Non mi ha convinto molto l’unanime sprezzo derisorio e un po’ autocompiaciuto nei confronti dei video di insediamento di alcuni politici su TikTok della settimana scorsa. Non tanto perché quei video non meritassero sprezzo e derisione per il loro contenuto – ma non più di mille altre performance quotidiane da parte di quelli e di altri candidati a cui siamo abituati – ma perché nelle critiche ho avuto l’impressione ci fosse un po’ di supponenza ingenua, figlia di quell’inclinazione che abbiamo tutti spesso a ritenere che le nostre esperienze e le nostre opinioni siano quelle di tutti. Un po’ il solito discorso delle bolle, che ci inganna a pensare che il mondo sia tutto uguale a quel suo pezzetto che frequentiamo e che vediamo intorno a noi.
Ne avevo parlato in una chat di redazione al Post e incollo qui quella formulazione un po’ sbrigativa di questa riflessione, perché in realtà dopo è un’altra la cosa di cui volevo scrivere.
Io metto a verbale un dissenso, o almeno minori certezze, sull’ondata unanime di pareri espressi nei confronti dei politici su TikTok: ed è che mi pare altrettanto superficiale, lo sprezzo, nell’immaginare che TikTok sia un posto fatto soltanto da adolescenti curiosi, sgamati, ascoltatori di Morning o manifestanti per il pianeta, che la sanno lunga, hanno attenzioni critiche su tutto e che sfotterebbero comunque qualunque adulto su TikTok. Ma l’elettorato di cui questi candidati cercano il consenso è fatto da 60 milioni di persone, che sono molto più varie, diverse, e che spesso hanno gli stessi facili e banali gusti sia che siano davanti alla televisione o che siano davanti a TikTok: Berlusconi su TikTok ha fatto il Berlusconi di sempre; e ci vinse parecchie elezioni, mentre noi lo sfottevamo. Tra l’altro sappiamo tutti che TikTok non è più un posto elitario di soli teenagers, ma è quello che era Facebook un po’ di anni fa, il social network su cui stanno tutti, comprese ampie quote di nostre cognate o zii, di miei conoscenti cinquantenni, o di ragazzi che non hanno la competenza e l’elaborazione sui fenomeni social che hanno i social media editor del Post o gli svisceratori di trend e meme, e non il palato particolarmente raffinato da fare tutte queste valutazioni sull’uso giusto o sbagliato di TikTok (tra i ragazzi che arrivano da ovunque per affollare i vivaci bar intorno a casa mia ne vedo tantissimi che immagino facilmente poter condividere tra loro con giovanili espressioni di apprezzamento i video di Berlusconi o di Calenda, come fanno i loro simili adulti*). Insomma, può darsi pure che questi usi di TikTok da parte dei politici siano anomali e goffi (certo che lo sono) rispetto alla prevalenza dei suoi usi, ma questo non significa che non possano avere grandi pubblici o grandi consensi esattamente come i tweet di Salvini che si mangia i supplì e che noi troviamo e trovammo altrettanto assurdi e impresentabili (e lui ci costruì un consenso sensibile). Se la vita online e il rapporto con i social network non li vogliamo considerare più una cosa diversa, separata, e di nicchia, ma una parte omogenea del mondo “normale”, come abbiamo deciso da anni contestando la presunta separazione tra “il reale e il virtuale”, questo vale anche per TikTok, che non è di certo un club londinese in cui se non ti presenti in giacca e cravatta non ti fanno entrare e ti guardano male. È il paese.
Ma il giudizio invece severo di molti altri su queste esibizioni su TikTok – altri che legittimamente preferirebbero da Calenda un video di spiegazioni chiare sui rigassificatori, o da Berlusconi una riflessione sul ruolo dell’Italia nella politica internazionale, senza ammicchi da “ehi, raga” – sta dentro una questione più generale sulle aspettative di “serietà” da parte dei politici.
Qualche giorno fa ho visto un mio amico, antico elettore del PD ogni volta con maggiori disincanti e con maggiori tentennamenti, che mi ha detto che lo voterà di nuovo “perché almeno Letta si comporta da persona seria rispetto a tutti gli altri”: e la sua era una valutazione stilistica, quasi estetica, riferita proprio al “comportarsi” (ma poi anche all’affidabilità nella sostanza che una serietà nella forma suggerisce). Quello a cui il mio amico si riferiva, ho pensato poi, è quello che una volta chiamavamo “comportarsi da adulti”.
So di dire cose risapute e ripetute (ripetute anche da me), e quindi le citerò succintamente, ché le conoscete tutti. Nella seconda metà del secolo scorso, in questo paese e negli altri paesi beneficiati da condizioni di vita straordinariamente migliorate e da preoccupazioni di gravità enormemente minore rispetto a quelle affrontate dalle generazioni precedenti, il passaggio all'”età adulta” si è diluito, attenuato, sfumato, fino a scomparire sotto molti aspetti. Dai boomers (forse non i primissimi boomers) in poi, siamo diventati adulti – i maschi soprattutto, esentati storicamente e biologicamente da un’ulteriore responsabilità di maturazione – rimanendo ragazzi, senza gran parte delle motivazioni o degli obblighi (reali, sociali) per abbandonare tutti gli aspetti dell’essere ragazzi: quelli che in altri tempi chiamavamo “comportamenti infantili”, e che oggi fanno parte (anche con piacere, nostalgia, attaccamento: non sempre ragioni deprecabili) delle vite online e offline di moltissime persone sopra i venti, sopra i trenta, sopra i quaranta, sopra i cinquanta, accanto al loro inevitabile doversi comportare da adulti su tutta un’altra serie di piani. Compreso quello della politica.
