Alla fine, tutte queste discussioni da macchinetta del caffè sul Nobel a Dylan – lo merita? è un poeta? e la letteratura? – che trattano il premio di un’Accademia Svedese con l’indignazione e le pretese solitamente riservate alle proteste su “i miei soldi” e le sicurezze destinate alle formazioni della nazionale, nascondono nel baccano di qualche ora una sola vera, reale, concreta, giustificata sofferenza, questa invece silenziosa e duratura. Quella di editori e librai che ogni anno si preparano in tutto il mondo al Nobel per la Letteratura sapendo che qualcosa ne verrà, per molti editori, e per tutti i librai. E che in tempi di crisi quel qualcosa è una piccola preziosa garanzia: giorni e settimane di ristampe, promozioni, fascette, libri in vetrina, clienti che chiedono, fuori catalogo e avanzi da ripubblicare, discorsi sulla grandezza dei libri da rinnovare.
Piccole e rare, ma certezze. Sentirsi vivi.
E invece niente. Solidarietà.
I grandi delusi del Nobel a Bob Dylan
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Preferisco Bucchi su Repubblica di oggi: “Violente polemiche sul Nobel a Dylan” – “Gli editori sono furibondi”. Sembra evidente che a scaldare gli animi sia il mancato business che si scatena puntualmente all’indomani dell’assegnazione del Nobel: ristampe a tempo di record, picchi di ordinativi, rispolverate ai vecchi cataloghi, code da Feltrinelli. Sul vecchio Bob chi mai potrebbe speculare? Tutt’al più la Columbia Records: e anche qui ristampe di vecchi bootlegs,scoperte più o meno farlocche di preziosi inediti…si tenga peraltro presente che la musica ormai si scarica gratis dovunque, che i cd si clonano, che i supporti magnetici grondano musica di ogni risma, che tutti si tuffano su youtube, twitter, r-twitter, facebook e via così. Che pena, signora mia. Se questo è il dibattito…. Non è che sarebbe meglio soffermarsi sull’effettivo valore letterario degli scritti di Dylan? Baricco pare abbia sbottato: “Che c’entra Dylan con la letteratura?” E’ chiaro che il letterato Baricco ha una visione della letteratura molto ristretta. E d’altra parte cosa aspettarsi da uno che crede al punto tale nelle “scuole di scrittura” da averne fondata una egli stesso? Le scuole di scrittura (“creativa”, s’intende!) sono una delle non poche perversioni americane che abbiamo avuto la sbadataggine di importare qui da noi. Insegnare la creatività è come esportare la democrazia: un assunto tanto presuntuoso quanto idiota. L’arte non si insegna, l’arte della scrittura non si insegna. E quella di Dylan è arte della scrittura. E infine: certo Dylan non ha bisogno del generoso premio in denaro che il Nobel gli assegnerà: è un signore miliardario, che oltretutto, arte o non arte, sa fare molto bene i propri affari. Ma il discrimine non è lì, ancora una volta. La storia dell’arte è piena di geni del tutto privi di senso degli affari (Van Gogh…Kafka…) e di altri geni abilissimi nel farseli (Picasso…Maupassant…). E quindi, cerchiamo di elevare un po’ il dibattito rispetto alle miserie umane: il premio a Bob Dylan è il premio al canto di un creatore di parole, di immagini, di suoni, che difficilmente tornerà a nascere.
Francamente che gli editori siano furibondi per il nobel a Dylan fa sorridere: ho ancora in casa l’edizione dei suoi testi degli anni sessanta (tutti gli album,dal primo a New Morning del 70) tradotti dalla Pivano.Anche quelli erano editori,credo…(la mitica Newton Compton).Se poi,comunque,vogliamo raccontarci che il keniano che era dato favorito-Ngugi Wa Thiong’o,-avrebbe implementato le vendite,allora facciamolo pure,a patto di trattenere le risa.Resta il fatto che molti di quelli che si lacerano le vesti per il Nobel al più grande cantautore di ogni tempo,sono convinto che non sanno nemmeno un suo testo-o perchè digiuni di musica o in quanto non padroni della lingua americana,non si sono istruiti con belle traduzioni(la Pivano,appunto).Forse tra i critici per il Nobel al genio di “John Wesley Harding” c’è perfino (oltre a Irvine Welsh e al noioso Baricco) qualcuno che crede ancora che Knockin’ on Heavens Door sia un cavallo di battaglia dei Guns’n Roses.
