L’importanza dell’audio

Da diversi anni non guardo la televisione. Nel senso che non ce l’ho, e quindi la guardo solo raramente, nelle televisioni altrui: qualche volta da amici, la partita dell’Italia in un bar. Non c’è nessuno snobismo preconcetto, o scelta ideologica: sono stato a lungo un grande guardatore di televisione. Ma a un certo punto, come dice Massimo Mantellini, l’offerta di cose a cui prestare attenzione è diventata enorme, e il tempo sempre lo stesso: lui ha sacrificato i podcast, io – a ragion veduta – la televisione (che da certi suoi tweet immagino lui continui a guardare). La qualità dell’offerta di cose in rete è peraltro straordinariamente superiore: questo non è un pregiudizio, è un giudizio. E sulla comprensione del “paese reale”, ho già dato parecchio e ho tuttora abbastanza occasioni. E insomma, smettendo di guardarla, nell’ultima casa dove ho vissuto non l’ho nemmeno messa. Guardo le serie e i documentari nel computer, e i video delle cose di cui si parla su YouTube o su Twitter o sui siti di news. Quello che mi perdo soprattutto sono tutte le news trasmesse dalla tv, e i talk show e i programmi di varietà diversi. Mi rendo conto ogni tanto di non sapere delle cose, ma la coperta è corta: se le sapessi me ne perderei altre che leggo, guardo, ascolto, ogni giorno nelle solite 24 ore (la vecchiaia che abitua a dormire meno, comunque, aiuta).

C’è però una cosa che mi rendo conto vada perduta, e rischiosamente, a non ascoltare le notizie dal canale principale che le diffonde presso la popolazione italiana – sento poco anche la radio – ed è il modo in cui i nomi vengono pronunciati: ci ho pensato oggi, che ho realizzato di non aver mai sentito pronunciato il nome di un tennista che va molto forte da qualche anno, e io – non avendo la televisione – da qualche anno non guardo il tennis: so chi è, so cosa se ne dice. Ma se domani dovessi dire il suo nome, lo pronuncerei probabilmente sbagliato, oppure – spesso li pronunciano sbagliati anche in televisione – in un modo che suonerebbe estraneo a chi mi ascolta.
Era un problema che scoprii quando cominciai a fare programmi in radio: tu leggi delle cose, ti informi, le sai, ti prepari a raccontarle, ma nella tua testa le hai registrate scritte e invece sei in diretta e devi dirle e realizzi che non sai dove vada l’accento, o quale sia la pronuncia giusta.

Così, ho pensato che è l’unica cosa per cui mi sarebbe utile la televisione: forse al prossimo trasloco la ricompro.

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