Il giornalismo impressionista

La scrittura autocompiaciuta, artificiosa, enfatica, che si è impossessata di gran parte del giornalismo italiano è una delle complicazioni dell’informazione contemporanea di questo paese: in cui la prima ambizione di chi scrive e dovrebbe raccontare fatti e far capire le cose è invece diventata di fare letteratura e rendere riconoscibile se stesso attraverso la ricerca di parole superflue o barocchismi. Dire “io esisto, e quel che aggiungo sono queste parole”. E per anche chi non applica questi processi, quella scrittura è diventata un modello e sono ormai rari coloro che inizino un articolo dicendovi qual è la notizia e di cosa si sta parlando: l’approccio è la ricerca ricercata di un’introduzione, un’idea, una considerazione, una citazione, e la semina di altre cose del genere lungo il testo, e infine – soddisfatta – “la chiusa”. In cerca di uno “stile” che quasi sempre per questi autori è aggiungere, mai levare.

E il commento più efficace di questa piega che hanno preso le cose non è questo mio goffo e un po’ esausto tentativo di descriverla, ma quello che ne dice un grande inviato italiano – Bernardo Valli di Repubblica – in un’intervista ad Antonio Gnoli su Repubblica di oggi.

Come Tommaso Besozzi, l’inviato speciale e grande cronista de L’Europeo.
«Tu scavi nel passato. Morì nel 1964. Gli ero stato amico. Vedevo in lui crescere l’angoscia. Farsi smisurata. Si lasciò esplodere con una bomba».
Tu hai scritto che a un certo punto della vita non riuscì più ad adeguare le parole ai fatti.
«È così. Le esigenze dello scrittore presero il sopravvento sulla realtà. Poteva rimanere per ore davanti al foglio bianco senza scrivere una parola».
A te è mai accaduto?
«Raramente, non sono un letterato».
Lo ritieni quasi un insulto.
«È il destino, nel bene e nel male, del giornalismo italiano ».
Il bello scrivere?
«Scrittura impressionista che più che guardare all’Inghilterra, come credeva Albertini, si ispirava alla Francia. Giornalismo pamphlettario. Molta denuncia e pochi dati».
Qual è la tua idea di giornalismo?
«È prima di tutto un servizio. Una cosa pratica. Informa: dagli orari delle farmacie a quello che accade in una guerra. È un lavoro artigianale. Non letterario».

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14 commenti su “Il giornalismo impressionista

  1. Raffaele Birlini

    A parte che ci sono esempi di giornalismo dove chi scrive gli articoli fa letteratura anche parlando di cronaca, dove per letteratura non si intende enfasi impressionista (qualunque cosa si indenda dire affibbiando con intenti denigratori questa etichetta – a proposito, si può usare affibbiare o è un verbo troppo difficile? non vorrei peccare di enfasi impressionista). La letteratura, come minimo, è padronanza della lingua e ricerca stilistica, è ampiezza di vocabolario, ritmo sintattico, precisione come richiamo a valori di bellezza formale, capacità di trasmettere la complessità dei sentimenti umani senza scivolare nella poetica da telenovela. Non capisco dove stia il maggior valore in un articolo scritto come un temino di terza media per essere capito da lettori che si ipotizzano mentalmente svantaggiati. Stiamo parlando di giornalismo come missione in soccorso di una popolazione composta in massima parte da cerebrolesi? Di giornalismo che deve evitare la nicchia di mercato e rivolgersi alla più vasta platea di clienti possibile, compresi gli antropologicamente inferiori che, nella mitologia della sinistra, guardano la tv spazzatura e sbagliano a votare? L’intervista citata fa riferimento a giornali interamente dedicati all’informazione, come se non ci fossero esempi di giornalisti che è un piacere leggere anche se scrivono che gli è morto il cane (per dire, un articolo di Franzen sul problema dell’impallinamento degli uccelli migratori, che facciamo, non lo pubblichiamo?), come se non esistessero pagine dedicate alla cultura (a meno che la cultura sia diventata anch’essa una semplice forma di trasmissione di nozioni precotte alle nuove generazioni). Ma di cosa stiamo parlando, davvero stiamo descrivendo il giornalismo come divulgazione degli orari delle farmacie? Stiamo dicendo che nel 2015 la gente compra il giornale perché vuol sapere la farmacia di turno perché non si sa mai, metti che ti serve un’aspirina e una bomba atomica ha distrutto internet, cosa fai? Tiri fuori il giornale, mi raccomando che sia privo di enfasi impressionista, e trovi la farmacia aperta. Quello che forse si sta cercando di dire, qui, non è che il giornalismo italiano non racconta le notizie per colpa dell’enfasi impressionista, quanto piuttosto che il giornalismo italiano non racconterebbe le notizie nemmeno utilizzando bambini di quinta elementare, c’è un motivo se l’Italia cos’è?, 60ma, 70ma?, nella classifica della libertà di stampa, e quel motivo non è certo la pretesa di far letteratura (che spesso ha esiti ridicoli per l’uso cialtronesco della penna in mano a certi individui che non riconoscono la buona scrittura nemmeno se gli salta addosso) perché la letteratura non può certo rendere incomprensibili gli orari delle farmacie di turno, gli annunci funebri, le locandine dei cinema, il numero dei morti, le cifre di un bilancio. Con “enfasi impressionista” forse intendi il chiacchierare a vanvera per evitare di dare la notizia, il ricamare opinioni per distruggere la versione dell’altra parte politica o avvalorare la propria, nel balletto mediatico finalizzato a orientare il consenso delle masse. Si lasci fuori dunque la letteratura, il mettere o levare, l’esigenza di sobrietà nel riportare i dati crudi e i nudi fatti, come se fosse da considerarsi troppo qualificato per fare giornalismo uno scrittore (uno scrittore vero, che fa letteratura, non uno che si definisce così perché ha pubblicato dei libri, tipo chessò, cantanti comici calciatori, compresi personaggi famosi in quanto famosi, che vengono ingaggiati dagli editori per vendere libri, dove per libri si intendono prodotti commerciali, tipo il pentolame e le croste e la bigiotteria sul canale telemarchetta).

