C’è una forma che ho imparato chiamarsi “imperfetto ipotetico” di cui parlano tutte le grammatiche, avallandolo come una forma parlata, retorica o informale. Prima che lo scoprissi, recuperando vaghi ricordi liceali, avrei cercato qui di spiegare che nello scrivere io aderisco a un’inclinazione (prudente) a scrivi-come-parli, e ancora di più nelle conversazioni online, in certe considerazioni personali sul blog, nelle battute su Twitter. Nella sventata illusione che dire una cosa una volta serva a evitare che ogni volta che applico (applico, beh: vien da sé) questa maniera, un cospicuo numero di quelli che in rete vengono chiamati “grammar nazi” sprechi il proprio tempo prezioso a informarmi invece dell’esistenza di una cosa chiamato congiuntivo, o persino a indignarsi con trasparente sofferenza. Detto con sincero affetto per tanta pazienza.
Sul giustizialismo linguistico come meccanismo estesissimo di affermazione di sé (nell’ambito più generale della ricerca di affermazione di sé istantanea e volatile in ogni modo, che tutti ci contagia) avevo peraltro già scritto qui.
Però, insomma, invece che stare ad argomentare con superficiali ragionamenti miei cose studiate e descritte molto più efficacemente da chi le studia e le descrive, incollo qui cos’è l'”imperfetto ipotetico” e le ragioni stilistiche e letterarie del suo uso. Mi serve per linkare direttamente questo post, le prossime volte che devo rispondere ai tweet che chiedono maggiore rigidità. Grazie agli altri, la maggioranza paziente.
Imperfetto ipotetico: nella lingua parlata informale sostituisce il condizionale passato per esprimere una condizione irreale o un’eventualità che avrebbe potuto verificarsi nel passato: era meglio se venivi ieri sera (sarebbe stato meglio se fossi venuto ieri sera)
L’Imperfetto “ipotetico” è il tempo dell’irrealtà; sostituisce il condizionale o il congiuntivo ed è comunemente accettato nella protasi. Ce ne offre un esempio N. Machiavelli:
“Se io credevo non avere figlioli, avrei preso piuttosto per moglie una contadina e non te.”Spesso, l’imperfetto indicativo può sostituire le forme verbali di altri modi (condizionale, congiuntivo). Questo fenomeno porta gli studiosi a parlare di usi modali dell’imperfetto. Il fenomeno più frequente è indubbiamente l’uso dell’imperfetto nel periodo ipotetico dell’irrealtà:
Se arrivavi in tempo, ti spiegavo tutto con calma
nella lingua parlata al posto di
Se fossi arrivato in tempo, ti avrei spiegato tutto con calmaSi tratta di un uso (chiamato imperfetto ipotetico) che non corrisponde allo standard, ma piuttosto apprezzato, a seconda del contesto, anche da persone colte. Corrisponde oramai, almeno nella protasi (frase secondaria che indica la condizione) all’uso standard nella lingua francese:
Si tu étais ici, on pourrait jouer (‘Se tu fossi qui, si potrebbe giocare’)
Del resto, non si tratta di una semplificazione tipica dell’italiano parlato moderno, ma di un fenomeno sempre esistito in questa lingua:
Se io credevo non avere figlioli, arei preso più tosto per moglie una contadina che non te
(Niccolò Machiavelli, La Mandragola, secondo atto, quinta scena.)
Dico che, se io non ci veniva, non arei mai, mai creduto ch’ella (questa città) fosse stata più bella di Siena.
(Pietro Aretino, La Cortigiana, primo atto, prima scena.)
Mia moglie non veniva se non l’accompagnava io…
(Achille Torelli, I mariti, quarto atto, prima scena.)
Adoro l’uso consapevole dell’imperfetto ludico, però vorrei aggiungere, come spunto di riflessione, che occorre perseguire l’equilibrio tra il “grammar nazi” e il parla come mangi, che è proprio a un passo dal “sii te stesso”.
Insomma: propongo di provare a scrivere un pelo meglio di come parliamo (e ovviamente a non commentare i risultati degli altri).
ps: a chi mi dice “parla coma mangi”, amo rispondere che mi piace usare le posate, nei limiti delle mia capacità. Coerentemente con quanto scritto prima non mi permetto di obiettare sull’uso o meno delle posate dei miei commensali ;)
Un esempio analogo ed opposto, che ci ripeteva spesso la professoressa di greco nei bei tempi andati: “Se due più due fa cinque, cinque meno due fa due”. In questo caso, anche se le frasi sono irreali, l’indicativo marca la certezza della consequenzialità tra premessa e conclusione.
Ammantare di chissà quale legittimità cruschense i propri errori, e relegare nell’insulto – benché sofisticato – chi te li fa notare, sono il tipico sintomo di pigrizia forzata (perché di moda) nonché di insicurezza psicologica.
Poi, per carità, vinci tu: il buon italiano era una bellissima donna, sedotta e abbandonata da boriosi sapientoni 2.0
A me le frasi “se sapevo che c’eri” o “credevo che andavi”ecc.. anche in italiano parlato fanno bloccare la digestione. Figurarsi per iscritto. Poi per carità, ognuno parla e scrive come ritiene meglio. A me per dire infastidisce anche l’uso di GL in familiare, anche se ormai del tutto sdoganato.
Pero` in italiano (colloquiale) l’imperfetto ha davvero la connotazione dell’irrealta`: “Giochiamo che io ERO il dottore e tu il paziente…”.
Il mio personale contributo all’imperfetto ipotetico, in risposta a clienti che mi fanno richieste impossibili: “E se sapevo fà i miracoli a quest’ora stavo ancora a dormì!” (Il romanesco non è una forzatura ma il mio idioma colloquiale,come si evince anche dal nick)
17 Maggio 1972
L’imperfetto ipotetico ha come “fondamento” l’ipotesi che chi lo usa non abbia studiato abbastanza. Poi, per carità…, libertà di modi e tempi. Consiglierei l’ascolto di Enrico Ruggeri: “Il futuro è un’ipotesi“, ma non sono sicuro si parli di verbi…