Non ha padroni, mai

Per presentare il nuovo sito, il Giornale ha illustrato il saluto del direttore con l’immagine di un vecchio articolo del fondatore Indro Montanelli, che mostra una cosa che Montanelli ha ripetuto diverse volte, e altri con lui, con orgoglio e compiacimento.

Questo giornale non ha padroni, perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l’offriamo.

Il Giornale avrebbe avuto come padrone Silvio Berlusconi, di lì a tre anni, e ce lo ha ancora. Ma non è questo il punto, anche se non ci si trattiene dal notarlo. La cosa che volevo mettere a verbale per dissentire da questo tipo di formulazioni assai condivise ed esibite come un vanto – tradotte o no che siano nei fatti -, è che avere i lettori come padroni è una cosa pessima per la qualità e l’indipendenza dei giornali. I peggiori giornali del mondo – e italiani pure – sono fatti per soddisfare i desideri dei propri lettori, confermare le loro opinioni, condividere le loro partigianerie, farsi coro delle proprie curve, non scontentarne le aspettative. La peggiore informazione del mondo è fatta da giornali e giornalisti che si danno come priorità il “soddisfare i propri lettori” e non hanno la libertà di rischiare di scontentarli o di mettere in discussione le loro certezze o le loro abitudini a leggere ogni giorno le stesse cose.
Il problema dei giornali con i “padroni” prescinde da chi siano i padroni: e quindi è anche il problema dei giornali che individuano una comunità di lettori, ne riconoscono un importante valore commerciale, e le danno ciò che intuiscono la soddisfi. Ci vogliono infatti un buon intuito e una grande sensibilità “politica” a fare i giornali così: non è da tutti, capire “dove tira il vento” e saper individuare una domanda in cerca di un’offerta. È da sempre una qualità ammirata nel business editoriale. Ma è anche la via populista (che Montanelli precorse, e Berlusconi con lui) all’informazione: quella che si dà come priorità non il racconto indipendente delle cose, qualunque finisca per essere, ma il racconto delle cose che piaccia ai lettori.

Oggi questo approccio riguarda in misure diverse molti quotidiani italiani (a parte quelli di faziosità demagogica più nota e inamovibile, uno dei maggiori prese una piega rinnovatrice e spiazzante qualche anno fa, e ne pagò le conseguenze in termini di consenso dei lettori e di destini del direttore): in tempi di crisi economiche per le aziende giornalistiche, l’informazione demagogica è una inclinazione da cui non è facile essere autonomi, e che non è criticabile di per sé. I giornali sono prodotti commerciali, ognuno li fa come vuole e cerca di intercettare una domanda.
Definire i lettori “padroni”, però, è nel migliore dei casi una ruffianeria infondata (e che incentiva i lettori a ritenersi erroneamente tali); nel peggiore, una scelta che entra in contraddizione con l’autonomia nel racconto delle cose, ed è il contrario di un vanto del buon giornalismo, che lo si proclamasse nel 1974 o oggi.

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