In giro a Milano

Era da tempo che non facevamo il consueto giro domenicale di famiglia per Milano, quello in cui vedo nella città dove vivo un sacco di cose che mi piacciono e un sacco che non mi piacciono e ho il tempo di prenderne nota mentalmente.
Non siamo usciti in bicicletta, oggi: anche se ho una bici nuova che vorrei usare sempre, benché scoraggiato dalle strade milanesi. Anzi, prendo coraggio e lo dico: io sarei favorevole a una rimozione del pavè in tutta la città per sostituirlo con l’asfalto. Lo so, suona “Lista Asfalto che Ride”, ma davvero il fondo stradale qui fa passare la voglia a chiunque. Le ciclabili di fatto non esistono, e quando esistono ci sono le macchine parcheggiate sopra o sono dislocate in spazi ingobbiti dalle radici degli alberi o di stretta convivenza con i pedoni. La nuova amministrazione ne ha aggiunte di nuove con una concezione della ciclabile che la identifica con una striscia gialla per terra, e via. Ed è pieno di rotaie pericolosissime – niente da dire, ci devono essere: salvo le molte dismesse – che costringono a cautele rese drammatiche dal pavè sconnessissimo.
Togliamolo.
Anche le carrozze coi cavalli erano più belle degli autobus: ma abbiamo ritenuto di sostituirle.
Io sono per asfaltare. Ecco, l’ho detto.

Comunque, siamo andati a vedere la mostra di Artemisia Gentileschi. I quadri sono molto belli e la storia di lei affascinante, ed è bella l’idea di farla precedere da un’installazione di letto sfatto e fogli appesi, suggestiva. Ma i testi dei pannelli e delel didascalie sono imbarazzanti, di quella scrittura barocca e pomposa e inutile che tutt’altro è fuorché un servizio ai visitatori. Quel linguaggio in cui si vede l’estensore tutto concentrato su se stesso e sulla soddisfazione di avere assomigliato a sufficienza ai modelli di enciclopedismo ridondante e tronfio degli antichi testi scolastici:

“Poche informazioni soccorrono l’evolversi di Artemisia”…

Secondo loro è un modo di dire che sappiamo poche cose del periodo successivo. Oppure:

“Non si può omettere di segnalare”…

Ma come parlate? Tutti i testi sono così: dodici parole dove ne bastano tre, compiacimenti da paroloni (se ci va il mio amico Matteo Bordone e conta il numero dei “vi è”, sviene prima di finire), e una montagna di allusioni e citazioni sbrigative su cui restano mille curiosità.
Non è un caso isolato, è una cosa tipica della museografia italiana. Dopo siamo andati al Museo del Novecento, che io trovo molto bello e una di quelle cose di cui Milano può andar fiera: ma anche lì non sperare di avere soddisfatte le più elementari curiosità sulle opere esposte. Siamo usciti e per prima cosa abbiamo cercato su Google su iPhone la storia della frase “I morti di Bligny trasalirebbero”, usata in una scultura di Arturo Martini e su cui la didascalia era evasivissima: e così ho scoperto che le stesse critiche le aveva già scritte, con lo stesso esempio, Alessio Altichieri sul sito del Corriere della Sera.

C’è una coazione a ripetere le cose fatte male, in Italia: in ogni campo – a cominciare dalla politica e dal giornalismo – si fanno le cose come si sono sempre fatte, solo perché le si sono sempre fatte così. Non arriva mai uno a dire “ma perché non le facciamo meglio?”, qualcuno che domandi “cosa serve?” invece che “come si è fatto finora?”. E quando arriva, si alzano comunque in cento ad attaccarlo a forza di “sei matto? si è sempre fatto così!”.

Poi siamo andati sopra il Duomo, che è un esempio invece straordinario di quando si facevano le cose bene. Steve Jobs racconta nella sua biografia che suo padre gli ha insegnato che quando si dipinge un armadio si deve dipingere bene anche la parte posteriore, quella che non vede nessuno. Perché si fanno le cose bene. Il Duomo di Milano, che è la fine del mondo, a me fa impazzire perché sono sicuro che tra le centinaia e centinaia di statuette o ornamenti ce ne siano alcuni su cui non si è mai posato un occhio.
Comunque, siamo andati sopra il Duomo, pagando un biglietto di dieci euro alla “Veneranda Fabbrica del Duomo” che è l’ente ecclesiastico che se ne occupa: all’ingresso e alla biglietteria ci sono agenti di polizia e militari in mimetica, immagino per legittime ragioni di sicurezza. Ma perché il biglietto me lo controlla e me lo strappa un agente di polizia? Sta nelle mansioni della polizia proteggere il Duomo, per carità: ma anche lavorare per la Fabbrica del Duomo al posto di un impiegato stipendiato?

