Avevo scritto un post di rovelli sul rapporto di molti di noi con la contraddizione tra la tentazione continua di trovare soluzioni per migliorare le cose e la lucida consapevolezza che siamo spacciati (ovvero su quella condizione meravigliosamente espressa da Cesare Zavattini in quella frase sempre citata da Paolo Nori, e ora sempre citata da me), e sul disincanto che mi sembra avvolgere tutti, ma era venuto noioso e deprimente. Quindi mi limiterò a offrire alle vostre, di riflessioni, una cosa che ha scritto ieri Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, in conclusione della risposta a una lettera di un lettore, a proposito della possibilità di rendere più efficienti e proficue le cose della politica italiana, e quindi del paese (il tema erano i tempi di azione del governo, ma si capisce che la considerazione è più generale).
Questa frase finale l’ha scritta ai suoi lettori il direttore del maggiore quotidiano italiano, forse il massimo esponente di un servizio pubblico che – insieme a quello della politica – è quello che ha maggiori responsabilità nel costruire fiducia e motivazione nelle persone su futuri migliori, su “un grande paese”, sul senso della convivenza. E occhio, non lo sto criticando, anzi: io mi sento esattamente come lui (“ma me ne dimentico sempre”). Ma a me fa impressione – e mi muove solidarietà – che il direttore del Corriere della Sera arrivi a scriverlo sul suo giornale, e a condividere questo messaggio disperato con i suoi lettori.