Dire mai

Ieri è successo questo. Matteo Renzi è andato a Porta a porta, programma che registra il pomeriggio le puntate della sera, e poi ne diffonde anticipazioni e stralci ai media per ottenerne promozione in cambio, come molti programmi radiofonici che funzionano soprattutto come produttori di dichiarazioni da comunicato stampa (“ci ha ripreso l’Ansa con due lanci!” è l’esclamazione tipica di soddisfazione all’interno delle redazioni di questi programmi). Nel caso di Porta a porta, poi, quasi sempre alcuni giornalisti delle agenzie sono invitati a seguire la registrazione del programma davanti ai monitor di una sala loro dedicata, in modo da produrre autonomamente e per tempo i “lanci”, che cominceranno ad alimentare polemiche e risposte e sterili perdite di tempo del paese intero già prima che il programma vada in onda.

E insomma Matteo Renzi è andato a Porta a porta, e Paolo Mieli in studio ha a un certo punto evocato la possibilità di un’alleanza futura e futuristica con la Lega e Matteo Salvini. Prima che le telecamere inquadrassero Renzi che faceva la faccia “figuriamoci” e che diceva «non credo proprio» (sulla solidità di simili risposte stendiamo qui un velo imbarazzato, ma questa è un’altra storia), mentre in video si vedeva ancora Mieli si è sentito qualcuno dire “mai dire mai”. Quel qualcuno era Virman Cusenza, direttore del Messaggero, che pur avendo ragioni per fare quella battuta non è Matteo Renzi. Invece qualcuno dalla sala attigua dei cronisti ha creduto che fosse Renzi, o ha voluto crederlo, e pochi minuti dopo ecco che – imbeccati da un lancio di agenzia – i siti di news di mezzo paese stavano scrivendo che Renzi aveva detto “mai dire mai” sull’ipotesi di un’alleanza con Matteo Salvini.

Sapete che il modo di dire per cui “una notizia è uomo morde cane, non cane morde uomo” è vero solo a metà: per i giornali è una notizia anche “cane morde uomo due volte”, ovvero non solo l’eccezionale e inatteso, ma anche il luogo comune e il reiterato. Aggiungetelo, in questo caso, al fattore zizzania.

Nelle ore successive lo staff di Renzi si è attaccato ai telefoni per avvisare siti e giornali che Renzi non aveva detto quella cosa, e le gran pagine costruite su quelle tre parole sono state in serata saggiamente cancellate o pigramente aggiornate (pratica interessante, se una cosa si dimostra falsa, quella non di cancellarla ma di aggiungere in coda la “smentita”, come se fossero verità alternative ed equivalenti: anzi la prima più importante). Nuovi titoli poi hanno reso notizia una non notizia.

Cosa c’è di sbagliato, che genera pomeriggi così e butta via le giornate del dibattito pubblico italiano, e probabilmente lo stesso dibattito pubblico, marcito nelle volatili polemichette quotidiane? Uno potrebbe rispondere dando la colpa al cronista nella saletta di Porta a porta, e cavarsela col solito capretto espiatorio. Ma non è così: lui è un pezzo istruito di una macchina che funziona così e che rende inevitabile questa e tutte le altre bufale e fesserie che diventano la vita politica e umana di questo paese: una macchina che chiede sensazionalismo, che chiede zizzania, che li chiede continuamente e subito, che insegna a non controllare, che insegna a non farsi venire dubbi, che insegna a non aspettare di poter rivedere la registrazione, che insegna a non verificare con gli interessati, che pubblica immediatamente e che spesso poi non cancella (questa è una notizia rivelata falsa in tutti i suoi elementi dopo poche ore: vi prego di notare la comunicazione finale sul giornalismo e il tipo di giornalismo), che esclude di cercare conferme ai lanci di agenzia, considerati alla stregua di fatti quando sono fallibili e fallaci con quotidiana frequenza, per le ragioni dette. Una macchina, la cultura giornalistica prevalente nelle redazioni italiane, che educa a questo appena ci entri e spesso prima ancora che ci entri, se la prendi a modello. E che si racconta che “un errore può capitare”. L’errore è la norma, l’eccezione è che hai dovuto ammetterlo.
(aggiungo: poi c’è quello – che già si era fatto riconoscere – che dice che è stato “il web”)

Per la citazione più adeguata, rimando qui, che non voglio chiudere questo post con tanta drammaticità. Sono sciocchezze, no?
“Abbiamo corretto”.

 

 

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