Questo è quello che ha impressionato di Mario Draghi, presso molti italiani: non la competenza, i risultati, o altre sue doti che ci arrivano riferite, che quasi sempre non siamo in grado di valutare personalmente. Ma che sia una persona seria, adulta, nei comportamenti che vediamo, nella sua visibilità pubblica, nel suo rappresentare un’istituzione e un ruolo straordinario come quello di capo del governo, e persino nell’imbarazzo goffo – che conferma la regola – con cui si cimenta rarissimamente in considerazioni informali o battute che suoi colleghi politici snocciolano invece con spavalderia fiera ogni cinque minuti. Tanto è vero che le stesse ragioni hanno generato estese ammirazioni anche per Giuseppe Conte, che pure in termini di competenza, risultati, non offre lo stesso capitale: ma non si è comportato quasi mai infantilmente, nel senso di cui stiamo parlando, nel senso in cui pensiamo a certi video di Salvini, Calenda, Renzi, Berlusconi. Sembra anche lui una persona adulta (spesso ignorante delle cose che dice e di cui si occupa, ma adulta).
Il problema, nel cavare un ragno dal buco di queste riflessioni (io non ce lo cavo), è che non possiamo dire che “la gente vuole persone serie”, perché non è vero. I nostri pesi e le nostre misure variano molto, e siamo molto più indulgenti nei confronti delle “normalità” di chi apprezziamo per altre ragioni (spesso ragioni di semplice partigianeria) rispetto a quelle degli avversari: lo stesso Enrico Letta, apprezzato per “serietà” dal mio amico, non si sottrae mai a una citazione bambinesca per il Subbuteo, per Rocky 4, per la squadra per cui tifa. E per tantissime persone quelle normalità sono persino una dote, come dimostra la dimensione del successo raggiunta da Berlusconi a forza di barzellette e fesserie (o la capacità di Trump di spacciarsi come “uno di noi”), e la sua sopravvivenza a uno scandalo comportamentale di scala inaudita. In un mondo, e in un paese, in cui tutti sono diventati infantili convivono sia l’apprezzamento per “uno di noi” con tutti i suoi infantilismi e vanità, che quello per “una persona seria” che ci ispiri ammirazione. Non c’è nessun politico, tra quelli che mi vengono in mente sotto i settant’anni e con ruoli di leadership, che sia esente da una sincera dose di infantilismo e di radicamento nella propria adolescenza, e da una consuetudine a esibire queste dosi convinto di piacere e che vada bene così: che si comporti insomma “da adulto”, a parte Giuseppe Conte coi suoi altri salienti limiti (forse Giorgio Gori, che infatti fa il sindaco di Bergamo, ma mi fa velo un’amicizia). La più visibile misura di questi tratti è l’operazione “faccio il simpatico sui social network con sprezzo del ridicolo e dell’umiltà”. Che paga per certi politici di comunque minor credibilità e presso certi elettorati, mentre ne imbarazza altri (ricordatevi come andò a finire quando uno che aveva costruito una sensibile ammirazione dal nulla per la propria noiosa autorevolezza venne “normalizzato” da un cagnolino preso in braccio e da altri goffi tentativi simili).
Ma anche a trascurare l’efficacia nel raccogliere consenso dai comportamenti e dai riferimenti che abbiamo chiamato infantili, indecorosi per un adulto, proviamo a riflettere su cosa possa allora essere oggi comportarsi da adulti quando quasi nessuno è più adulto come un tempo, e quando nessuno può e deve essere costretto alla gravità delle generazioni che – sfortunate o fortunate – crebbero con la guerra o le sue macerie e senza i social network. Perché quello dobbiamo dircelo: i paragoni sono una sciocchezza, “non ci sono più De Gasperi o Berlinguer” perché è cambiato tutto, e non ci sono più elettori di De Gasperi o Berlinguer.
Io penso che si tratti di una questione di comportamenti pubblici e privati, ancora una volta. Il caso della prima ministra finlandese Sanna Marin è interessante, in questo, se mettiamo da parte le (rilevanti) questioni sul sessismo delle accuse contro di lei. Il problema di quei video in cui ballava e si divertiva, credo io, è stata l’ingenuità sventata di averlo fatto in un contesto in cui quei comportamenti avrebbero poi potuto essere visti e giudicati da tutti, entrando in conflitto con l’immagine di responsabilità e serietà del suo ruolo e della sua persona pubblica: “sono una persona come le altre” è un alibi che non può valere per chi deve fare cose che necessitano di persone speciali, non come le altre (alibi abusato assai da diversi magistrati italiani in passato). Una parte del tuo lavoro, se sei primo ministro, è “apparire” eccezionale: costa dei sacrifici? certo, ma se non li volevi fare facevi un altro lavoro, e non ti prendevi questa responsabilità. E Mario Draghi sarà sicuramente un capriccioso e polemico giocatore di Trivial Pursuit, con la sua famiglia, o un pedante ripetitore di propri successi giovanili con i suoi nipoti, o uno scatenato ballerino di twist quando è solo a casa: ma non mette queste cose sui social network.
Voi direte che infatti Draghi non vincerebbe le elezioni, probabilmente, come sanno i candidati che si affannano su TikTok: ma se un giorno le vincerà qualcuno che “si comporta da adulto” sarà perché buoni esempi avranno cambiato le nostre teste e le nostre priorità di elettori.
*oggi ho incrociato una fila di almeno sessanta ragazzi e ragazze (utenti di TikTok di certo) in attesa davanti alla pasticceria milanese di recente apertura che vende dolci a forma di organi sessuali. Non li immagino tutti indignati dai video di Calenda.