Naturalmente è opportuno e utile che oggi Francesco Costa abbia spiegato – nel podcast Morning – alcune dinamiche legate all’elezione del presidente della Repubblica, e che abbia voluto smontare l’idea che il criterio della scelta sia la “qualità” del candidato rispetto al ruolo: qualità che da un lato è un criterio in gran parte soggettivo, e che dall’altro viene richiesta in una quota piuttosto accessibile (l’unico candidato finora, e per niente debole, è Silvio Berlusconi: per dire).
I grandi elettori, ha spiegato Costa, votano il Presidente della Repubblica in base a una serie di criteri che sono di interesse personale – legittimo – o di interesse del loro partito, e legati alle implicazioni e ricadute per se stessi e per il proprio partito di quell’elezione: è in questo senso che vanno ipotizzate e capite le scelte, e come dice Costa sarebbe ingenuo non averlo presente.
È un’ingenuità che molti di noi non hanno, anche se a volte per amor dell’argomento trascuriamo di considerarlo, e proponiamo X che “sarebbe un ottimo presidente della Repubblica”, prima che qualcuno ci ricordi che “non lo voteranno mai”.
Però distinguerei tra assenza di ingenuità e rassegnazione: questo stato di cose, ovvero, non è un buon funzionamento della democrazia, e lo ricorderei. Non è una straordinaria ed encomiabile applicazione della Costituzione cosiddetta “più bella del mondo” e di un sistema di rappresentanza che sosteniamo quotidianamente di voler difendere. Un pezzo importante dei meccanismi di eventuale funzionamento della democrazia è fatto dalle persone: le persone che eleggono e le persone che vengono elette. E al corretto promemoria di Costa sugli interessi in gioco – dei grandi elettori e dei loro partiti – aggiungo il chiarimento di quello che dovrebbe essere il principale: ovvero quello del paese.
Inciso. Perdonatemi la tromboneria dell’espressione “interesse del paese”, chiamatelo “bene comune” o “comunità”; ma non voglio dire “i cittadini”, “la gente”, che sono termini di ruffianeria populista che trasmettono l’idea di tanti interessi singolari, di nuovo. Quello per cui vengono eletti i “grandi elettori” non sono gli interessi miei, tuoi, della mia vicina di casa e così via fino a fare sessanta milioni di interessi: sono gli interessi complessivi e lungimiranti di una comunità e di un paese, che dovranno esistere ancora quando saremo morti. Fine dell’inciso.
Insomma, non è una democrazia nobile né ben funzionante quella in cui i rappresentanti non fanno l’interesse di ciò che rappresentano, e in cui i cittadini – qui sì, ciascuno di noi – hanno eletto rappresentanti che non lo fanno. Usciamo da giorni di celebrazione e rispetto per l’impegno devoto all’Europa e al ruolo di David Sassoli, e dobbiamo vivere come normale un parlamento di persone e leader politici che scelgono il presidente della Repubblica senza pensare a cosa sia meglio per i prossimi sette anni dell’Italia? Dobbiamo, sì, non siamo ingenui: ma non va bene, nemmeno nel cinico e stupido 2022. Eleggere una brava persona col senso del ruolo e della responsabilità e l’intelligenza politica necessaria, apprezzata o tollerata da una estesa quota del paese, non sarebbe un impegno così sbagliato, a essere ingenui. Criteri in parte soggettivi, ma in gran parte no (vedi Berlusconi, solo per tornare sull’unico esempio).
Nel 2023 andrebbe fatto uno sforzo di rieducazione di candidati ed elettori, sulle loro responsabilità nel funzionamento della democrazia. A essere non ingenui, ma neanche rassegnati.