C’è una grande quota di persone (sospetto la maggioranza) che si fa un’opinione sulla applicazione del 41 bis nei confronti di Alfredo Cospito, e sul 41 bis in generale, legata alla gravità dei reati per cui è stato condannato. È interessante e preoccupante perché dimostra quanto sia estesa l’ignoranza nei confronti degli argomenti della giustizia di cui si discute ogni giorno, e sulla base della quale si formano consensi e si prendono decisioni politiche. E quanto sia carente il lavoro di informazione e spiegazione da parte dei mezzi di informazione.
Il 41 bis non è un aggravamento della pena conseguente al reato per cui il detenuto è stato condannato: giudicare la correttezza della sua applicazione a partire dall’indignazione per quello che Cospito ha fatto o – peggio ancora – dal fastidio umano per il colpevole è del tutto privo di senso. Il 41 bis è una misura – discutibile e discussa – le cui “ragioni” sono la presunta pericolosità attuale del condannato nei suoi contatti con l’esterno e l’intenzione di evitare questi contatti.
Chi voglia avere un giudizio deve quindi prendere in considerazione due cose: se il 41 bis – nel suo stabilire delle deroghe e delle eccezioni ai principi sui diritti e alle leggi ordinarie – sia una norma in accordo alla Costituzione (molti pensano di no); e se nel caso del condannato in questione, considerato il carattere eccezionale e grave della deroga in questione, ci siano le ragioni di pericolo indicato. Che “se lo meriti” o no, non c’entra niente.
Il resto è il solito carattere emotivo, strumentale e ignorante del dibattito italiano, e in particolare di quello sulla giustizia.