Non ne potrete più di leggere cose sul film di Virzì, ma ne aggiungo qualcuna in risposta o completamento di quelle che vedo in giro. Sono considerazioni per chi l’ha visto, gli altri non se lo lascino rovinare e lo vadano a vedere, che è un bel film.
Secondo me la Brianza non c’entra niente, intanto: se ne è parlato perché i luoghi comuni sulla Brianza sono assai antichi e radicati, ed è bastato che la storia fosse ambientata lì perché quei luoghi comuni (capannoni, villette, grettezze) riemergessero, più o meno strumentalmente. Ma i personaggi brianzoli di questo film non sono meno cretini o sgradevoli dei personaggi romani di Caterina va in città, per esempio.
Il capitale umano è, in quattro parole “un thriller di Virzì”. Ovvero un thriller – fatto molto bene, avvincente, con attori bravissimi: e quando capita così spesso, vuol dire che ci dev’essere qualche bravura anche da parte del regista – in cui i personaggi provengono dai film di Virzì, solo che questa volta non stanno in una commedia di piccole cose e leggere. L’inclinazione di tutti a immaginare che Virzì faccia solo commedie di satira sociale o piccole umanità ha messo in secondo piano questo tratto principale, quello dello sviluppo di una storia serrata e misteriosa, girata e costruita molto bene, per un film italiano.
E anzi, secondo me l’unica cosa che nuoce un po’ a questa tensione e a questa storia è l’inclinazione occasionale dello stesso Virzì a conservare un pezzetto di quell’atteggiamento nei confronti dei personaggi, a cedere alla tentazione di farli un po’ macchiette. Quei personaggi e quella storia, secondo me, saranno perfetti quando saranno solo se stessi – come era in La prima cosa bella – e non rappresentanti di un tipo umano nell’immaginario comune. È vero che il cliché di Virzì non è mai banale: il famoso squalo della finanza è assai più integro e corretto di come lo dipingono le recensioni, è uno che si incazza seriamente e severamente col figlio quando pensa che abbia fatto una cosa gravissima, e che si incazza col consuocero sfigato e traffichìno che lo ha ingannato sui suoi capitali mettendosi nei guai; e in entrambi i casi si incazza con chi ha fatto delle cose “che non si fanno”, e non per egoismo o avidità personale. È per esempio molto più per bene e leale del consuocero sfigato (non è un uomo senza cuore, è un uomo il cui cuore è troppo distratto dal lavoro e dal business): se c’è una categoria professionale o sociale che il film davvero dipinge come spregevole è quella dell’immobiliarista spiantato e parvenu, non quella dei ricchi e potenti. E infatti il consuocero somiglia molto come personaggio al Castellitto di Caterina: frustrato, in meschina e ridicola ricerca di promozione sociale (l’altra metà di quel personaggio di Castellitto, la vanità egocentrica dell’intellettuale, è ripresa invece nel personaggio di Luigi Lo Cascio).
Forse invece, quelli che sono davvero troppo macchiette molto vecchie sono i diversi partecipanti alla riunione per il progetto sul teatro. Che esistono senza dubbio, ma suonano un po’ stonati, provenienti da un altro tipo di film.
Il tema, a leggerlo da questo punto di vista, sarebbe quindi ancora – come per Caterina – che non si salva quasi nessuno, sono tutti un po’ pirla e/o un po’ stronzi, e il mondo sarà riscattato da una ragazzina (neanche dai ragazzini, ché pure il ragazzo maschio non è un campione di maturità e correttezza, fatti i conti). A Virzì piace molto questa cosa, però ce l’aveva già detta: questo è un altro film, in cui per fortuna prevalgono altre cose, un’ottima storia, attori bravissimi, una regia perfetta da thriller vero.
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Caro Sofri, per quanto gliene possa importare voglio dirle che questa volta concordo con ogni riga, anzi parola del suo post. La Brianza come capitale del kitsch è diventato da anni un cliché da proporre e riproporre in tutte le salse. Senza più domandarsi cosa ci sia di vero. Lo si ripete e basta. Come un mantra. Perché in fondo, a forza di ripeterlo, quello dell’opulenta Brianza sfigurata è diventato uno stereotipo divertente e rassicurante, col quale si assolve tutto il resto: le città dominate dalla criminalità organizzata, devastate da scelte urbanistiche criminali, prive dei più elementari servizi pubblici, sommerse dai rifiuti, traboccanti di edifici mai terminati e strade pavimentate in modo sommario. Ma nel film di Virzì la Brianza non c’entra niente. Nel film c’è invece una società stronza e corrotta, trasversale a tutti i ceti sociali. Virzì supera di gran lunga la retorica buonista di Bluee Jasmine di Woody Allen, dove i ricchi sono perfidi e malfattori, mentre i poveracci sono tutt’alpiù volgari ma in fondo buoni. Nella provincia italiana de Il capitale umano sono tutti stronzi: il super ricco squalo della finanza, il ceto medio dell’immobiliarista arraffone e finanche lo zio sfigato e indigente dell’unica anima candida di tutto il film. Un ottimo film da qualsiasi angolazione lo si guardi: grande thriller (caso quasi unico in Italia) e lucida satira sociale sulle miserie umane.
grammar nazi on
Apparte?
grammar nazi off
Non entro nel merito dell’articolo perché non ho visto il film.
Solo mi chiedo perché scrivi il titolo con errore di ortografia in neretto.
Non era più semplice e corretto scrivere: A parte invece che lo sbagliato: Apparte (che anche il computer sottolinea in rosso)?
Poi hai anche il coraggio di dare consigli di scrittura – notizie che non lo erano e cose simili – e di vita agli altri?
E’ proprio vero che chi non sa insegna.
Apparte il fatto che non si capisce il perchè di questo finto errore nel titolo… sono contenta che il film le sia piaciuto. Condivido fino in fondo l’idea che siano tutti un pò pirla e un pò stronzi, infatti non si salva nessuno, neanche, a mio modo di vedere, il ricco finanziere. Quest’ultimo è un uomo che pensa solo a scommettere su sè stesso e sui propri successi e vede, con irritazione, nel figlio, l’incapacità a fare altrettanto. Non è riprovato dal gesto del figlio, ma dalle conferme continue che è un buono a nulla. Nessuno si indigna di fronte al presunto colpevole dell’incidente, nessuno, neanche il ricco finanziere. Che si irrita anche nella serata di premiazione del miglior allievo, perchè il figlio non viene premiato. Non è un vincente, e questo irrita il padre. Il finanziere e lìimmobiliarista, sono due pirla, ma lo sono anche le donne, seppure con una complessità interna di gran lunga maggiore rispetto agli uomini. Non si salva nessuno… sono tutti colpevoli.
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Vivaiddìo, questo è il primo post che mi capita di leggere che parla realmente del film e in cui l’autore ha capito che cosa ha visto. Ho letto delle recensioni al limite del delirante ad esempio su Il Fatto Quotidiano in cui si rimproverava a Virzì di “non essersi concentrato sulla figura del ciclista” e su Linkiesta di “non avere attaccato incisivamente il mondo della finanza come ha fatto Scorsese nell’ultimo film”. Prima di esprimere un giudizio estetico su di un’opera, bisognerebbe almeno fare lo sforzo di capire che cosa vuole raccontarti, e non di leggerlo sui giornali. Comunque, concordo proprio su tutto, punti di forza e punti deboli del film.