Lunga vita al Poeta,invece.
http://www.lucaspagnoletti.it/2016/10/thank-you-bob-dylan_13.html
@giorgio tamaro: “L’arte non si insegna”.
Chissà che direbbero tutti gli artisti che, almeno da Cimabue in poi (ma sicuramente anche prima), tenevano allievi a bottega, a volte vedendoli diventare più bravi di loro. In fondo si trattava soltanto di mischiare un po’ di colori e spalmarli su una tela: che ci vuole? Quando c’è il talento, c’è tutto.
Caro Shylock, confermo e ribadisco: l’arte non si insegna. Le botteghe di Tiziano e di Paolo Veronese avranno visto passare decine di bravi ragazzi, che dopo aver mischiato e spalmato colori sotto l’occhio severo del maestro avranno ricevuto il paterno consiglio di dedicarsi alla coltivazione della bietola da seme. Quelle che si insegnano sono le tecniche, e certo mischiare e spalmare colori o disporre in un certo ordine le dita della mano sinistra sul manico di una chitarra per formarne accordi, altro non sono che tecniche. Poi c’è chi ha il genio e supera il maestro (Giotto versus Cimabue, Mozart versus Salieri) e chi rimane al palo. Un fraterno amico, divorato dal demone della musica classica (nel suo caso, sinfonica) si è dannato l’anima per anni fino ad imparare a leggere il pentagramma e a suonare il clarino. Come esecutore è un cane, e lo sa. Ora che è più vicino ai sessant’anni che ai cinquanta è diventato uno stimatissimo musicologo e insegnan in un conservatorio in Germania. Artista, mai. Dylan, artista sempre.
@giorgio tamaro: confondi ‘arte’ con ‘talento’.
Solo quelli con tanto talento diventeranno grandi artisti, è vero: ma solo se lo educheranno e lo eserciteranno: altrimenti faranno al massimo
gli esibizionisti presuntuosi.
Viceversa, anche persone con poco talento, applicandosi, possono diventare dei buoni mestieranti.
Disprezzare la tecnica, nel campo artistico, ha portato all’affermazione come ‘artisti’ di furbetti che sanno solo vendersi bene e di ‘opere d’arte’ che sono solo operazioni di marketing.
Bah, nominalismi! Tu chiamalo, se vuoi, talento. Non cambia. Senza il talento l’artista non esiste; senza l’arte il talento è solo un concetto. Se mi parli di “mestieranti”, benissimo, ci capiamo. Ma il mestierante ovviamente non è un artista. Il mestierante fa ottimi clown con la lacrima, fa ottime “canzonette”, che generalmente vincono al festival di Sanremo. Il talento produce arte: se educato è meglio, altrimenti fa lo stesso. Credi forse che Van Gogh abbia studiato a bottega da qualcuno? Quanto ai furbetti, dei quali il mondo della cosiddetta arte è pieno, considera che è’ il tempo che detta il discrimine tra arte e furbizia. Il tipo che alla Biennale di Venezia espone pecore dipinte di blu sparirà come neve al sole; Palma il Vecchio vivrà per sempre. Di Toto Cutugno non rimarranno nemmeno le macerie; Dylan ci sarà sempre. Come Beethoven, come Coltraane, come John Lennon. L’arte non si insegna. L’arte è talento, l’arte vuole talento, il talento è arte che attende solo di esplodere.
Il vero talento di Baricco -e il suo vero lavoro- è quello dell’imprenditore di scuola di scrittura. A proposito: è mai uscito qualche bravo romanziere dalla scuola di Baricco?
Caro Froom5, non mi risulta che dalla scuola di Baricco siano usciti “bravi romanzieri”. Tutt’al più ne sarà uscito qualcuno in grado di scrivere in italiano corretto. E’ già qualcosa, ma ribadisco: l’arte non si insegna.