Accapponami questo

Anna Masera prova a svuotare il mare con un secchiello, nel suo nuovo ruolo di public editor della Stampa: l’idea è di tutelare i diritti dei lettori e sorvegliare la bontà del lavoro giornalistico alla Stampa in tempi in cui le deviazioni dalla bontà non sono eccezioni da richiamare, ma la norma (non in particolare alla Stampa, che anzi sono stati bravi a introdurre il ruolo).
L’altroieri ha indicato ai lettori una deriva ancora non notissima ai non addetti ai lavori, ma già molto discussa e criticata nei siti di news, e soprattutto già passata – pare a me – dalla fase “esperimenti deteriori di avanguardie truffaldine” a “nuovo canone di informazione e di idea giornalistica”: il clickbait.

Clickbait vuol dire in sostanza pubblicare un’esca per ottenere dei clic: qui c’erano un po’ di esempi e spiegazioni di due anni fa, sulle sue depravazioni. L’idea è di costringere i lettori a cliccare su un tweet, su un link, su un titolo, facendo sì che quel titolo sia mutilato appositamente di informazioni prioritarie e suggerisca che ce ne siano di attraenti una volta che si sia cliccato. Le tipologie più plateali sono state spesso raccontate (“Non potete credere quale attore sia stato arrestato oggi a Milano!”) ma sono più subdole e comuni quelle che fanno mancare un dettaglio piccolo ma decisivo in un titolo più sobrio (“Muore in un incidente un deputato del PD”).

A me pare che la fase di allarme sul “dove andremo a finire con questo genere di cose” l’abbiamo già superata. Siamo già andati a finire. Questo approccio è diventato comune da parte dei social media editor di quasi tutti i siti di news, e così come per mille cose che in passato ci sembravano inaccettabili (gli spot nei film, i cookies dei siti, i preroll fissi nei video), i lettori si vanno abituando anche a questo (magari fosse vero, come dice Masera, che “si irritano e non tornano”: ci clicco persino io, sugli irresistibili tweet clickbait): a un ecosistema di segnali dietro i quali spesso non c’è quello che viene promesso, e altre volte viene promesso quello che potrebbe essere detto subito, alla luce del sole, senza essere invitati in un vicolo buio per saperlo. La ragione è economica, naturalmente, e forse possiamo leggere questi meccanismi come un prezzo che il lettore paga al posto di pagare in denaro per leggere un giornale: però sarebbe più tollerabile se fosse trasparente e sancito, “siccome lo sappiamo che non clicchi, facciamo che ti diciamo metà della storia ora e metà dopo che hai cliccato”, non con artifici che trattano i lettori come bambini da fare fessi; e soprattutto se ci fossero garanzie che dentro troveremo cose all’altezza della promessa (al Post abbiamo molto discusso ieri, dopo che era stato pubblicato questo titolo: io lo trovavo ingannevole, anche se ho convenuto che in una sua scala l’aggettivo era tecnicamente fondato, ma forse ci siamo approfittati dell’equivoco che faceva pensare a chissà cosa).

Invece l’asticella viene alzata ogni giorno di più (come già avviene coi titoli dei quotidiani, tutti allarme e “brivido, terrore, raccapriccio“) ed è tutta un’enfasi di superlativi e straordinarietà, in cui – arrivo al punto – cambia proprio la missione giornalistica: che non è più di dare un’informazione, ma suscitare un’emozione. Certo, niente di nuovo, è un cambio di passo già da tempo adottato da gran parte degli articoli dei quotidiani italiani, generare reazioni, creare emozioni. Ma adesso è definitivamente esplicito: i titoli non raccontano più un fatto, ma dicono che quel fatto (taciuto) “vi farà accapponare la pelle”, “è da brividi”, “vi farà venire le lacrime agli occhi”, è “esilarante”, “incredibile”, “mai visto”, “lascia senza parole”, “ecco cosa si prova”, eccetera. Decidendo a priori le nostre reazioni. E attribuendosi così i giornalisti non più il ruolo di informare, ma di accapponare; e prima ancora, di convincerci che ci accapponeremo.

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6 commenti su “Accapponami questo

  1. vschnur

    che il giornalismo stia diventando entertainment penso sia un dato di fatto… nel male (clickbait & co.) ma anche nel bene (longform, podcast, etc…)
    Penso anche a questa recente riflessione di de Majo http://www.rivistastudio.com/standard/panama-papers-analisi/ , che non condivido pienamente, ma che trovo sia in qualche modo complemento alla tua.

    A essere lungimiranti, constatata l’inarrestabile tendenza, bisognerebbe concentrarsi esclusivamente sulla definizione dei nuovi confini, tra edu- ed emo-tainmet, e delle nuove frontiere (deontologiche e narrative).

    L’etica giornalistica adesso è sotto al cofano, è un motore necessario perchè la macchina vada, ma è necessario pensare seriamente a una scocca e a un telaio, perchè è l’aereodinamica che ti fa arrivare alla fine della gara.

  2. lucamandelli

    Ma questi, un po’, non lo sono?

    Il 90% delle condanne a morte eseguite nel mondo nel 2015 sono avvenute in tre paesi https://t.co/5bBAXu9L7p— Il Post (@ilpost) 6 aprile 2016

    Le immatricolazioni di auto in Italia sono cresciute del 20,8% nel 2016: sapete quale modello sta andando meglio? https://t.co/p90TYaDwvn— Il Post (@ilpost) 5 aprile 2016

    A me scoccia un po’ che “il modello che sta andando meglio” non l’avete scritto nel tweet.
    Però in generale fate un ottimo lavoro, sia chiaro, al Post, anche sui social (e grazie, quindi).

    Rispondo:
    Il primo che citi dà la notizia che la quasi totalità sia concentrata in soli tre paesi: quella è la cosa notevole, e quali siano è l’informazione secondaria (e non sorprendente).
    Sul secondo hai più ragione, ma anche in questo caso la notizia principale è data: la domanda potrebbe essere tranquillamente rimossa, serve solo per vivacizzare il tweet.
    (È chiaro che ogni tweet e ogni titolo omettono qualcosa, se no sarebbero un articolo: la differenza la fa se quello che nascondi è LA notizia o ne è una parte imprescindibile)
    Luca S.

  3. Julian B. Nortier

    Il preuspposto sbagliato da cui partono post come questo è che il lettore non sia ormai scafatissimo,nel rintracciare e nello stigmatizzare questi “trucchetti”.Si va oltre:il lettore del web-semplificando e schematizzando un pò-è addirittura più avvezzo al disincanto.Non farei un problema sul fatto che si renda appetibile una notizia invogliando al cliccaggio selvaggio; è la stessa-certo vituperata-tecnica per cui certi titolisti mirano-da sempre,anche oggi,e probabilmente for ever-al sensazionalismo.Così come io,e credo la maggior parte dei lettori crediamo ben poco alle panzane e agli effetti “sgup” dei giornali allo stesso modo avviene-e in misura maggiore-sul web.Il problema,semmai,non è cliccare qualcosa a cui siamo stati richiamati ma-è evidente-farlo davvero convinti che lì vi sia qualcosa di sensazionale,e non un obsoleto specchietto per le allodole,buono per i soliti gonzi;nutrita minoranza.

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