Il problema, stavolta, tra i terroristi e i minimizzatori, è che la realtà delle cose proprio non si può sapere. Abbiamo a che fare con un caso in cui neppure “il parere degli esperti” è risolutivo, se anche qualcuno lo ascoltasse: mi riferisco al parere sulla pericolosità del nuovo coronavirus. Perché nemmeno virologi e infettivologi sanno cosa succederà, quali siano i pericoli reali: la reazione è quindi di estrema e saggia prudenza con scelte senza precedenti, non per paura di un rischio reale ma di uno potenziale e al momento ignoto.
Solo che nelle nostre umane menti – aggiungeteci alcuni nostri disumani media – l’effetto di questa estrema e saggia prudenza con scelte senza precedenti è il panico esagerato. E le reazioni di panico esagerato – strumentalizzate e alimentate a loro volta – generano reazioni di minimizzazione. Presi in mezzo, quelli che vorrebbero una parola chiara e completa non la trovano, perché non c’è. È una post verità di fatto, oppure una pre verità, se volete: ovvero una situazione in cui non sappiamo ancora le cose, nessuno le sa, e a cui non siamo abituati, nel 2020. La paura dell’ignoto ci è così estranea, che cerchiamo di trasformarla in paure di qualcosa di noto anche dove il noto non c’è. Il noto fa molto meno paura (come dimostra il solito esempio delle morti da influenza stagionale, che sono ogni anno molto maggiori ma ci spaventano meno).
Dovremmo riabituarci a pensare in quei termini antichi: nelle nostre vite potrebbe entrare un rischio nuovo che non conosciamo, dobbiamo fare quello che sappiamo utile, e intanto vivere il resto delle vite con ragionevoli prudenze ma senza delirio. Ma non è facile, e per ora siamo nella più classica delle situazioni in cui i danni reali (alle convivenze, alle economie, alla società) li fa la paura.
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