Oggi in prima pagina su Repubblica c’è l’inizio di un articolo che fa abbastanza saltare sulla sedia gli appassionati delle vicende e degli orientamenti dei quotidiani italiani: e probabilmente ha fatto saltare sulla sedia diversi lettori. Era un po’ l’equivalente del Giornale che scriva in prima pagina “Ammettiamolo, in questi anni Berlusconi ha abusato dei suoi poteri per fare i suoi interessi, facendosi aiutare scorrettamente dalle sue televisioni”.
L’articolo di Repubblica comincia così (non è stato messo online).
“C’è un cortocircuito che condiziona la vita del Paese”. Anche solo cinque anni fa, una prima pagina di Repubblica con una simile affermazione sarebbe sembrata una parodia, un ritorno delle vecchie imitazioni del Male, tipo “Ugo Tognazzi capo delle BR”. Che nel 2016 Repubblica sarebbe arrivata ad ammettere con l’articolo di un suo vicedirettore che magistrati e giornalisti si sono “influenzati”, uscendo dal proprio ruolo, e che abbiano “condizionato la vita del Paese”, è una cosa su cui non avrebbero scommesso nemmeno al Foglio, uno dei posti dove queste cose si dicono da vent’anni. Cosa può essere successo?
A me non interessa tantissimo, anche se è facile pensare che la nuova direzione del quotidiano abbia a che fare con tutto questo, con una specie di tentativo di “superare una fase” o di rimettere in carreggiata le deviazioni giustizialiste e gli intrighi con le procure che governano molta parte di quello che alcuni giornali scrivono tuttora e molta parte delle cose che succedono in Italia. Quello che mi interessa è capire se queste poche righe possono essere promettenti rispetto a questo presunto tentativo oppure no.
C’era stato un precedente, dello stesso autore: ne avevo scritto un po’ severamente – però era sincero anche il mio rallegrarmi – perché qualunque retta via che faccia come se niente fosse sulle vie storte del passato (e di estese parti del presente) mi pare facile, autoassolutoria, elusiva, e alla fine poco solida.
Adesso la sovversione è più grossa ancora – criticando i “cortocircuiti” ci siamo spostati dalla cronaca nera alla politica – e c’è in effetti una specie di autocritica, ma che fa un po’ l’effetto di Fonzie quando deve dire “ho sbagliato” e non ci riesce.
E non è tanto una questione di ammettere o no un errore su una vecchia impostazione generale ormai superata grazie al cielo. È che quello che l’articolo critica è vivo e vegeto (di solito capita alle rubriche di Michele Serra, su Repubblica, di criticare un giornalismo di cui la rubrica stessa appare circondata: e anche oggi).
Quello che l’articolo critica, non “è capitato”, come una giornata di pioggia imprevista che ci ha fatto rinviare una partita di pallone: non si può dire che “c’è” un cortocircuito (“toh, un cortocircuito!”), e non si può dire che il problema è di “noi giornalisti” e che bisogna “tornare tutti al proprio ruolo”. Leggendo la conclusione dell’articolo – che prima si diffonde molto nell’attenuare le responsabilità delle procure che hanno sostenuto le accuse smontate in questi giorni – viene da rispondere «Parla per te», non suonasse troppo aggressivo verso un tentativo che, ripeto, mi pare apprezzabile e insperato.
E i media? In merito alle contestazioni nei confronti di Ignazio Marino, questo giornale non si è limitato a riportare gli atti giudiziari e ha cercato riscontri autonomi alle contestazioni. Ma in molte occasioni anche noi giornalisti dobbiamo riconoscere di avere rinunciato a una funzione critica nei riguardi delle iniziative dei pubblici ministeri, prestandoci ad amplificare l’eco di procedimenti dalle basi dubbie, senza dedicarci all’approfondimento dei fatti e della rilevanza penale. E soprattutto senza svolgere la nostra attività di controllo nei confronti del potere, di tutti i poteri. La chiave per uscire da questa impasse, che rischia di impedire ogni confronto fondamentale per una democrazia moderna, è semplice: tornare tutti al proprio ruolo, con rigore.
