Ciò che piace

Pensieri da domenica mattina con la colazione. Tipo che ieri ho visto questo film con le musiche di Springsteen, si chiama Blinded by the light. Mi aveva incuriosito il trailer, che mostrava un adolescente inglese di famiglia pakistana che si innamora dei testi di Springsteen e cerca di spiegare a tutti che “le sue canzoni parlano di me, della mia vita”. E che le canzoni di Springsteen parlassero di un adolescente inglese di famiglia pakistana faceva ridere, sembrava una bella idea. Purtroppo nel film non c’era nient’altro, e anzi pure questa idea ne esce attenuata: Springsteen gli parla perché è un adolescente di una asfissiante cittadina con genitori oppressivi e un desiderio di esprimersi creativamente e fare cose diverse da quelle che ci si aspettano da lui. Ovvero quello che succedeva a milioni di adolescenti di ogni paese negli anni Ottanta (ancora succede, un po’ meno), e quindi la trovata non è più granché. Aggiungeteci che la storia è davvero fragilina, e metà del film è fatto di simil balletti e videoclip sulle canzoni di Springsteen, e il risultato è che rimanete nel cinema solo perché ci sono le canzoni di Springsteen, perché ci sono le canzoni degli anni Ottanta (quella con cui inizia il film è dei Pet Shop Boys, segnalo, insieme a un encomiabile recupero dei Danny Wilson) e perché un concetto importante, nella sua banalità, lo dichiara: ovvero che ogni musica è nobilitata dalle emozioni che genera presso qualcuno (è quello che il protagonista riconosce al suo amico a cui piace l’elettropop anni Ottanta, è quello che realizza vedendo sua sorella felice nel ballare della dance pakistana).
Per il resto (e mi pare che il giudizio sia condiviso), una gran povertà di sviluppi prevedibili e superficiali, e un paio di occasioni in cui si ride. Se siete di quelli che si commuovono, pure un momento in cui ci si commuove, ma dovete proprio essere di quelli che si commuovono.

E ora quindi dovrei chiedermi: ogni film è nobilitato dalle emozioni che genera presso qualcuno? E me lo chiedo ed è un tema grande e interessante, che imposterei così: ogni contenuto, film, musica, storia, programma tv, che emozioni qualcuno, ha due fattori di quell’emozione, una dose di qualità intrinseca e misurabile, e una dose di diversa sensibilità di chi ne fruisce. Quelli che chiamiamo “gusti”, che sono fatti di esperienze, cultura, dna, cose vissute, conosciute e imparate, emozioni provate. A me Springsteen non ha mai emozionato, ma penso che abbia fatto cose formidabili e che sia bravissimo, e ascoltando per la milionesima volta “Born to run” nel film ho pensato “questa canzone è unica”. Come scrissi nell’intro di Playlist, penso che “i Duran Duran hanno dato al mondo più belle canzoni di Frank Zappa”. E mi piaccono molto i Buondì Motta e le Danette Danone (ho smesso, Matteo, ho smesso) ma non attribuisco loro un grande valore artistico o culturale (sulla Coca Cola ho invece considerazioni più convinte).

Questo si traduce in un elusivo e vile “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”? No, si traduce in una grande simpatia e indulgenza per le persone – tutti noi – a cui piacciono le cose, che se ne fanno commuovere ed emozionare sinceramente (parlo di emozioni positive, non incazzarsi e odiare eccetera, basta con quella fesseria della nobiltà della rabbia e dell’odio): se qualcuno è davvero emozionato da una vicenda mostrata in un programma di Maria De Filippi – vera o falsa che sia -, se quella storia lo fa stare bene, quella persona non merita critiche o giudizi sprezzanti. Né li merita chi sia felice sentendo Raf. Ma questi rispetto e simpatia convivono con l’avere dei giudizi critici sulla qualità di quel contenuto, sulla sua povertà, sulla sua ingannevolezza, sulla sua falsità, sulla sua facilità, sulla sua paraculaggine e insincerità. “Is there something I should know” era una vaccata di riempitivo per capitalizzare il successo dei Duran Duran, e Zappa era un genio: poi che alcuni si commuovano a ricordare certi bei momenti associati persino a “Is there something I should know” è bello (amici ieri hanno preteso di celebrare la canzone di Jermaine Jackson e Pia Zadora, per restare agli anni Ottanta del film e di mille cose in cui gli anni Ottanta vengono celebrati da qualche anno). O che si trovino – ci sono – passaggi genialmente infallibili in “Total eclipse of the heart“.
Sapete quella cosa che dicono, di certi quadri che hanno una potenza e una bellezza che raggiungono anche chi di noi non capisca niente di arte o non sappia niente dell’autore, delle sue motivazioni, del contesto? E quell’altra cosa, che dicono allo stesso tempo, che per capire l’arte serve conoscerla, sapere cosa voleva dire l’artista, il contesto?
Le cose, l’arte forse, sono sia questione di qualità e bravura che di paraculaggine e gusti. Ottenere che i gusti e la conoscenza si sovrappongano sempre di più è il lavoro di tutti noi che possiamo imparare e capire più cose, e di tutti noi che possiamo insegnarle, quando le conosciamo: invece che approfittare delle nostre ignoranze per venderci cheap feelings. Ma c’è una bellezza dei cheap feelings, se ne sei consapevole, e i due fattori convivono, e non distinguerli genera confusioni: ma genera anche meravigliose conversazioni su Zappa, Pia Zadora, Maria De Filippi, Ian McEwan e la Coca Cola. Che ricominceremo a fare, confuse come sempre, fra tre, due, uno…

(Utile postilla ed esempio: i Pet Shop Boys)

 

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