Votare informati

Non lo so cosa voterò al referendum, lo dico subito, non sto scrivendo un altro dei mille articoli di questi giorni “bisogna votare x”. Trovo comprensibili gli argomenti per il No di chi dice “è una riforma di cialtroni incapaci che non meritano niente” e trovo sensate le ragioni per il Sì di chi dice “non è niente di scandaloso, lo abbiamo proposto molte volte in passato”. Non vorrei votare “contro” qualcuno, come si fa troppo spesso, e quindi vorrei stare al merito: e nel merito non vedo gravi rischi nel ridurre il numero dei parlamentari e – benchè sia d’accordo – non mi convince l’obiezione “è una riforma insufficiente”. Insufficiente è meglio che niente. Qualcuno espone dei rischi di rappresentanza, può darsi abbia ragione, ma sinceramente i risultati che sta dando da un po’ di tempo in qua il funzionamento del nostro sistema parlamentare di concerto col funzionamento delle nostre teste (il combinato disposto di qualità degli elettori e degli eletti) è abbastanza deprimente da non farmi vedere con tanto allarme esperimenti diversi: nei limiti della democrazia, che mi sembrano lontanissimi dall’essere oltrepassati (Dio ci protegga dai terroristi della deriva autoritaria evocata a ogni proposta di riforma). Ma ripeto, mi tenta anche il “vadano a quel paese” nei confronti degli inetti promotori, anche se mi troverei in compagnia nutrita di altri da mandare a quel paese.

Tra l’altro, mi permetto un solo parere: chi sostiene invece che a voler conservare l’attuale sistema siano “caste” ed “élite” compie un errore di lettura abbastanza grossolano, che confonde un sistema elitario con i suoi componenti. Può darsi che le persone attualmente beneficiate dalla distribuzione dei poteri vogliano conservare questa distribuzione, ma di certo è molto più elitario un sistema che riduce i beneficiati. Insomma, è molto più “elitista” un sistema a cui appartengono pochi che uno a cui appartengono molti (élite ha la stessa radice di eletti, ricordo).

Ma mi fermo sulle riflessioni generali, perché appunto non ne ho altre che non siano confuse e incerte. Proprio per questo trovo abbastanza insopportabili le posizioni perentorie e allarmistiche di alcuni che esibiscono opinioni drastiche e certe, che implicitamente attribuiscono quindi un grado di follia o stupidità a tutti quelli – compresi parecchi giuristi su un fronte o l’altro, e molte persone ragionevoli e intelligenti – che non la pensino come loro.
Tra questi approcci c’è un articolo richiamato in prima pagina di Repubblica oggi, che cita un calcolo fatto da uno studio della Camera dei Deputati in un modo che suona così: “se vince il Sì l’Italia diventa il paese europeo con il rapporto più alto tra elettori ed eletti, e questo è grave”. Per farlo suonare grave – non lo sarebbe, è ovvio che un paese democratico o un altro in Europa sia quello col rapporto più alto – la formulazione usa molto il termine “ultimo”, che mette in allarme il lettore. Potrebbe anche definirsi “prima”, l’Italia, per numero di cittadini per ogni eletto, ma funzionerebbe meno.

Ma la questione non è questa – piccola propaganda quotidiana, si fa – e non sono nemmeno i vari strafalcioni matematici in un articolo così privo di idee da essere costretto a rielencare nel testo tutti i singoli paesi europei e le loro presunte percentuali già mostrati nella più chiara tabella accanto.
(dico presunte percentuali, perché appunto l’articolo confonde tutto il tempo una percentuale con un rapporto, dimostrando una plateale mancanza delle basi). E, infine – ma cominciano a diventare parecchie le piccole falle dell’argomento – accantoniamo anche il fatto che l’articolo e i titoli trascurino di segnalare che il rapporto tra elettori ed eletti attribuito all’Italia sia molto vicino a quello dei paesi con cui l’Italia è paragonabile (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito: chi ha disegnato le grafiche nella pagina è stato l’unico che ha fatto un lavoro corretto e utile), e che le grandi differenze esibite riguardino paesi completamente diversi sotto molti aspetti. Insomma, a leggere la tabella i paesi simili all’Italia hanno oggi un rapporto di eletti tra 0,8 e 1 (per 100mila abitanti), con l’Italia a 1. Se passa il referendum, lo avranno tra 0,7 e 1 con l’Italia a 0,7 (un po’ meno, in realtà, se si scende ai centesimi).

E insomma, alla fine di tutta questa grossolana forzatura, l’inganno maggiore è che lo studio citato si riferisce solo alle “camere basse” dei diversi paesi: solo che in ogni paese la “rappresentanza” citata nei titoli dell’articolo è composta in modi differenti, e in Italia riguarda anche i senatori, che altrove a volte non ci sono, a volte non sono elettivi, a volte non sono eletti direttamente dai cittadini. Quindi stiamo paragonando mele e pere: la “rappresentanza” complessiva italiana se passasse la riforma sarebbe di 600, non di 400. Mentre in Norvegia, Lettonia, Lituania, Croazia, e molti altri paesi con una sola Camera, il numero paragonabile resta quello indicato (ma sarebbero mele e pere comunque).

C’è una cosa che andiamo dicendo spesso, col Post, quando raccontiamo i giornali e l’importanza di una buona informazione: che le democrazie funzionano bene solo se sono bene informate. Se racconti ai cittadini che con una legge sul “fine vita” si finisce ad ammazzare le ragazzine, le persone non la vorranno, quella legge.
Se invece qualcuno spiega bene le cose, poi è giusto e bene che ognuno voti come ritenga, senza terrorismi, a partire dalla realtà da una parte, e dalle proprie opinioni dall’altra. È quando la realtà è distorta e l’informazione è ingannevole – per propaganda interessata o sciatteria – che le democrazie funzionano male: non con qualche parlamentare in più o in meno.

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