  2. Luca Segantini

    Ecco, esattamente: il commento di Raffaele Birlini spiega bene il senso dell’articolo. Uno come Hemingway (come Buzzati, se vogliamo menzionare un giornalista/scrittore) avrebbe detto el stesse cose in 10 righe.

  3. Qfwfq71

    mi ricordo che in occasione dei mondiali di calcio americani, lessi un articolo di un giornalista americano che rimase affascinato dalla capacità dei giornalisti (sportivi) italiani di raccontare le partite con enfasi romanzata.
    per lui questa coloritura della notizia era una qualità.
    certo in quel caso si parlava di sport….
    qualcosa che dovrebbe restare nell’ambito dello svago e del tempo libero

  4. Steve Romano

    Caro Luca Segantini, quello che Raffaele Birlini voleva dire nel suo intervento – cioè distinguere il valore letterario dalla parodia di esso – è rilevante al tema dell’articolo ed è complesso. L’ha detto bene nel numero di parole necessario. Se poi qualcuno avrà fatto fatica, non sarà colpa né dello scrivente né della materia.

  5. odus

    “Impressionista” che vor dì?
    Se ci si riferisce all’impressionismo francese in pittura , l”impressionismo” consisteva nella traduzione sulla tela dell’impressione che il pittore ricavava dall’osservazione del mondo circostante. Impressione istantanea che doveva essere tradotta sulla tela d’emblai, seduta stante, velocemente, en plain aire (mi scuso degli errori nelle mie espressioni francesi orecchiate).
    Al contrario dell’espressionismo tedesco che seguì che consiste nell’esprimere sulla tela l'”espressione” che viene dal di dentro del pittore, dal suo intimo sentire, dalla sua anima rispetto a ciò che lo circonda.
    Allora, quale impressione esprime il giornalista barocco (altro stile pittorico e letterario) che scrive pensando di fare “letteratura” in quella maniera che L.S. tenta di descrivere e che lui, assai correttamente, definisce “goffa” ed “esausta” (?) – “questo mio goffo e un po’ esausto tentativo di descriverla” e che è l’unica considerazione esatta dell’articolo? Non è che anche L.S. fa del “giornalismo impressionista” nel senso che usa l’aggettivo “impressionista” a sproposito, copiandolo dall’intervista di Bernardo Valli ad Antonio Gnoli (però su Repubblica, vuoi mettere?)?

  6. Luca Sofri

    Al di là del giudizio sulla qualità della scrittura (e sugli argomenti, completamente fuorvianti, per me), la ragione per cui difficilmente qualcuno scriverà un riassunto del commento di Birlini è che difficilmente qualcuno leggerà oltre la terza riga del suo commento. Appunto.

