In mezzo alle tante questioni e implicazioni e aspetti che si accavallano e confondono, e alle inevitabili complessità di ogni analisi che proviamo a fare sull’epidemia e sul funzionamento del coronavirus, per cui c’è sempre un “ma”, e ci sono sempre eccezioni, e ci sono sempre altri modi di vederla, e altre luci sotto cui valutare, un esempio mi pare chiaro e isolabile di come ci manchino proprio i dati essenziali su cui discutiamo ogni giorno, ancora. È la prima cosa che iniziammo tutti a notare e sottolineare un mese fa, e resta identica. Non conosciamo i veri tassi di letalità.
Sapere quante sono in totale le persone positive al virus sarebbe importante per la statistica epidemiologica: per arrivare a questi dati, però, andrebbero perlomeno testate tutte le persone che sono in quarantena o che lo sono state di recente. Questo dato agirebbe in modo determinante sulla letalità: ora questa viene misurata con il confronto tra i decessi e i ricoverati, ma se questo denominatore fosse sostituito dal numero delle persone positive in quarantena, la letalità si abbasserebbe di molto. Non è statisticamente vero che il virus è più letale qui che in Cina
(Alberto Zucchi, responsabile del Servizio epidemiologico dell’Agenzia per la tutela della salute di Bergamo, oggi)