Sul Corriere di oggi c’è un’intervista di Aldo Cazzullo ad Adele Grisendi, vedova di Giampaolo Pansa: è bella, per alcune cose personali raccontate e per come sono raccontate (non lo dico con condiscendenza, che in queste occasioni si manifesta spesso sgradevolmente e me ne vergognerei) e malgrado su alcune valutazioni generali non sia convinto. Leggetela: qui sto alla larga da altre considerazioni su Pansa, che fin troppe ce ne sono state di ogni genere, e mi appunto un passaggio che sta dentro un’analisi più estesa e antica sul giornalismo italiano.
Ci fu trent’anni fa un incidente diplomatico/giornalistico intorno a un articolo su un quotidiano italiano di cui ho sempre trovato illuminante il commento che ne fece la stampa americana: non c’erano i social network, non c’era il web, non c’era niente di quello che si sostiene abbia complicato e cambiato l’affidabilità delle informazioni o persino peggiorato il giornalismo. Era il 1989, e il Chicago Tribune commentò così le polemiche e conseguenze di quell’articolo.
Era un gran pezzo, divertente da leggere. Aveva solo un inconveniente. Non era del tutto vero.
Credo sia una delle definizioni più esatte delle qualità e dei limiti di gran parte – forse quella più celebrata – del giornalismo italiano (ma anche di parti meno estese di quello non italiano, eh). Concludendo su come le moderne tecnologie già allora mettessero in crisi questa inclinazione a “colorare”, l’articolo la descriveva così:
Se una citazione è troppo grigia, rendila più piccante: chi vuoi che se ne accorga? Se solo poche persone sono morte in un massacro nella giungla, chi protesterà se le fai diventare decine? Ma fai centinaia.
Ecco, riprendo queste cose perché dentro l’intervista di oggi tornano esattamente, qualità e limiti, e la risposta di Grisendi (buffo: il tono dell’articolo su cui risponde somiglia molto a quello del 1989) conferma come siano connaturati ed entrambi accettati – rivendicati – nella cultura giornalistica italiana. E che quindi le discussioni sulle bravure di Pansa contro le inaccuratezze di Pansa non abbiano senso, in questi termini: sono il giornalismo come si insegna, si celebra e si tramanda qui.
«Sì, decisamente non si può dire che Pansa scrivesse male. Magari colorando un po’»