Pensieri da giorno grigio

Lo dico senza sprezzo e anzi con solidarietà complice: i giornali hanno bisogno di produrre ogni giorno molti articoli, e anche di dedicarsi a molti temi. È il loro business, non diverso da quello della pasticceria che produce ogni giorno molti croissant, o dagli esempi a cui volete pensare. I croissant sono uguali tutti i giorni, noi utenti del croissant li mangiamo in pochi minuti, viviamo qualche momento di piacere, poi i croissant fanno il loro corso nel nostro apparato digerente e la mattina dopo ricominciamo, senza nessuna novità o senza nessun arricchimento stabile e di più lunga prospettiva. I giornali peraltro costano come quei croissant, per quelli che ancora li pagano. È una premessa che mi sta portando verso una riflessione che voglio scrivere da tempo sulle sproporzionate pretese che abbiamo rispetto ai prodotti-giornali – persino quando non li paghiamo – e a come vengono fatti, rispetto a quelle che non abbiamo rispetto al lavoro di molti altri su molti altri prodotti (nessuno entra mai in una pasticceria a spiegare come devono fare i croissant). Ma mi fermo, e la rimando, perché ero partito volendo scrivere di un’altra cosa.

Pure io ogni giorno leggo i giornali, ne leggo diversi: pagandoli, e perché mi serve leggerli per le cose che faccio e per cui a mia volta vengo pagato. Altrimenti li leggerei molto meno, perché mi danno molto meno piacere del croissant. E insomma, capisco quindi che ogni giorno ogni giornale debba produrre la sua dose di commento politico, tra le altre cose: poi finiscono gli anni, e se guardate indietro a cosa vi è rimasto di tutti quei croissant e di tutti quei commenti politici, non trovate niente. Niente di voi è cambiato in meglio per averli mangiati o letti, casomai può essere cambiato in peggio, in entrambi i casi. Ma è normale che sia così, dicevamo.

Forse ci arrivo, prima di notte.

C’è, tra i commenti politici, una sottocategoria a cui ci dedichiamo in molti (io meno, ultimamente, e forse questo è il punto) che è: cosa dovrebbe fare la sinistra/destra per essere meglio di così. È un genere di commento eterno, perché non c’è mai stato un momento nella storia in cui non si pensasse che la rappresentanza politica potesse essere meglio di così. E ci sono stati spesso periodi in cui si è avuta la sensazione che idee, proposte, persone, consigli, progetti diversi potessero invece migliorare le cose, e ognuno diceva le migliori secondo lui o secondo lei. Poi a volte alcune di quelle cose succedevano pure: soprattutto quando la distanza tra i leader politici e l’offerta di alternative era ridotta, ed era possibile che i primi venissero sostituiti dalle seconde, oppure che fossero costretti ad attingere alle idee alternative per modificare o mediare i loro progetti.

In queste settimane leggo commenti politici benintenzionati che spiegano quali sono i problemi e i limiti dei partiti e dei leader e degli schieramenti in circolazione e auspicano miglioramenti. Solo che non sanno dove pescarli questi miglioramenti. I due bacini che ho citato sopra – la politica che decide e il repertorio di alternative a cui può attingere o che la può rimpiazzare – non sono mai stati così asciutti come oggi. Prosciugati.

La mediocrità di competenze, di iniziativa, di coraggio, di autorevolezza (e trascuro i giudizi umani o intellettuali, che pure una volta erano importanti, prima che si criminalizzassero i giudizi umani o intellettuali) della classe dirigente politica attuale è invisibile solo a chi abbia gli occhi abbassati fissi sul commento politico che deve scrivere per domani, o a chi viva la politica come uno stadio in cui fare il tifo ugualmente che la tua squadra si giochi la Champions o cerchi di rimanere in serie C. Lo dico senza nessuna acrimonia e col rispetto che si deve a persone che – in alcuni casi – sono forse in buona fede e animate da buone intenzioni. Ma scarsi. Scarsi scarsi.

