79 pagine è un’ottima lunghezza per un libro da leggere di questi tempi e in queste vite: io, almeno, non finisco un libro da 200 pagine quasi mai (e sta diventando una cosa diffusa, vedo).
79 pagine di Michele Serra che riflette sul suo lavoro di opinionista quotidiano e di scrittore, con una densità di concetti, intelligenze e brillantezze, sono una specie di tesoro, per me. È un libro che sapevo che l’editore mi avrebbe gentilmente mandato, ma ho speso i 9 euro in una libreria della stazione appena l’ho visto: e ne avrei spesi 18, 27, forse anche 36 (ecco un bel giochino: fino a che cifra spendereste per un determinato libro?), 45 forse no, sarei andato a leggerlo a casa di qualcuno che avesse speso 45.
Un libro si misura in cose che ti dà, non in lunghezza. Il libro di Michele Serra è piuttosto unico nel mettere a parte i lettori dei meccanismi che fanno funzionare non solo la composizione quotidiana di una rubrica su un grande quotidiano, ma anche la composizione della vita di chi la scrive e per il quale quella cosa diventa l’impegno più presente e continuo per 25 anni, familiari esclusi. E intanto parla di scrittura (quella per cui «non una sola parola è “naturale” e tutte sono il frutto di una scelta») e dell’Italia, e di come siamo, e di mucche, pure: con una teatrale capacità di spirito invidiabile, almeno da me. È un libro che ho riso mentre lo leggevo, e ho rosicato di non essere così bravo, a dirla tutta. È un libro sull’importanza dello stile e della forma, e sull’ingenuità di pensare che non lo siano. E poi è un libro che dice con sincerità – senza sincerità sono capaci tutti – una cosa davvero di sinistra, oggi, visto che il libro così si chiama.
Forse la mia sola vera idea, quella che non solo esiste indipendentemente dalla forma e dallo stile, ma li precede entrambi, e li conforma. L’idea è questa: i governati NON sono migliori dei governanti.
A pensarci ora che l’ho letto, anche 45.