L’occasione della riflessione è appunto l’assoluzione di Ignazio Marino. Pur pensando che Marino si fosse dimostrato molto molto inadeguato a gestire i problemi di Roma, al Post abbiamo scritto in più di un’occasione che le modalità del suo abbattimento – questo è stato – siano state vigliacche e truffaldine, e si siano svolte col concorso di un sistema di complici interessi politici e giornalistici. La notizia di ieri è che sul più forte strumento di quell’abbattimento – il cosiddetto caso degli scontrini – Marino è stato assolto. E stamattina Repubblica dice “noi giornalisti” dobbiamo stare più attenti. Ecco, sarebbe suonato meno sfuggente alle proprie responsabilità scrivere “noi giornalisti di Repubblica“, o fare qualche riferimento più concreto a titoli come “Il dovere di lasciare” o alla sventatezza con cui tantissimi articoli – consuetudine molto italiana – hanno aderito alle accuse della Procura, invece di svolgere “la nostra attività di controllo nei confronti del potere, di tutti i poteri”.
Così, è come il Giornale che concluda “tutti noi giornalisti dobbiamo farci un esame di coscienza sull’essere stati troppo indulgenti con Berlusconi”.
Segnamoci quindi con soddisfazione questa frase di oggi: “dobbiamo riconoscere di avere rinunciato a una funzione critica nei riguardi delle iniziative dei pubblici ministeri, prestandoci ad amplificare l’eco di procedimenti dalle basi dubbie”. Ma segnamocene anche altre.
Non sono cambiate le condizioni politiche, non è mutato il giudizio del suo partito, il Pd. È cambiata semmai la sua condizione giudiziaria. Ora Marino è indagato. Proprio per quella penosa vicenda degli scontrini, dei ristoranti pagati con un uso – diciamo così – maldestro della carta di credito intestata al Comune. Una circostanza che rende ancor più grave il voltafaccia. Lo avvolge in un alone di sospetto.
(Repubblica, 30 ottobre 2015)A bocca aperta, l’Italia, che all’inizio aveva visto in lui il signor Kunt, il marziano di Flaiano, con la sua bicicletta-astronave circondata dalla Roma di ” a stronzo, do’ stai? do’ vai? “, lo ha infatti scoperto “smisurato” nella sua disonestà, perché si è fuori misura non solo ingrandendosi sino all’arraffo dell’impresa e del malaffare keynesiano, sino all’enormità di Buzzi e der Cecato di Mafia-Capitale, ma si è fuori misura anche riducendosi, immiserendosi in uno scontrino di 8 euro e 50, cene a sbafo, bottiglie di vino a scrocco, ma senza la simpatia del vero morto di fame, del Totò che dice: «A proposito di politica… ci sarebbe qualche coserellina da mangiare?».
Mangiare a scrocco è una delle istituzioni dei Paesi mediterranei dove lo sbafo è perdonato al “nobile in miseria” e ai “poveri ma belli”, mai ai falsi onesti. E la truffa degli scontrini va bene per il Rugantino, che è il lazzarone per eccellenza, ma non per il sindaco della vanagloria.
E il finto moralismo lo ha portato sino alla spavalderia di esibire egli stesso gli scontrini che lo inchiodano
(Repubblica, 9 ottobre 2015)I conti, dunque, non tornano. Come a non tornare sono pure alcune strisciate della carta di credito istituzionale. Una su tutte: i 260 euro per 6 persone pagati il giorno di Santo Stefano del 2013 al Girarrosto Toscano, ristorante a pochi passi dalla casa della madre di Marino. Dove, dicono nel rinomato locale, il sindaco ama ritrovarsi con la famiglia. Specie nelle feste comandate.
(Repubblica, 4 ottobre 2015)Ci sono accusatori implacabili che inseguono scontrini, dettagli, somme, annusano la traccia del vino, trovano carte e prove delle sue mezze colpevolezze…
(Repubblica, 31 ottobre 2015)Troppe cose non tornano nelle spese di rappresentanza sostenute dal sindaco Ignazio Marino con la carta di credito del Campidoglio. Cene istituzionali nei weekend o nei giorni di festa, spuntini serali fatturati cinque mesi dopo averli consumati, convivi con medici del Gemelli, chirurghi stranieri e parlamentari vari, avvenuti di preferenza nel ristorante sotto casa.
(Repubblica, 5 ottobre 2015)Tra gli episodi dubbi, quello che ha destato maggior scalpore nell’opinione pubblica, riporta la data de 27 luglio 2013 alla Taverna degli amici, ristorante in piazza Margana a poco più di cento metri dalla scalinata del Campidoglio. Il sindaco, secondo il titolare, avrebbe banchettato con la moglie con tanto di bottiglia di vino bianco da 55 euro. Tutto regolare se non fosse poi emerso che quel succulento pasto serale da 120 euro è stato pagato con la carta di credito dedicata alle spese di rappresentanza del sindaco.
