Sulla Stampa di oggi Anna Masera, giornalista e “garante dei lettori” interviene su un paio di temi di cui si è parlato assai sui social network nei giorni scorsi: l’inclinazione dei giornali ad amplificare, esaltare e persino aizzare le polemiche online; e quella di alcuni giornalisti a spendersi con eccessiva frequenza e vivacità nel “gioco a chi la spara più grossa attraverso i propri account personali”. Cito dei passaggi.
Il giornalismo dovrebbe contribuire a elevare la qualità del dibattito, anche ricordando al pubblico la differenza tra fatti e opinioni, tra opinioni e sparate estemporanee, tra la libertà d’espressione e le provocazioni fini a se stesse. Siamo tutti, sempre più spesso, testimoni delle esternazioni di politici e personaggi pubblici ubriachi d’attenzione mediatica. Un tempo per alzare il livello dello scontro c’era al massimo il talk show: nulla come una rissa in tv era garanzia d’attenzione. Con la Rete – dove ciò che si pubblica resta per sempre e viene condiviso più facilmente e alla velocità della luce – le esternazioni estemporanee, magari rilanciate da un pugno di troll, possono facilmente essere scambiate per un fenomeno vasto e degno di risalto, e sono in molti ad approfittarne. […] se a scendere in campo sono anche i giornalisti, equivocando in prima persona la libertà di espressione o selezionando le reazioni più folli in cui si imbattono e amplificandone la diffusione, il peggioramento della qualità del dibattito (e dei giornali) è assicurato.
È ora di prenderne atto: così facendo si amplifica l’odio online e si finisce per aizzarlo in una spirale senza fine.Sarebbe poi meglio se i giornalisti non partecipassero al gioco del chi la spara più grossa attraverso i propri account social personali, e riportassero invece le loro opinioni più sagaci e provocatorie dentro le riunioni di redazione dei giornali, laddove ci sarebbe certamente bisogno di maggior dibattito. […] serve un gesto di maturità per uscire dall’ubriacatura social e fare un passo indietro in favore della tanto agognata «ecologia dell’informazione». Che implica autocontrollo, riflessione, capacità di filtrare tra le varie «polemiche social». Altrimenti non sorprendiamoci d’essere una categoria professionale che, al pari dei politici, continua a restare in fondo alle classifiche negli indici di fiducia.