Gli abusi del potere

Qualche quotidiano segnala oggi come rilevante un post piuttosto ubriaco a congiunta firma di Carlo Freccero e Alessandro Di Battista, sul blog di Beppe Grillo, post che sono andato a guardare: lo rivelo con qualche imbarazzo sul modo in cui impiego il tempo. È che mi aveva incuriosito il fatto che per parlare di Julian Assange i due autori citassero molto il suo impegno contro “il potere”.

Questa cosa del “potere” è una delle fesserie retoriche più presenti nel discorso pubblico contemporaneo, speculare a quella del “popolo”. “Il popolo” sono sempre i buoni – è la definizione del populismo – e a chi si riempie la bocca e la penna del termine verrebbe da chiedere se non sia “popolo” l’uomo che ha sparato a un carabiniere in Puglia o se non lo siano i fidanzati e mariti che ammazzano le fidanzate e mogli, o se non lo siano i milioni di elettori dei partiti avversi al loro (la propria è sempre una “vittoria del popolo”, anche col 20%), eccetera. Dire “il popolo” tutto nobilita.
Viceversa, “il potere” è il termine vuoto e insignificante con cui viene definito tutto quello che si vuole attaccare, un’entità generica priva di confini in cui ognuno mette quello che gli pare: e va bene, sono infantilismi comunicativi che durano da decenni e ogni qualunquismo li usa nei suoi turni successivi per turlupinare gli ascoltatori più ingenui quando non ha argomenti o fatti concreti di cui parlare.

Ma la cosa che fa ridere di questi tempi è il livello elevatissimo di ingenuità che presumono – avranno ragione? – nei propri lettori e ascoltatori i demagoghi correnti che del “potere” che descrivono e attaccano sono palesi rappresentanti. Perché bisogna essere davvero indulgenti per lasciare che ad attaccare “il potere” siano, in questo caso, uno dei leader più importanti del maggiore partito di governo e uno che comanda una rete nell’apparato di comunicazione mediatica più importante del paese, no? Se vogliamo scendere sul terreno del senso del termine, cos’è “il potere” se non essere direttore di Rai2? Cos’è “il potere” se non essere indicato un giorno sì e un giorno no come possibile successore del capo del governo di fatto? Di quale “potere” parliamo, di una specie di macchietta oscura e losca tratta dai film di 007, o di quello che influisce sulle vite delle persone, ne forma le opinioni, ottiene quello che vuole, dà un ordine e quella cosa avviene? (e se scrive un post inutile su un blog finisce sui quotidiani)

E lo stesso vale per tanti bofonchiatori seriali di “potere”, che proprio bofonchiandone ne hanno ottenuto quote impensate (oppure pensate, è più probabile): politici con ruoli di governo, quotidiani a grandi diffusioni, capaci di condizionare opinioni, voti, e comportamenti dei politici stessi, che si dicono “contro il potere”? Contro “i potenti”? Non è potente chi decide ogni giorno come condizionare l’informazione del “popolo”? Il direttore del Fatto che accusa “il potere”? Repubblica che dice di “contestare il potere”? (Ma che, devo ricordare, nel 2019, il titolo di un film di Orson Welles del 1941?) Il M5S che se la prende con “il potere”? E poi ridiamo di Trump e Berlusconi che si spacciano per uomini del “popolo”?

Esiste, il potere. Ne esistono molti, e in molte misure; e vale la pena di parlarne, capirli, definirli, essere consapevoli dei loro rischi e dei loro abusi come della loro naturale necessità (un preside è “potere”, anche un chirurgo, figuriamoci un magistrato, o un sindaco, o uno scrittore: Assange ci proteggeva da loro?). Niente è più lontano da questo lavoro di comprensione dell’uso generico e sciatto del termine “potere”, capro espiatorio per tutte le stagioni. E niente è più ipocrita e ridicolo di chi cerca di nascondere il proprio, per paura dei forconi che ha creato.

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