Poi siamo tornati a casa, con l’autobus. E l’applicazione per iPhone dell’ATM è fatta bene e utile.

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22 commenti su “In giro a Milano

  1. demonio pellegrino

    be’, ti ha gia’ detto culo che almeno c’era scritto qualcosa, per quanto scritto in modo da far prudere le mani. Sei mai stato in un museo o a visitare un monumento mediamente famoso nel Sud Italia? Non c’e’ scritto niente. Ma non “niente” nel senso di poco, due informazioni in croce: no, niente nel senso di niente. Quando poi c’e’ scritto qualcosa, non sia mai che sia scritto magari anche in inglese. E che vuoi scrivere in inglese in un paese come l’Italia nel quale turisti stranieri non vengono? E’ inutile, no?

    Ricordo come mi sentivo in imbarazzo alla Villa romana del Casale di Piazza Armerina, in Sicilia, pieno zeppo di turisti, senza un cartoncino uno che spiegasse qualcosa.

    Per il resto: d’accordissimo sull’asfalto. Parlo da motociclista, piu’ che da ciclista (per me le piste ciclabili son dannose piu’ che altro, perche’ fanno nascere nel ciclista un’arroganza che si riversa poi anche al di fuori delle piste ciclabili – i ciclisti mi pare si sentano sempre come se tutto fosse loro permesso, anche investire i pedoni che, non sia mai!, hanno inavvertitamente messo un piedo nella loro amata pista.

  2. uqbal

    1) Basterebbe spavesizzare le strisce relative alla pista ciclabile. Suppongo poi che il pavé sia fastidioso anche andandoci sopra con la macchina, ma lì sarei più propenso a togliere la macchina. Le suole delle scarpe reagiscono infatti molto bene alle superifici un po’ sconnesse.

    2) A Bari ultimamente ho visto mostre (della Soprintendenza e non solo) con un piglio finalmente un po’ meno accademico e un po’ più divulgativo. Il modello insuperato rimangono comunque i musei anglosassoni…

  3. uqbal

    Ah,

    “Poche informazioni soccorrono l’evolversi di Artemisia”

    Non è che è pomposo. E’ proprio privo di significato. Se proprio deve voler dire qualcosa, questo è che la crescita di Artemisia è stata resa difficile dal fatto che la povera ragazza aveva pochi giornali da leggere…

  4. Piccola Dorrit

    Vabbè che il linguaggio giornalistico è citato d’esempio nello “evolversi” della lingua, ma non può essere l’unico referente in particolare quando si trapassa in ambiti di studio, come la storia dell’arte, che si sono costruiti un loro linguaggio specifico. Nè il visitatore del museo può pretendere dalle didascalie la pappa pronta.

  5. Daniele53

    Eh no, caro Luca, il pave’ non si tocca. Bisognerebbe fare come il padre di Steve Jobs, le cose farle bene e cosi’ pure il pave’ che va periodicamente sistemato e non lasciato li a “sconnettersi” (si puo’ dire?). Certo che gli anni della Moratti hanno messo in ginocchio la mia bella (sic) Milano…

  6. Fabio Venneri

    È un discorso interessante: quando facevano le cose per bene, non esisteva proprio che dipingessero la parte non in vista.

  7. Jan Alexander

    Ahimè, sono d’accordo col peraltro direttore: a parte traffico e aria tossica, anche Bologna nel suo piccolo ha (nel centro storico) solo ciclabili disegnate e miliardi di sampietrini gibbosi. A questo si somma il costante timore di non ritrovare la bici (specialità tipica della zona universitaria), ma solo le enormi catene a cui era ancorata e che qualche Houdini è riuscito a liberare.. Poi magari si vede sfrecciare una bici uguale uguale a quella sparita, ma verde pisello.

  8. Broono

    Torino.
    Più di 100 km di piste ciclabili.
    Piste nel senso di strade appositamente asfaltate e separate da corsie automobilistiche.
    La rete ciclabile copre l’intera città e non solo le zone d’immagine.
    Puoi attraversarla senza quasi mai incrociare lo stesso suolo delle auto se non ai semafori.
    Contro:
    Un traffico e una pericolosità di guida al confronto dei quali il sudamerica pare la Svizzera, testimoniati dai fiori appesi ai pali a ritmo di un mazzo ogni due pali/alberi.
    Se venite a Torino fermatevi anche se avete il verde e date la precedenza anche se venite da destra.
    Oppure poi non dite che non ve l’avevo detto.

