Dopo il disastro politico dei giorni scorsi si sono intensificate tra i progressisti le agitazioni intorno alla possibilità di sovvertire la tendenza che ha portato alla grave sconfitta del PD alle ultime elezioni e alla vittoria di Lega e M5S, e che i sondaggi dicono persino rafforzarsi. Analizzate col minimo distacco, le agitazioni suddette fanno l’effetto di un formicaio impazzito visto dall’alto: nessuno sembra avere la minima idea, tutti corrono in giro a caso dicendo “bisogna fare qualcosa”, “facciamo qualcosa”, “è il momento di fare qualcosa”, come se il solo dirlo e ripeterlo potesse chissà come bastare a ribaltare la decisione di voto di metà dei votanti.
Inciso: vedo in giro una doppia speranza “francese”, che in parte prende a modello la reazione antifascista alle possibili vittorie dei Le Pen, e in parte la costruzione di un “soggetto politico nuovo” come quello costituito da Macron (i soggetti politici vincenti sono persone, leader, col cavolo che nascono dal basso). Solo che in Italia l’avversario dei progressisti – il M5S – non è dichiaratamente fascista, e quindi l’antifascismo non attacca, e non serve a sottrarre elettori al “soggetto politico nuovo” che è già nato e già ha occupato quello spazio prendendone buona parte dei potenziali sostenitori (gli “elettori di sinistra” in gran parte sono elettori assai poco di sinistra nelle opinioni e sentimenti, ma che storicamente i partiti di sinistra erano stati capaci di raccogliere: gli elettori sono di destra, di default).
Invece la questione mi pare sia questa: che metà esatta delle persone che sono andate a votare tre mesi fa ha votato per Lega e M5S, i due partiti che solo per loro incompatibilità (ampiamente annunciata da mesi) non sono riusciti in questi giorni a presentare un progetto di governo legittimo. Parliamo di sedici milioni di elettori: sono persone, non sono accidenti o percentuali capitate tirando i dadi. L’unica domanda seria che dovrebbe farsi chiunque intorno al PD voglia invertire questa tendenza è: come si fa a far cambiare idea a queste persone e a ottenere che gli argomenti solidi e logici di critica contro i due partiti che hanno voluto votare siano registrati e presi in considerazione da sedici milioni di persone?
Se a nessuno viene una risposta intelligente – e a nessuno viene, come si vede – questo è un problema: e difatti il paese (ma il mondo, pure) ha un problema. Però è di quello che bisognerebbe parlare, di questo problema: non della generica e ingenua speranza che tutto cambi solo incrociando le dita e ripetendo ai convertiti le stesse cose di sempre: cose che viceversa coi non convertiti hanno dimostrato di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato, ricompattandone ogni giorno le faziose rigidità e cecità di fronte alla logica e ai fatti. È infatti palese che questi giorni di “assenza” del PD stiano paradossalmente togliendo fiato alla reazione principale dei sostenitori del M5S (quella del genere “e la Boschi?”) di fronte a qualunque dimostrazione di incoerenza, inadeguatezza e fallimento del partito che hanno votato: soli con lo scenario dell’alleanza con la Lega e della smentita di metà delle cose dette finora, alcuni (pochi, eh) elettori del M5S qualche pensiero se lo sono fatto venire.
La conclusione naturalmente non può essere che si può ritrovare consenso solo sparendo: anche se un mio amico pubblicitario che si occupava di campagne elettorali già alcuni decenni fa mi spiegò una volta che “nel momento esatto in cui ti candidi a qualcosa, hai già perso dei voti”.
La conclusione però è che la comunicazione del PD negli anni passati ha portato a un tipo di reazione da parte di milioni di elettori: il desiderio di votare qualcun altro. E se qualcuno di quei sedici milioni avrà cambiato idea, a oggi si dovrà soltanto al loro mutato giudizio su M5S e Lega, non di certo agli infantili interventi a suggellare i loro errori da parte dei dirigenti del PD (“visto? Visto? Non sono capaci, io l’avevo detto! Scemi voi che li avete votati”).
Il che riporta al tema: come ci si fa capire da quei sedici milioni di persone, senza venire meno all’idea di un progetto progressista che faccia realisticamente i conti con i tempi e col mondo reale e non riferisca se stesso a un’idea fossile di “sinistra” sterile, vuota e anacronistica? Che comprenda l’interesse di tutti in quanto parti di una comunità nazionale, e non predichi solo quello di alcuni, come fanno i partiti che stanno ingannando metà elettori sul fatto che quegli alcuni siano loro?
Parliamo di un obiettivo davvero rivoluzionario, nel senso che il mondo si sta consolidando in un’altra forma, egoista, ignorante, antiscientifica, bugiarda e autolesionista. Ma le rivoluzioni sono questa cosa qui: solo che hanno bisogno di un pensiero, un progetto, se no resta il formicaio impazzito. E oggi il progetto necessario non è politico, è trovare il modo di ascoltare, riuscire a parlare, farsi ascoltare, e farsi capire. Qualcuno lo sta cercando?
Oppure formicaio impazzito, vedete voi: con le formiche funziona. Hai visto mai.