Dalla nel suo primo singolo), ma nel senso che le citano come protagoniste del testo, del racconto. Come con quel pezzo meraviglioso dei Divine Comedy, dove loro ascoltano “True” e “It’s not unusual”. Tracey Thorn cita “Let the music play” (sarà Barry White o Shannon?) e “Good Times” degli Chic: altre cose tornate tantissimo in questi anni, soprattutto coi Daft Punk ma non solo. E qualche giorno fa dall’autoradio – bisogna sempre girare i canali dell’autoradio a caso, in questi tempi di filter bubbles anche musicali – ho risentito una cosa proprio in quel campionato là, che avevo dimenticato e non sentivo da anni: ha dentro Stevie Wonder, e ora sono tre giorni che ascolto solo quella. E non c’entra niente col punto da cui ero partito, oppure c’entra completamente, appunto. Le canzoni.

Nel frattempo, è venuto il momento di cominciare a raccontare la musica di cui è fatta la vita non attraverso cronologie, epopee, genalogie, storie del rock ed enciclopedie di artisti, ma raccontando la cosa vera: le canzoni. Che le canzoni siano oggi più che mai l’elemento centrale del nostro rapporto con la musica, con tutte le vicissitudini pratiche di cui abbiamo parlato, è una dimostrazione ulteriore di quanto le nostre vite non ne possano fare a meno.
Per quanto si diano da fare storici e critici, la musica fa leva in gran parte su sensazioni ed emozioni istintive, legate ad associazioni personali e biografiche, a umori di un momento, a ricordi e sensibilità. Al tempo stesso, queste associazioni e sensibilità sono comuni a molti umani, e ciò che piace a uno può piacere a molti altri. Belle canzoni: senza nessuna puzza sotto il naso, e sapendo appunto che a volte una bella canzone arriva da dove meno te l’aspetti.

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