Stiamo facendo la figura dei peracottari ai nostri stessi occhi, ogni giorno su un fronte diverso.

E ho criticato in passato la retorica nostalgica (e a volte ignorante) che paragonava criticamente i nuovi politici ai “Berlinguer, De Gasperi, Pertini” eccetera: è cambiato il mondo, sono cambiate le nostre culture e le nostre società, siamo umani differenti, e non è escluso che i sopra citati oggi sarebbero presi a insulti sui social network (lo erano anche allora, peraltro) e demoliti alle elezioni, leader di partitini che si batterebbero contro lo sbarramento. Era più facile essere autorevoli, seri, responsabili quando l’autorevolezza, la serietà, la responsabilità erano prese in considerazione dagli elettori. È un circolo vizioso, lo so: ma ci siamo dentro.

Oggi però siamo oltre: non solo le leadership politiche e i rappresentanti di governo non hanno più quelle doti, anacronistiche e novecentesche: non hanno più nessuna dote, se non quella – non trascurabile – di essersi resi disponibili con sprezzo delle loro inadeguatezze e della loro mancanza di statura degna di guidare le scelte di un grande paese.

È il risultato di avere utilizzato criteri mediocri e informazioni mediocri per promuovere classi dirigenti mediocri. L’abbiamo già detto un sacco di volte. Quello che mi pare si aggiunga, da un po’ di tempo in qua, è la mediocrità delle alternative, delle proposte, delle opportunità. Detto – anche questo, da un pezzo – che abbiamo un governo tollerato e accettato da una cospicua parte del paese con l’argomento che l’alternativa sarebbe peggio, il problema è che anche all’interno dei tradizionali schieramenti di destra e sinistra non si muove più niente (se non a livelli di briciole percentuali, e ognuno avrà le sue che più apprezza e più disprezza, ma sempre briciole sterili sono, microrifugi). Si sono dati praticamente tutti, a destra o a sinistra: in un misto tra comprensibile rassegnazione, umana pigrizia, giustificato desiderio di godersi queste brevi vite con minori frustrazioni di quelle che offre l’impegno politico ai tempi dell’ignoranza populista (di cui noi popolo siamo complici).

Vi sembrerà normale, ci si abitua a tutto. Io ho il ricordo, invece, di avere passato decenni in cui senza interruzione si proponevano nuovi progetti di movimenti e partiti, che crescevano, spesso si schiantavano, a volte si aggiungevano, altre contribuivano, e in qualche caso persino occupavano spazi importanti. Visti da qui, sembrano eccitanti persino i progetti di Segni o Montezemolo. Oggi il problema non mi pare tanto nel quadro di potere descritto dall’arco parlamentare opossumcapreteppisti che copre quasi l’80% dei consensi, stando ai sondaggi (e supera l’85% se ci aggiungi babbioni): una palude a cui manca qualunque brillantezza, coraggio e lungimiranza politica, rendendo vana e ingenua la scrittura di ogni commento politico quotidiano. O meglio, certo che è un problema, la palude. Ma il vero problema inedito è che non si muove niente*, ai bordi della palude.

Quando avevo vent’anni, per dare un alibi alla mia pigrizia e spaesamento rispetto a cosa fare della mia vita successiva, mi compiacevo vilmente della frase “Qualcosa succederà”. Ci ha messo un po’, e in effetti ho dovuto occuparmene con qualche impegno maggiore, ma qualcosa è successo.
Questo è un secolo in cui le cose succedono con precipitosa imprevedibilità, inaspettate, e non sono sempre brutte. Prendetelo come un elemento di ottimismo: non c’è mai stato periodo migliore nella storia del mondo per i cambiamenti inattesi. Qualcosa succederà.

 

*(Calenda, Carfagna, certo, come no: capace che nel 2032 avranno un ministero).

 

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