C’è un gran numero di persone di opinioni progressiste, in Italia, che sono tuttora incredule della prospettiva di una vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane, ovvero del fatto che così tanti elettori lo votino. Trump.
Molte non se ne capacitano. Altre si danno la vecchia spiegazione degli americani che sono matti, spiegazione che pur avendo una quota di fondamento non può coprire realisticamente la metà dell’elettorato statunitense.
Molte persone di opinioni progressiste, poi, sono incredule pure che tantissimi comprino il libro di Vannacci, o che tanti votino Salvini. Oggi, dopo le elezioni liguri, ci sono commenti stupiti dell’apparente anomalia di un centrosinistra incapace di vincere persino in una regione il cui presidente di centrodestra è stato arrestato e si è dimesso per quello. Ed è considerato da tutti piuttosto eccezionale che una maggioranza al governo da due anni, senza successi da vantare e con diversi incidenti di percorso, non solo non ne paghi l’abituale prezzo ma invece continui ad avere estesi consensi, e a vincere elezioni regionali una dopo l’altra.
Le destre, insomma, vincono malgrado tutto, malgrado qualunque cosa facciano: malgrado le condizioni meno favorevoli, malgrado i loro stessi fallimenti e inadeguatezze. Ricorderete la frase di Trump sul fatto che lo avrebbero votato anche se fosse sceso per strada sparando.
E se posso avventurarmi in una spiegazione – non unica, non assoluta, ma che direi faccia la differenza – è che questo succede perché tante persone votano con altri criteri: non sopportano le alternative (userei un’altra espressione, un po’ volgare, ma a richiesta, privatamente, posso comunicarla). Occhio, non è che non sopportino “le proposte alternative” (delle proposte non frega quasi a nessuno): non sopportano le persone alternative, non sopportano gli altri, i loro candidati, i loro elettori, i loro giornali, i loro propagandisti. O meglio, l’immagine che ne hanno: che è un misto di verità e di balle diffuse strumentalmente con grande efficacia dalle propagande di destra o populiste (che non sono solo di destra). E di verità, ripeto.
Sono decenni in cui votiamo “contro” qualcuno e non per qualcuno, questo lo si è detto in abbondanza. E sono decenni in cui gli elettori – tutti noi – hanno introiettato un doppio standard di giudizio: ai candidati e ai partiti progressisti, e ai loro sostenitori, sono richieste qualità morali, intellettuali, di competenza corrispondenti al modo in cui questi si sono raccontati e tuttora si raccontano; agli altri, che questo racconto di sé se lo sono sempre più risparmiato, la mancanza di queste qualità è molto più perdonata. La loro “coerenza” è tollerata, e a indignare e infastidire sono molto di più le inadeguatezze degli altri – inadeguatezze che appunto una eccezionale e truffaldina narrazione ha esteso anche agli adeguati -, ovvero di quelli che quelle qualità le predicano, e che ottengono il risultato di far sentire umiliati e frustrati tutti quelli di noi che non se ne sentono all’altezza, le cui coscienze preferiscono gli innocui e confortevoli Salvini, Vannacci o Trump. “E allora tu?” è la considerazione più immediata di fronte a qualunque critica, e raddoppia il suo peso: “e allora tu, che sei uguale e pure critichi, non sei peggio?”. Gli incapaci e gli impresentabili, a destra, sono considerati parte del paesaggio dalla maggioranza degli elettori.
È giusto tutto questo? No, ma sapete che c’è? È la realtà. E come decenni di antiberlusconismo non sono serviti a niente contro Berlusconi, anche lo scandalo e l’esibizione quotidiana delle pagliacciate e vergogne di Trump o dei ministri meloniani non scalfiscono i loro risultati elettorali: servono solo a parlare ai convertiti, a respingere gli altri, e a mantenere le rendite di posizione senza favorire nessun vero cambiamento (leggete questo bell’articolo di David Brooks sul perché gli elettorati americani siano così stabilmente equivalenti da anni, stabilità che statisticamente dovrebbe meravigliare: ci sono molte cose fondate anche da noi).
E quindi? E quindi le strade sono due: o l’opossum, che conserva in vita leader e partiti che rinunciano a qualunque progetto, visione o intervento, ma in condizione di perenne subordinazione, sempre superati da qualcun altro. Eterni secondi, nel migliore dei casi. Oppure lavorare per battere questi meccanismi, con un ripensamento di tutto molto esteso e coraggioso, e i rischi e le fatiche del caso. Diventare all’altezza di sé (la “questione morale” dovrebbe essere quella, diventare all’altezza) e di quello che “progressisti” significa, costruire narrazioni vincenti. Think out of the box, come dicevano quelli. In the box vincono sempre gli altri, senza neanche far niente: solo puntando il dito.