  9. Teo76

    Broono, non che zone frequenti, ma a parte un paio di ottime piste ciclabili le altre tra dehor, incomprensibili cambi di carreggiata, pezzi da un centinaio di metri non collegati, etc. sono veramente indecenti e fatte da chi non è mai andato in bici. Tra l’altro, occhio che nei 100 e passa km sbandierati c’è anche tutto il valentino da moncalieri a san mauro andata e ritorno.
    Giro in bici a torino da almeno 20 anni e 90 su 100 preferisco andare per strada, piuttosto che su incerte piste ciclabili che ti danno un falso senso di sicurezza.

  10. Broono

    “occhio che nei 100 e passa km sbandierati c’è anche tutto il valentino da moncalieri a san mauro andata e ritorno”
    E perché “occhio”?
    Se sono ciclabili vanno contate nella lunghezza delle ciclabili, non mi pare ci sia chissà quale tranello dietro.
    Comunque, tu sei la dimostrazione di quanto tutto sia relativo.
    Abituato a una città con una rete ciclabile di questo tipo e di questa estensione, quando devi elencarne i difetti che ti fanno imbestialire ci metti che in alcuni tratti ci sono “pezzi da un centinaio di metri non collegati”.
    Cavolo.
    E’ una vera indecenza.
    Poi invece incontri qualcuno che ha sempre vissuto in altre città, nelle quali l’unità di misura 100 metri è quella che indica la rete ciclabile, non i tratti interrotti, e allora capisci il perché per chi ha termini di paragone un po’ più “incazzevoli” di qualche tratto nel quale accipicchia devi cambiare carreggiata, Torino è (in Italia, ovvio) una città con una ciclabilità da applausi.
    Ma appunto è tutto relativo.
    Motivo per cui anche quando dico quell’altra cosa là del traffico a un torinese, la risposta è sempre “Ma dove? Ma se qui si guida benissimo!”

  11. Broono

    P.S. Moncalieri (appunto)
    P.S.2. Convintissimo (e da lì la mia precisazione sulla guida) che se c’è una cosa che Torino non può offrire è proprio il senso di sicurezza.
    Rallento ai semafori verdi, figurati se mi sento sicuro in bici solo perché su ciclabile.
    Anzi, credo che la rete sia così protetta ed estesa proprio perché con quel modo di guidare lì, se non fossero stati separati da trincee e contraeree ne avrebbero stirati non meno di 20 al giorno.

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  13. Carlo M

    vi lamentate delle piste ciclabili di torino? venite a farvi un giro in bici a roma va..

  14. sergio62

    E’ vero, per uno strano istinto di conservatorismo “bipartisan ” ( o sarebbe meglio dire di pigrizia mentale ) si tende a fare le cose come si è sempre fatto, senza cercare una crasi, una frattura col passato. Per quanto riguarda l’ applicazione ATM per smartphone sono d’accordo, è utilissima anche a chi viene da fuori.Per la mostra – che forse vedrò quando viaggerà a Napoli- non sarei così severo : è logico che il linguaggio che si usa per descrivere la mostra di Hopper , celebrazione del realismo nell’ arte contemporanea americana e della applicazione di essa al cinema, dev’essere per forza di cose diverso da quello su una pittrice rinascimentale – anche di nicchia. E comunque non tutti riescono ad organizzare ottime mostre: questo spiega il grande successo che a Roma riscuotono sempre le mostre delle Scuderie e del Chiostro del Bramante. La mostra su Lippi jr e Botticelli, ad esempio, è ben fatta, spiegata con linguaggio estremamente accessibile anche ai neofiti e ai giovanissimi, che poi saranno il pubblico di domani.

  15. Giorgio T

    D’accordo sull’asfaltare ovunque. Chi gira in vespa come me, ha praticamente gli stessi problemi di uno che va in bici.
    Se Bordone leggesse qualche atto scritto da avvocati andrebbe direttamente in coma. Il “vi è” è la norma. Una volta il mio avv. mi corresse un atto aggiungendo la parola “tampoco”.
    Quando mi arrabbio e faccio notare l’assurdità di un simile linguaggio, mi si risponde che si fa più bella figura agli occhi dei giudici (col cavolo, penso io).

  16. sergio62

    @buttafuoco: spagnolismi e barocchismi i legali ne usano a caterve, basta pensare al “salvis juribus ” o al ” con vittoria di spese ” con cui concludono un atto di citazione, per non parlare del procedura esecutiva pendente “nanti Trib.Roma” o all’ ipoteca “giudiciale” etc etc. Cordero nelle sue lezioni e nei suoi manuali ha sempre parlato di questo effetto negromantico del linguaggio forense , effetto che l’illustre ovviamente criticava e che si può considerare roba buona per la soffitta

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