Paura ok, zizzania no

Un post che avevo scritto qualche anno fa si chiamava Paura e zizzania e spiegava come quelle due parole definissero due dei maggiori fattori di scelte editoriali dei quotidiani e dei siti di news italiani. Sia per quello che riguarda la scelta delle notizie da pubblicare, sia per come titolarle e confezionarle: privilegiando ciò che spaventa, preoccupa, impensierisce da una parte e ciò che racconta o alimenta polemiche, litigi, tensioni, divisioni dall’altra. Sono due criteri facilmente individuabili pagina dopo pagina per qualunque sfogliatore anche occasionale di giornali.

È arrivato il coronavirus, più di un mese fa, ormai. E naturalmente l’inclinazione al promuovere paure e ansia da parte dei media ne ha ricevuto un’ovvia eccitazione: c’era, stavolta, di che avere paura. Certo, anche in questo caso alcuni ci hanno messo un carico ulteriore, superfluo e pericoloso, ma ha anche funzionato una specie di reazione opposta: sentirsi scavalcati nella promozione della paura dalla paura stessa ha generato anche una ricerca di ruolo diversa, che rispondesse pure a una crescente domanda di conforto e rassicurazione. La politica – succube in Italia dei giornali, e non viceversa – ha capito anch’essa che le armi della paura, della strumentalizzazione, delle accuse, si stavano spuntando, e che esiste un limite: d’altronde ci troviamo infine in una vera emergenza che non è attribuibile a un nemico o a un avversario, malgrado alcuni goffi tentativi. Le opposizioni più maramalde e polemiche sono sembrate spaesate e in calo di attenzioni (vi ricordate? sembra già una vita fa), mentre il governo – questo maldestro e raffazzonato governo che si credeva “di emergenza” prima che arrivasse l’emergenza vera – riusciva a fare una cosa mai successa nella storia politica degli ultimi decenni: far parlare solo il capo, con tutti gli altri, ministri e leader, che sparivano dietro le quinte e si intendevano allineati e senza propri capricci o dissensi da far uscire sui giornali.

Intorno, intanto, la nostra umana inclinazione a desiderare nemici, a sentirci vittime, a cercare capri espiatori – siamo in tre, in questo paese, a fare casini: la politica, i media, gli elettori – annaspava, se la prendeva sgangheratamente coi runner o coi presunti “furbetti”, e sembrava molto indebolita dalla consapevolezza della situazione.
Molta paura, poca zizzania.

Adesso abbiamo un problema. È passato più di un mese, siamo tutti un po’ stanchi, non capiamo bene dove stiamo andando e dove sia la fine, e si sta creando un vuoto di crisi e novità quotidiane: paradossalmente, in una situazione senza precedenti e completamente fuori posto, alcune cose stanno tornando al loro posto, soprattutto le peggiori. Tra queste, vedi rialzare la voce e riguadagnare spazio e attenzioni da parte dei demagoghi avidi di visibilità, vedi ricrescere gli incarognimenti e le supponenze gratuite sui social network, vedi ricostruirsi sottodivisioni tra chi vuole un po’ aprire le economie e chi se ne indigna, tra chi vuole fare uscire i bambini e chi non ha i bambini, eccetera; vedi la gente più spazientita e irritabile nelle file, ma l’impressione è che le persone abbiano ancora molta voglia di buone intenzioni; vedi riaffiorare nelle prime pagine dei quotidiani le interviste a ministri e leader della maggioranza in ordine sparso e ognuno con la sua da dire, le accuse poco costruttive nei confronti di altri, e persino lo storico sfogo verso altri paesi a scelta (l’Olanda, persino!). Vedi eccitazioni giornalistiche nel poter rimettere in prima pagina “la rabbia”, finalmente.

Non so, sono impressioni, spero di sbagliarmi. Ma credo che questa naturale tendenza dei media e della politica – e di noialtri – a riempire i vuoti di sostanza con la costruzione di risentimenti e divisioni, e zizzanie, sia da tenere molto presente, perché proprio non è aria: non è aria. E credo che sia, aggiungo io ma potete ipotizzare altre soluzioni, una ragione di più perché governo e “autorità competenti” comunichino con efficacia e chiarezza il percorso e il progetto su cui pensano di muoversi, nel medio termine, per far fare a questa situazione dei progressi che non siano solo limitati al “contenimento”. Per il gioco di squadra serve una partita. E sono tornato, mi rendo conto, a ripetere la conclusione di quattro giorni fa. Non lo farò, e mi limiterò a: zizzania, per favore, no.

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