La riforma gnegnegnè

C’è, tra noialtri italiani, una esilissima quota di persone che ha competenze e che ha seguito gli sviluppi, ragionevole abbastanza e capace di avere un’opinione bene argomentata sulla riforma cosiddetta del “premierato”. Poi c’è invece un sacco di gente – direi la maggioranza- che non si è proprio posta la questione: probabilmente non se la porrà fino a quando non dovesse andare a votare, e in molti nemmeno allora.
In mezzo c’è una piccola comunità vivacemente impegnata a prendere posizione, e a prenderla sulla base soltanto del contrapporsi a quella che ritiene essere la posizione avversa, di cui ha bisogno come l’aria. Per la gran parte dei suoi promotori, è evidente, la riforma è solo un’occasione per battere la sinistra e fare gnegnegnè. Per la gran parte dei suoi oppositori, è chiaro, la riforma è solo un modo per fermare la destra e fare gnegnegnè. In questo entrambe le parti – ministri, giornalisti o avventori di un bar – esibiscono faziosamente tutti gli strumenti che trovano e respingono quelli avversi, come si fa per vincere una partita di qualunque cosa.
Sono queste motivazioni, estranee a qualunque approfondita e difficile (in parte impossibile, tra l’altro) comprensione delle reali conseguenze della riforma, a orientare il presente piccolo “dibattito”, e a orientare dibattiti, scelte, elezioni e destini del paese: del “nostro paese”. E se qualcuno vuole davvero trovare un rischio per la democrazia – rischio che rende il “premierato” o la sua assenza davvero insignificanti -, eccolo, è questa cosa qui.
“Rischio”, poi.

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