Monoliti che non lo erano

Devo ammettere di avere seguito pochissimo la storia del “monolite dello Utah” fino a ieri sera, quando ho guardato gli ultimi aggiornamenti. Quindi intervengo sull’unica cosa che ho capito, laterale, e che mi sembra indiscutibile.
Non è un monolite.

Monolite (o monolito) è una parola che significa “pietra”, ne contiene la radice. Quel coso è palesemente di qualche materiale metallico. Chiamarlo monolite – benché il mondo lo faccia da una settimana, e pure il Post – è come chiamare malattia un virus (cosa che un pezzo di mondo fa da mesi). Ovvero usare un termine che non è equivalente – le parole giuste sono quelle che fanno capire bene le cose, qualsiasi siano, senza equivoci ma senza rigidità scolastiche – ma che trasmette un significato diverso dalla realtà, inesatto e fuorviante. Avendo solo letto i titoli, io immaginavo che il coso fosse di pietra, per via che da giorni lo chiamiamo “pietra“.
(intuisco che sia avvenuto per suggestiva similitudine con il coso di 2001, Odissea nello spazio, il cui materiale è composito e non chiaro all’inizio ma nel film è citato come “monolith” e credo lo chiami così anche l’autore Arthur Clarke).
Ma chi lo ha visto ha spiegato che pietra non è.

PODMORE: Well, we did hear from the former Utah state archaeologist Kevin Jones that it is not a monolith, like you say. It’s made out of sheets of stainless steel that are riveted together. It’s a prism shape, so three sides, about 10 feet tall from the ground. So I don’t know the proper nomenclature, but it’s there. And it’s fairly shiny.

Poi chi se ne importa del coso dello Utah, direte voi. Ma è un buon piccolo esempio di sbrigativa scelta delle parole che usiamo senza pensare al loro reale significato, col risultato di trasmettere immagini e concetti non fedeli: che per il giornalismo soprattutto è un grosso limite. Un altro esempio – anche recente – di cui abbiamo parlato spesso al Post è quello degli attentati in cui un mezzo “investe la folla” quando nei fatti sulla strada non c’era niente che chiameremmo una folla, ma piuttosto delle persone isolate che camminavano. E chi legge si raffigura le cose diverse da come erano.
È un’utile lezione, facendo questo lavoro di spiegare le cose, quando si stacca la testa dagli automatismi o dai conformismi (“lo chiamano tutti così”) e si realizza il significato delle parole che usiamo senza pensarci, e si capiscono i difetti del nostro comunicare e descrivere.

Per chiudere, come lo si chiama, il coso? Prisma mi pare il termine più esatto e corretto, a quanto si vede.

p.s. certo, è corretto anche parallelepipedo (un po’ faticoso da scrivere) se lo è: un parallelepipedo è un prisma, a base rettangolare.

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