Pochi milioni

Sui contributi all’editoria giornalistica ero arrivato tempo fa alla conclusione che possano avere un senso in un mercato come il nostro in cui la qualità non è premiata dalla domanda e in cui la domanda non è educata alla qualità: ma anche che sia in generale che in particolare nel sistema italiano non siano attuabili meccanismi concreti di individuazione dei beneficiari che non conoscano più controindicazioni e abusi che benefici. Quindi meglio abolirli, che non mi pare diano frutti apprezzabili per quello che costano, alla prova dei fatti. Mi pareva anche di averlo scritto più estesamente, ma non trovo il link, forse mi sbaglio (forse mi sbaglio su tutto).

Ho qualche certezza in più però su due cose. Una l’ho scritta poco tempo fa, ed è che i giornali che ritengono che la loro disponibilità sia un arricchimento per i lettori e i cittadini e che questo arricchimento debba essere aiutato, possono chiedere di essere sovvenzionati nella misura necessaria a stare online, e non su carta: avrebbe più senso, e la richiesta sarebbe più accettabile. L’altra è che la dichiarazione di Norma Rangeri riportata oggi da Repubblica mi pare una via di mezzo tra un ricatto morale e una cretinata.

«Entro 48 ore va trovata una soluzione. Anche per evitare il paradosso di uno Stato che, per risparmiare pochi milioni, ne dovrà pagare di più per gli ammortizzatori sociali»

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12 commenti su “Pochi milioni

  1. Urlo

    E’ un peccato che qualsiasi cosa si scriva qui sia viziata dal conflitto di interessi e faccio riferimento in questo caso alla dichiarata sensatezza dei finanziamenti a giornali online in relazione al fatto che chi pensa questo sia il direttore, per l’appunto, di un aggregatore di notizie online.

    Ma è altrettanto vero che tutti scriviamo su ciò che ci interessa, e quindi è spesso inevitabile e logico la relazione tra ciò che scriviamo e ciò che ci interessa.

    Alla luce di questo però, dire che “la domanda non è educata alla qualità” quando c’è sotto il naso di tutti l’es. de ilfattoquotidiano che tra l’altro non percepisce gli stessi finanziamenti pubblici di tutte le altre testate, credo sia un pochino fuorviante.

    Inoltre, è probabile che il fatto che “la qualità non è premiata dalla domanda” derivi proprio dai finanziamenti di cui sopra e anche in questo caso ne è un esempio ilfattoquotidiano.

    Deresponsabilizzare le scelte degli italiani attraverso la cattolica e maternalistica presunzione di dover fare da balia ad un popolo di immaturi pensando che non fossimo degni di tanta fiducia è sempre stato causa di grandi disastri nel nostro paese.

  2. odus

    1) concordo in tutto e per tutto con “urlo”.
    2) Questo problema delle sovvenzioni che ai giornali vengono a mancare a dicembre succede tutti gli anni, credo. L’anno scorso avevo seguito la vicenda del “il Secolo d’Italia” allora diretto dalla Perina in seguito scomparsa anche da questo blog, e della circostanza approfittavano i suoi antagonisti dell’ex AN. Poi il Fli perse anche quel quotidiano “storico” della destra italiana e la Perina, anche se nel frattempo le sovvenzioni erano arrivate, dovette sloggiare. Nessuna meraviglia che lo stesso problema lo abbia anche il Manifesto. Solo che per sapere chi è Norma Rangeri ho dovuto fare una ricerca spedifica.

  3. splarz

    Il Post è di qualità? Lo dico io: sì. Il Post è sovvenzionato dallo Stato? A meno di non essermi perso qualcosa, no.
    C’è molto da aggiungere?

  4. spago

    Mi spiace ma concordo con tutti quelli che hanno scritto prima di me. Urlo ha completamente ragione. Odus ricorda il caso del Secolo e io ricordo che discutendone sul Post sfanculai sostanzialmente (ma educatamente) la Perina che a mio parere piagnucolava inutilmente. E Splarz porta un esempio che più azzeccato non si può. Caro Luca manda questo post, con questi commenti e tanti auguri a Norma Rangieri.

  5. segnaleorario

    Sottoscrivo il post, anche se per il Manifesto farei un’eccezione: pretendere che alla loro età si adeguino alla versione on line mi sembra davvero troppo…

  6. gianmarco

    Ho letto il Manifesto per anni ( quando la Rangeri, se non sbaglio, faceva solo le recensioni dei film) e volevo fare ancora lo sforzo di ricomprarlo per dargli un miserrimo sostegno: poi ho letto anch’io la frase della Rangeri riportata sopra ed ho capito perché, se oggi chiuderebbe, non mi rammaricherei molto.

  7. Luca

    A volte sarò anche poco chiaro, però bisogna anche leggermi prima di obiettare. Uno, ho scritto che sono per abolire i contributi. Due, il Post non ne riceve né li chiede, di conseguenza. Quindi dove accidenti sta il conflitto evocato da “Urlo”? Tutte le altre lamentele sono capricci: la Rai è ufficialmente servizio pubblico, finanziata dallo stato per quello, e nessuno evoca “maternalismi” o si sente umiliato.

  8. Urlo

    “Ho qualche certezza in più però su due cose. Una l’ho scritta poco tempo fa, ed è che i giornali che ritengono che la loro disponibilità sia un arricchimento per i lettori e i cittadini e che questo arricchimento debba essere aiutato, possono chiedere di essere sovvenzionati nella misura necessaria a stare online, e non su carta: avrebbe più senso, e la richiesta sarebbe più accettabile.”

    Mi hanno messo delle pillole nella pasta o cosa?

  9. Broono

    Boh, restando all’on line e per fare un esempio:
    in questo momento per raccontare il crollo del palco di Jovanotti, Corriere e Repubblica hanno lo stesso articolo, fotocopiato fin nei dettagli.
    Senza entrare nel merito di chi dei due l’abbia scritto e chi copiato o chi sia il terzo da cui l’han preso entrambi, se questo è il modo di stare on line dei due maggiori quotidiani italiani, non vedo perché la cosa debba essere considerata preziosa al punto da sostenere l’opportunità di finanziarla con soldi pubblici.

  10. Pingback: domanda e qualità « Gia.Mai

  11. odus

    Abbasso le sovvenzioni statali e viva la pubblicità, su carta e on line.
    C’è chi in questo campo ha indicato la via.
    Quanto ad educare la domanda, quante Montessori ci sono in giro!
    C’è perfino chi propone una patente/licenza/diploma per andare a votare. Non ci sarebbe da meravigliarsi se ce ne vuole una anche per leggere il giornale.

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