Oggi Michele Serra commenta la questione che ha temporaneamente ridato visibilità allo storico dell’arte Tomaso Montanari, che si era evidentemente ridedicato al proprio lavoro dopo i risultati diciamo non convincenti della sua esposizione politica dell’anno scorso. Però aveva ritenuto di scrivere un tweet di quelli che – mi permetto – ci si possono risparmiare, il giorno dopo la morte di Zeffirelli, che ha generato reazioni e indignazioni, e sue ulteriori risposte e bla bla bla, fino a questo post compreso.
Scrive Serra.
Uno: il lavoro registico di Zeffirelli non mi piaceva. Mi è sempre parso buono per un pubblico di bocca buona, attratto dagli effettoni, dalle dorature, dal risaputo, insomma dal “facile”. Due: considero non solo lecito, ma anche giusto che Firenze, la sua città, gli abbia reso pubblico omaggio, perché è stato un suo figlio importante, nonché un artista molto amato e molto noto nel mondo.
Mi domando se le affermazioni “uno” e “due” siano ancora compatibili, in questo nervosissimo Paese, oppure no. Ovvero, se è possibile che la critica abbia il suo sacrosanto spazio senza che il conformismo celebrativo (il Potere, se vi piace la retorica) se ne senta leso; e d’altra parte si possa celebrare un morto importante senza che i suoi avversatori lo considerino un oltraggio di Stato ai danni delle libere e indomite minoranze.
Sono molto d’accordo con il primo paragrafo di Serra, “uno e due”. Pur non avendo particolari ammirazioni per il lavoro convenzionale di Zeffirelli, ne ho molta per il successo che ha saputo ottenerne e rispetto le sensibilità e i gusti di chi lo ha amato e le sue capacità professionali (provateci voi). Come dice più avanti Serra: “Non mi piaceva Zeffirelli, considero ovvio che Firenze l’abbia celebrato: è così strano? Così difficile?”. Sul secondo paragrafo invece la questione mi pare molto più semplice di come la mette Serra, che usa l’esempio di Montanari per dire una cosa giusta ma che con l’esempio di Montanari non c’entra niente e rischia di assolverlo.
La recente sortita di Tomaso Montanari versus Zeffirelli, e la immediata replica a base di insulti e minacce, sono la dimostrazione, anzi la conferma, che no, “uno” e “due” non sono compatibili. La compunzione attorno all’illustre morto non prevede e non sopporta che qualcuno, per suo conto, dica male della sua opera: accadde già per Agnelli e per Marchionne. Nel frattempo il dissidente, giù in strada, non si limita a non mandare i fiori. Non sopporta che altri li mandino.
Il problema del tweet di Montanari non è stato aver “detto male della sua opera” molestando “la compunzione attorno all’illustre morto”: questo in qualche modo lo ha fatto Serra oggi e lo faccio persino io qui. Il problema semplicissimo di quel tweet è il solito banalissimo “modo con cui fai le cose”: e se all’indomani della morte di una persona la cui opera è come quelle di tutti discutibile ma la cui figura umana non ha ragione di essere disprezzata e insultata, meno che mai oggi, ritieni necessario aprire bocca per usare aggettivi maramaldi (“insopportabile mediocre”) e giochini di parole alla Travaglio (“scespirelli”), allora – mi perdoni il maestro Montanari, ne parlo da vivo – sei scemo. Sei scemo, capriccioso, bulletto e ridicolo. E lo dico “tecnicamente”, non per togliermi sassolini che non ho – come nel caso del tweet in questione, si immagina – ma per spiegare come mai poi tanta gente si fa cadere le braccia e persino si arrabbia. Non per te, che magari sarai un bravo storico dell’arte. O non per i subumani al porto di Lampedusa, che il giorno dopo si dispiacciono. Per la scemenza, per i capricci, per la bullaggine e per il ridicolo che dilagano e di cui ogni nuova dimostrazione è sempre molto seccante, diciamo.