È uscito un libro, per Laterza, si chiama Questione di virgole: l’ha scritto Leonardo Luccone, che fa l’agente letterario e il traduttore; e parla di punteggiatura, il libro. Ne riporto solo due risposte brevi ed efficaci alla questione di quali siano le regole sull’uso della punteggiatura, questione tornata di grande attualità da quando i social hanno enfatizzato l’inclinazione di tutti a sentirsi allenatori della Nazionale e direttori della Treccani.
La prima risposta è che il libro sulla punteggiatura è un libro di 236 pagine. Scrivere ben 236 pagine sui diversi casi e modi d’uso della punteggiatura dà già una risposta: non ci sono regole, sull’uso della punteggiatura. Ci sono centinaia di modi di usarla, dettati da ragioni di efficacia, e da contesti e variabili ogni volta unici: e il libro è pieno di esempi e citazioni. Come con ogni cosa della lingua, è la consapevolezza di quello che si dice, di come lo si dice, dell’effetto che fa, l’unica regola che rende buoni scrittori.
La seconda risposta è il passaggio che incollo, che spiega come la punteggiatura abbia diverse funzioni e ciascuna importante: legate sia a un sistema condiviso di significati, sia alla voce e allo stile di chi la usa, sia alla percezione di chi la legge. E che di una sola cosa si può rimproverare un autore, sulla punteggiatura: di non avere ottenuto l’effetto voluto. Voluto da lui.
Perché imparare a usare bene la punteggiatura? Si vive benissimo senza, si vive benissimo senza usare bene il punto e virgola, anzi si sta da dio usando perfino male il solo punto e la sola virgola.
La verità è baricentrica a tre atteggiamenti contrastanti: considerare la punteggiatura qualcosa di così personale da non sentire la necessità di regole (una legittima espressione di sé, quindi non attaccabile, non negoziabile); considerare la punteggiatura null’altro che un elemento decorativo; sentire la necessità di un sistema condiviso di segni ordinatori.