  7. Raffaele Birlini

    Al di là della tautologia della sua affermazione sui riassunti che non può fare chi non lo legge, Sofri, non s’è capito se lei si astiene da giudizi sulla “qualità della scrittura” e “sugli argomenti fourvianti” perché l’ha letto o perché non l’ha letto. A quantro pare il suo parlare a nome di tutti, generalizzando, per fare affermazioni campate per aria non è impressionismo enfatico. Prendo nota, c’è sempre qualcosa da imparare dai professionisti.

  8. minimAL

    A parte il fatto che si può essere sintetici scrivendo anche una Bibbia, ma leggendo questo post di Sofri ho capito perché non mi è piaciuto Birdman

  9. Pingback: 11 anni di disoccupazione in Italia – Il Post | NUOVA RESISTENZA

  10. lucagrasselli

    BIRLINI SPIEGATO BENE

    Birlini dice che la causa del fatto che il giornalismo italiano è poco informativo non è certo la smania di fare letteratura, e anzi si lamenta della pretesa di voler fare del giornalismo una cronaca scritta in modo piatto e semplificato, come se i lettori fossero alla ricerca di informazioni pratiche. Ci sono esempi di grandissimi letterati che scrivevano eccellenti articoli giornalistici. Se il giornalismo italiano informa poco, è sostanzialmente perché è al servizio della politica e della propaganda pro o contro questa o quella parte, invece che avere come scopo quello di informare i lettori, come dovrebbe essere.

    Ho vinto un posto al Post? ;)

  11. Raffaele Birlini

    A me provoca le stesse emozioni del bugiardino di un medicinale però ognuno ha i propri gusti e trovo sia maleducato trollare la gente esprimendo giudizi offensivi, preferisco dirle che sono certo che Hemingway sarebbe fiero di lei e che secondo me verrà presto contattato da New York Times per una rubrica tutta sua.

  12. atlantropa

    Fossi in Valli mi preoccuperei più che altro di non prendere cantonate tipo:

    Era l’ultima della classe. La più ricca, certo, per via del petrolio. Ma sul piano politico la più imprevedibile, la meno credibile tra le nazioni della “primavera araba”. Una Libia capace di imboccare la strada della democrazia era impensabile. Si pensi ai profeti di sventura che condannarono l’azione della NATO contro Gheddafi, sostenendo che dopo il rais sarebbe venuto il peggio. Erano sicuri di quel che dicevano. Emettevano sentenze, non opinioni. Ed erano sciocchezze.

    Da alcune ore la rissosa, indisciplinata, corrotta società beduina, dispersa in un deserto posato su un mare di petrolio, frantumata in tribù, in clan, in famiglie armate fino ai denti e assetate di vendette spesso ereditate da sconosciuti antenati, quella società abbrutita per quasi mezzo secolo dal delirio di Gheddafi, e per questo giudicata impreparata e quindi inaffidabile, ha impartito una lezione di democrazia al vicino grande Egitto e all’altrettanto vicina ed educata Tunisia. E, fatto straordinario, la Libia musulmana ha fermato l’ondata islamista che ha inondato i Paesi arabi liberatisi dall’oppressione dei rais. A Tripoli, a Bengasi, sembra essersi aperta una breccia laica.

  13. Luca Segantini

    La polemica sul linguaggio dei giornalisti italiani è interessante. Si vede subito che straborda sul linguaggio e il modo di esprimersi degli italiani in genere: fiorito, sovrabbondante, mai diretto e soprattutto convinto che sia lecito, anzi dovuto, parlare finché qualcuno o qualcosa (il numero di battute, un interlocutore che parla sopra e interrompe) non mi costringe a smettere. C’è insomma ammirazione per la quantità, più che per il contenuto. Faccio fatica a riabituarmi, quando ritorno brevemente in Italia, alle conversazioni sproloquianti e senza capo né coda, in cui tutti sembra che parlino più per ascoltarsi che per comunicare. Tornando ai giornali, oggi su Repubblica c’era un titolo che la dice lunga sulla cultura etica e anche un po’ sulla cultura tout court dei giornalisti italiani:

    “Mali: raid in un ristorante a Bamako, uccisi due europei”

    Sotto, più in piccolo:

    “Oltre agli occidentali, anche vittime malesi”

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