(Repubblica, 11 ottobre 2015)Il sindaco della Capitale non può avere sulla sua testa un sospetto così imbarazzante. E Marino – la cui solitudine politica è sottolineata in queste ore dall’eloquente, gelido silenzio del Partito democratico – sa perfettamente che se non riesce a dare subito risposte convincenti a queste domande, non può più rimanere sulla poltrona di sindaco di Roma.
(Repubblica, 8 ottobre 2015)
Un’ultima cosa. Oggi sulla stessa Repubblica c’è un altro articolo, che parla di Magistratura Democratica e delle divisioni al suo interno tra chi vuole una normalizzazione da una parte e gli affezionati alle sue battaglie più “politiche” dall’altra. I toni dell’articolo non suonano ancora così indipendenti da uno dei “poteri”, quello giudiziario, e dalle sue inclinazioni ad avere “malinteso il proprio ruolo”.
Come andrà a finire è presto per dirlo perché Md si dilania da mesi se continuare a essere la Md di sempre, teorica del diritto dei deboli e dura contro l’arroganza della politica, o rinunciare al passato per un calcolo elettorale.
Quello che viene pesantemente sottaciuto nel post-e ovviamente nell’articolo di La Repubblica-è che,certo strumentlmente e prodomo sua,queste cose le diceva già,e per ventt’anni,il Berlusca(che ovviamente non parlava di politica in generale ma di Pd-Ds-Pd).La Repubblica è maestra,un pò come tutti i simboli piddini,nel salire sul carro del vincitore.Quelle parole avrebbero avuto un senso se fossero arrivate prima dell’assoluzione.La tattica del giornale fondato da Sclafari,e malamente diretto da Calabresi senor,è un pò quella di chi non ha visto la partita ma solo il risultato,e in funzione di questo fa la sua critica.Un giornalismo serio-in Italia oramai chimerico,a parte qualcosa de Il fatto e de Il manifesto,limitandoci al cartaceo-è quello che non insegue le notizie per poi farle sue ma che prende posizione,indipendentemente da esse.Perchè se Marino fosse stato condannato questo non voleva certo dire che i rapporti tra magistratura e politica-e media-non comportino serie riflessioni.E poi credo che,io come tanti altri,sulla sedia si sobbalzi per cose ben più serie.Tipo La Repubblica-o questo blog-che il 5 dicembre(se vince il no) titolassero “Renzi ora devi dimetterti”.Ogni tanto,ca va sans dire,è bello sognare.
Caro Sofri ho stima di lei e apprezzo sempre quello che dice, anche se talvolta non mi trovo d’accordo.
Credo che Marino stia cavalcando le assoluzioni penali per vendicarsi dell’abbattimento. È Comprensibile, ma che non abbia commesso reati (secondo l’esito di questo processo) non significa che possa andar fiero dell’uso che ha fatto dei soldi pubblici. Gli atteggiamenti non puniti dell’ordinamento giuridico positivo possono non essere conformi ad altre leggi tipo quella etica o quella del buon senso. Al suo posto anch’io sarei contento dell’assoluzione ma certo non andrei fiero delle azioni compiute. Un buon amministratore non deve limitarsi a non commettere reati. Cosa ne pensa? Cordialità
Certo, alla buon’ora. Una prima soluzione al problema, molto semplice e non lasciata al giudizio individuale, che spesso ha fatto solo pasticci in queste situazioni, potrebbe essere questa: DIVIETO DI PUBBLICARE COME NOTIZIA IL SEMPLICE FATTO CHE X E’ INDAGATO. Essere indagati, come si sa, non significa che si è colpevoli, ma solo che un PM ha elaborato un’ipotresi che un processo dovrà vagliare. Negli ultimi anni purtroppo i PM hanno abusato del cortocircuito con giornalisti ben felici di buttarsi a pesce sulla notizia CREATA dal PM (perché di questo si tratta). Secondo la mia semplice soluzione, il giornalista potrà riprendere la sua funzione critica SOLO A CONDANNA (O ASSOLUZIONE) AVVENUTA. Come si vede, con questa piccola valvola il cortocircuito viene corretto all’istante.
Io direi che il nostro paese, la nostra storia, è condizionata da un corto circuito tra giornali, politica e giustizia (allargo un poco il raggio d’azione) da *almeno* cinquanta anni, non vedo perché fermarsi a 25. Ed è affascinante (il reale è razionale, a volte in maniera impressionante) leggere questo (condivisibilissimo) commento scritto dal figlio di Sofri a proposito di un giornale diretto dal figlio di Calabresi.